Gli affari della chiesa di Terni – Falò delle vanità e fuoco di Paglia

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Monsignor Vincenzo Paglia vescovo emerito della diocesi di Terni, Narni, Amelia  è stato indagato dalla procura di Terni per il suo affarismo, ma è stato scagionato, nel mese di settembre scorso,  nel caso specifico di un avviso di garanzia per i reati di associazione a delinquere, turbativa d’asta, danni al comune di Narni, abusivo esercizio di credito, appropriazione indebita. I presunti  illeciti del monsignore erano relativi alla compravendita del Castello di San Girolamo  di proprietà del Comune di Narni, che doveva essere liquidato all’asta. Il vescovo fu informato preliminarmente della gara  dal sindaco di Narni  Stefano Bigaroni e così seppe che il prezzo di offerta era di 1 milione e 760.000 euro, somma largamente inferiore al valore reale del grande e prestigioso immobile. Nel dicembre del 2010  il Comune di Narni iniziò gli atti di vendita del Castello di San Girolamo all’IMI Immobiliare srl, di cui era amministratore unico Paolo Zappelli, il quale rivestiva anche la carica di economo della diocesi di Paglia.   Il progetto della Curia ternana, consisteva nel trasformare il convento e gli annessi in una struttura alberghiera a quattro stelle per i pellegrini che avrebbero frequentato i santuari umbri. Sarebbe entrato  nell’elenco degli immobili esenti dall’IMU date la sua caratteristica ospitaliera religiosa e culturale, o di “case per ferie”?  La curia ternana impegnò più di un milione di euro dei conti correnti dell’economato diocesano nell’affare, ma l’intervento della magistratura inquirente interruppe gli accordi con il Comune di Narni e la compravendita non si concluse. Invece, si sono concluse in questi giorni le indagini: mons. Paglia è stato scagionato e il suo caso archiviato con la seguente argomentazione: “ totale estraneità ai fatti di mons, Vincenzo Paglia .. il quale, ha sempre agito nell’espletamento del suo mandato pastorale  con l’unico meritorio obiettivo di assicurare alla realtà cittadina un riscatto in termini sociali e culturali”. Con questi argomenti retorici si può giustificare anche il debito di 20 o 28  milioni di euro che mons. Paglia ha accumulato sulle spalle della chiesa ternana durante il suo mandato pastorale.  A causa di questo debito è stato commissariato da papa Francesco e sostituito da mons. Ernesto Vecchi, vescovo di Modena,  incaricato di risolvere il crac finanziario con un prestito infruttifero  dallo IOR di 12,5 milioni di euro da restituire in dieci anni (centomila al mese). Nel giugno del 2014, salvata la diocesi dalla grinfie delle banche creditrici, è stato consacrato un nuovo vescovo nella persona del francescano Giuseppe Piemontese, già custode del sacro Convento di Assisi. Del debito milionario provocato dal vescovo Paglia, i giornali hanno riparlato in questi giorni perché le informazioni dicono che sono state intercettate conversazioni telefoniche  tra la famosa Francesca Immacolata Chaouqui, quella dello scandalo Vatileaks, e mons. Paglia: la signora cornacchia proponeva all’alto prelato  di risolvere il debito di cui stiamo parlando per le sue vie particolari. Strani uccelli neri hanno volteggiato sul Duomo di Terni.

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Io non ho conosciuto Mons. Vincenzo Paglia, ma qualche volta l’ho visto da vicino essendo ternano e perciò mi pongo la domanda: per quanto posso aver visto come costui ha assicurato alla realtà cittadina “un riscatto in termini sociali e culturali?”   Ricorderò due iniziative del vescovo dalle quali ho tratto qualche considerazione.

La prima iniziativa riguarda il culto di San Valentino, martire del III secolo d.C., che divenne patrono della città, al posto di Sant’Anastasio,  nel 1644.  Il culto si sviluppò dal XVII e al XIX secolo, ma nel 1860 furono cacciati i carmelitani dalla basilica e dal convento intitolati al martire,  a causa della liquidazione dell’asse ecclesiastico legiferata dal governo sabaudo dell’Italia unitaria. Il santo patrono barocco  fu dimenticato in una città massonica e fortemente anticlericale. Nel secondo dopoguerra del XX secolo, il culto è  ripartito e si è rinnovato. Il San Valentino tradizionale era venerato come taumaturgo e guariva miracolosamente i malati di epilessia e di gozzo. Ma dopo che spopolò il jazz di “My funny Valentine”, “ogni giorno d’amore è quello di San Valentino”, il San Valentino da Terni fu considerato,  in stile angloamericano,  come il protettore delle coppie in amore. Io scrissi un libro che chiariva l’agiografia di San Valentino, in Italia, in Inghilterra, in Europa e in America  e che storicizzava il contradditorio rapporto del popolo ternano con la religione; libretto che non piacque alle autorità cittadine sia civili che religiose, le quali speravano in un gran ritorno turistico nei giorni  intorno al 14 febbraio (data dell’ascesa in cielo del martire decapitato). Il vescovo Paglia mi chiese di  non trattare più la questione valentiniana perché con il sindaco Paolo Raffaelli era stato concordato un piano intitolato “un anno d’amore” con premi da attribuire a personaggi internazionali, che avrebbero vivacizzato la cultura di Terni e determinato un flusso di turisti pari a quello delle più prestigiosi luoghi dell’Umbria e della Sabina. Le feste avrebbero occupato l’intero mese di febbraio.  Anche se non ammettevo le virtù turistiche di San Valentino, accettai vilmente la censura. Nel 1989, il Comune e la Diocesi diedero vita alla “Fondazione San Valentino”  con presidente Antonino Zichichi, vicepresidenti Paglia e Raffaelli. Il premio del primo anno, quello del 2001, fu attribuito a Gorbaciov, che venne a Terni, il 18 febbraio, e vi trovò una sorpresa.

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L’ex leader sovietico ammirò un mosaico nell’abside della chiesa del Sacro Cuore nel quartiere Città Giardino,  in cui è rappresentata l’Ultima Cena. Oltre a Gesù  e gli apostoli sono presenti papa Giovanni Paolo II, Gorbaciov e sua moglie Raissa. L’ex capo dell’URSS, a Terni, ha così conquistato un posto fra i santi, nel giorno di San Valentino. Nel 2003, non si registrano ancora significativi  effetti turistici nel mese di febbraio, per cui alla Fondazione subentrò l’associazione “Eventi Valentiniani”, che aumentò gli introiti finanziari con la partecipazione di enti (Diocesi, Comune, Provincia, Camera di Commercio, Sviluppumbria) e privati (es. Confcommercio). Nel 2004, il budget fu di circa 1 milione di euro. Nel 2005, il contributo del Comune è stato di 350.000 euro e quello dei privati di  800 mila. I capitali erano affidati al presidente dell’associazione Eros Brega, che fu poi  indagato per peculato in quanto i conti non tornavano per 200.000 euro. Anche Brega verrà prosciolto, ma non è stata  fugata la sensazione che l’affarismo di mons. Paglia sia penetrato nella città rossa con questo tentativo sul patrono dell’amore.

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La seconda iniziativa non ha alcun effetto penale. Mons. Paglia invitò a Terni Mario Soares ex presidente della repubblica del Portogallo, il quale arrivò il 12 giugno del 2003 e tenne una conferenza in curia dal titolo: “Democrazia e pace all’inizio del nuovo millennio”. Soares accettò l’invito per uno straordinario  legame con Terni e la sua “saudade” lo riportò a Piediluco, il lago di Terni, dove aveva abitato nel 1970. Soares era allora il segretario del Partito Socialista Portoghese e avvocato nel processo internazionale sull’assassinio, perpetrato dalla PIDE (la polizia portoghese di Salazar) a Badajoz, al confine tra Spagna e Portogallo, nel 1965, del generale Humberto Delgado, capo dell’opposizione liberale alla dittatura di Salazar .  Anche Soares, esule a Parigi, era ricercato dalla PIDE, soprattutto per imbavagliare il processo Delgado,  e il suo soggiorno a Parigi non sembrò più sicuro, per cui  uno speciale comitato decise di proteggerlo in Italia. In quanto segretario del “Comitato per la Libertà in Portogallo”  proposi il nascondiglio di Piediluco. Fu d’accordo Mario Ruivo, dirigente allora della FAO e principale delegato dell’opposizione portoghese in Italia, che conosceva il sito, tramite me, data la nostra profonda amicizia. Concordò anche il PCI e Soares si rintanò a Piediluco per qualche mese. Mario Ruivo, dopo la Rivoluzione dei Garofani del 1974, fu ministro degli Esteri del V governo provvisorio del Portogallo.

Piediluco

Piediluco

Mons. Paglia mi disse che aveva invitato l’ex presidente portoghese e mi chiese ragguagli sui miei rapporti personali con Soares e io gli dissi pressappoco quello che ho scritto sopra e che mi avrebbe fatto piacere incontrare un uomo con il quale avevo diviso l’antifascismo in maniera tanto coinvolgente. Il vescovo mi tenne però lontano dall’incontro e mi sono domandato il perché.  Fu trascuratezza?  Oppure lo spingeva l’orgoglio di trasformare la sede di Terni in un Vaticano locale, che riceveva i capi di stato e delle altre religioni, per riceverne l’omaggio?  Voleva far credere che i personaggi famosi venivano a Terni esclusivamente per lui? La sua necessità di avere denaro, credo,  si gonfiò a dismisura per innalzare il suo soglio.

Terni, città dei fuochi di Paglia

Terni, città dei fuochi di Paglia

Ma esisteva una politica culturale alternativa a quella di “Terni città dell’amore”? Le associazioni di Terni avevano progettato  una  svolta culturale, quand’era sindaco  Giacomo Porazzini (1978 – 1990), per superare la  predominante mentalità legata alla fabbrica  siderurgica: “Terni città dell’acciaio”. Iniziò un processo lungo, interrotto dalla tangentopoli ternana, che portò al commissariamento del sindaco Mario Todini (1990 – 1993). Quando si riapersero le urne fu eletto il primo sindaco liberale, Gian Franco Ciaurro (1993 – 1999) e si vide la prima ed unica giunta non comunista della storia ternana. Con Ciaurro divennero vive le idee del tempo di Porazzini. Una grande bibliomedioteca, un centro multimediale per l’incubazione di piccole imprese del terziario, studi per la produzione televisiva, la promozione dell’archeologia industriale furono impiantate, insieme al restauro del centro storico della città.  Si era anche aperta una prospettiva cinematografica  Nel 1997, il produttore del film di Roberto Benigni “La vita è bella”, Mario Cotone chiese in affitto al comune di Terni la fabbrica di carburo dismessa di Papigno. Il produttore disse in una intervista: “La scelta è avvenuta casualmente … gli ampi spazi e la notevole altezza dei capannoni si prestano alle esigenze cinematografiche  … sono ottimi per l’allestimento di qualunque tipo di set.”   L’amministrazione Ciaurro colse l’occasione e si impegnò  nella prospettiva di creare una Cinecittà sul Nera, a Papigno,  collegata ai due grandi studi televisivi del Centro Multimediale. Dopo “La vita è bella”, Benigni girò a Papigno il film “Pinocchio”. Il centro si era dotato di tre teatri di posa, di locali per la falegnameria per cui le scenografie venivano costruite sul posto e di una sartoria,  di ristorante,   servizi vari e magazzini. Nel 2005, a Benigni e alla Melandro Cinematografica subentrò Cinecittà Studios di Roma., che prese possesso del sito nel 2007.  Dopo Ciaurro, al Comune ritornò la maggioranza di sinistra. Le citate iniziative naufragarono durante l’amministrazione di Paolo Raffaelli (1999 – 2009) perché la politica culturale cambiò rotta seguendo le suggestioni del vescovo Paglia.  Comune e diocesi puntarono  su “Terni città dell’amore e dell’acciaio” e la città multimediale e pluralista  scomparve. Le associazioni  nate intorno ai nuovi progetti divennero spettatrici delle cerimonie di mons. Paglia  nel  teatrino del  municipio e della diocesi.  Meditando su queste vicende, mi sembra strano che si sia riconosciuto a mons. Paglia “il meritorio obiettivo di assicurare alla realtà cittadina un riscatto in termini sociali e culturali”, come se Terni fosse prima dell’uomo di Sant’Egidio una città barbara.  Secondo questa tesi, mons. Paglia l’avrebbe riscattata con l’affarismo, con la prospettiva del turismo ecclesiastico  e con  le visite dei vip al soglio vescovile. La depressione culturale di Terni è invece cominciata all’inizio del nuovo millennio.

Pompeo De Angelis

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