Una storia di spionaggio e di cyber security super fica: Hacking Team
Aggiornamento del 3 novembre 2015
Due ex collaboratori di Hacking Team potrebbero aver venduto spyware, sistemi informatici di spionaggio, che potrebbero essere finiti in mano anche a jihadisti. È l’ipotesi della Procura di Milano che ha disposto perquisizioni in corso stamani in una società di Torino. Scoperto un pagamento da una società saudita…
Il blitz di stamani, in particolare, ha riguardato la società Mala srl con sede a Torino riconducibile a due degli indagati, Mostapha Maanna e Guido Landi, ex collaboratori di Ht. Investigatori e inquirenti, infatti, hanno scoperto un versamento di circa 300 mila euro sul conto della società da parte di una società con base in Arabia Saudita, la Saudi Technology Development. Vedi originale
I geniali hackeristi dell’Hacking Team, non paghi di avere venduto a paesi di dubbia natura democratica i propri prodotti, non paghi di avere tentato di vendere ai sauditi la società per una cifra strabiliante, pare non si fossero accorti che due ex dipendenti avevano venduto software a terroristi sauditi. Alla faccia di quanti (Giuliano Tavaroli, per esempio) si preoccupavano che il furto dei data base della Hacking fosse un regalo ai delinquenti di mezzo mondo, dal momento che erano gli stessi ex (?) dipendenti della Hacking, sempre a insaputa del loro ex (?) datore di lavoro, a dare man forte ai delinquenti planetari.
Bene bravi bis!
La redazione
POST ORIGINALE: Alcuni giorni addietro (troppi), non appena sono trapelate le primissime indiscrezioni rispetto alla struttura Hacking Team, ho scritto alcune frasi di commento pronto a pubblicarle sul blog. Ma, come certamente tutti sapete, quando un blog, di fatto, è sostanzialmente un diario, se uno non è nello stato d’animo opportuno, non se la sente di scrivere. Così, da oltre un mese, scrivo poco o niente. Comunque la gravità di ciò che è sotto inteso allo caso in oggetto mi obbliga a scuotermi e lasciare una sia pur tenue traccia della mia opinione in materia tanto delicata.
“Questa sì che è una storia super fica”, scrivevo – a me stesso – alcuni giorni addietro. Anzi, potrebbe essere la storia di spionaggio (informatico) più intrigante e complessa fino ad oggi accaduta. E questa è una prima convergenza di opinioni con Giuliano Tavaroli che mi sembra nell’intervista che di seguito riporto pensarla (lui che è mille volte più esperto di me nella materia) nello stesso modo.
Escludo che il dettagliato “sputtanamento” sia opera di qualche hacker burlone o semplicemente di un concorrente della HT in cerca di nuove occasioni di mercato. Con quanto è accaduto e viene divulgato, si svelano relazioni internazionali e percorsi carsici che uniscono l’Italia (o meglio alcuni italiani!) con paesi che in teoria non si potrebbero “servire” (in settori tanto delicati) se non a quelle particolarissime condizioni che dovrebbero regolare la sicurezza della Repubblica. O per soldi (tanti!) che, in quel caso, sarebbero stati percepiti illecitamente e comunque per attività a discapito dell’eventuale interesse della Nazione. O almeno a insaputa dei custodi della repubblica. O quelli che dovrebbero essere tali.
Comunque, come vedete, a voglia a dire “inviolabile” quando si tratta di elettronica. Da sempre sostengo, viceversa, che un “varco”, non solo in elettronica, è sempre a due sensi.
C’è un altro punto dell’intervista (preziosa!) a Tavaroli che oggi compare sul “Il Fatto Quotidiano” che voglio fare mio.
Forse ricorderete che al tema dell’impreparazione dell’Italia a queste problematiche (non parlo dal punto di vista tecnologico che come si vede invece ci trova tra i primi al mondo) era dedicato il percorso culturale che inutilmente decisi di iniziare il 23 marzo del 2012 organizzando il convegno
In altro momento proverò a far capire quanto il tema che oggi esplode sarebbe stato affrontato, con amore e spirito di servizio, proprio a partire da quel convegno, con quella sensibilità, coraggio e lungimiranza che tale argomento (vitale) si meritava e si meriterebbe ancora. Invece il problema era di far fuori Grani che si permetteva di chiedere a Luciano Floridi, Alessandro Zanasi, Liviu Muresan, Shalom Babout, tra gli altri oratori, di cominciare, con la loro autorevolezza ed esperienza professionale, a richiamare l’attenzione sull’argomento (a partire dai fondi che circolano in questo settore), prima che un tale ordigno esplodesse. Ordigno che non si può ancora capire da chi sia stato confezionato ma che certamente avrà non pochi effetti collaterali oltre a quelli opportunamente anticipati oggi da Tavaroli.
Forse mi sbaglio ma, se non viene pompierata, questa storia risulterà tra le più imbarazzanti (sul tema) dal momento che tra i soci di minoranza della HT risulta esserci l’ex ambasciatore USA a Roma Donald Spogli che ricordo persona da anni interessata all’informatica per averlo incontrato in un’occasione, da lui stessa organizzata presso l’Ambasciata USA di via Veneto, durante la quale ospitò la conferenza stampa di lancio di una manifestazione romana, alla Nuova Fiera, tutta dedicata al mondo degli algoritmi complessi e, soprattutto, a quelli molto, molto intelligenti. In quell’occasione, se ben ricordo, ebbi modo di ascoltare, Gianni De Michelis, che intervenne a dire le ultime cose intelligenti che ho sentito dire da un politico italiano sulla complessità mediterranea. Spogli non è certamente, comunque, uno qualunque se è lo stesso che devo aver conosciuto da ragazzo quando a Roma, negli anni ’60/70, lavorava alla Dapco, cioè la tipografia a via Dandolo dove si stampava (oltre che Lotta Continua) anche il Daily American – nella versione italiana – testata che prima di un attentato (di cui non si sono mai trovati gli esecutori o i mandanti) era proprietà di una società partecipata formalmente anche dalla CIA. Se ben ricordo al 40%. Anche in quel caso di minoranza si trattava.
Il post e l’intervista riprodotta a Giuliano Tavaroli, sono entrambi dedicati a quelli che non credevano che ci fossero algoritmi capaci di cercarti, penetrarti, vederti ed ascoltarti usando parassitariamente le tue stesse tecnologie. L’Infosfera, di cui parliamo da anni, è più vera e tangibile dell’atmosfera. E quello a cui assistiamo ruotare intorno all’HT, è un fenomeno (anche bellico) che ha la straordinaria connotazione di sembrare immateriale ma di non esserlo. Anzi. E si vedrà.
Il post è inoltre dedicato a quanti negli anni quando dicevo che non avrei mai potuto cooperare con ambienti professionali caratterizzati da tale spirito spregiudicato e mercenario, provavano ad offendermi dicendo che ero – sostanzialmente – una piccola volpe incapace di saltare fino all’uva. Immaginate in che guai siamo (particolarmente in Italia) se è possibile che sia accaduto e che accada o che continui ad accadere quanto descritto nell’articolo/intervista.
Comunque, se posso fare un paragone “storico” quello che ne dovrebbe derivare da una tale complessità è simile a quanto accadde quando si scopri chi fossero Tom Ponzi, Walter Beneforti e compagnia cantando. Quel giorno, rispetto alla violazione della privacy e del potere ricattatorio che queste violazioni possono dare ad alcuni, si perse, in Italia e nel mondo, “l’innocenza”.
Oreste Grani/Leo Rugens