Il Kazakhstan di domani diventerà la Siria di oggi?

A couple walks past an election banner of Kazakhstan’s President and presidential candidate Nursultan Nazarbayev in Almaty April 21, 2015. President Nursultan Nazarbayev will extend his nearly 26-year rule of Kazakhstan in an election on Sunday which investors hope will maintain stability in the Central Asian state despite criticism of his rights record. REUTERS/Shamil Zhumatov
Istituzioni troppo deboli potrebbero infatti far precipitare il Kazakhstan nel vortice dell’instabilità, minandolo sia internamente sul piano economico e sociale (rivendicazioni regionali, tensioni etnico-religiose e spinte separatiste e scioviniste fomentate sommessamente dal Cremlino), sia a livello regionale.L’ingerenza di Mosca, la vicinanza con le traballanti ex Repubbliche sovietiche (Kyrgyzistan, Tajikistan, Uzbekistan e Turkmenistan) e l’esposizione all’estremismo islamico rappresentano le principali sfide del Kazakhstan nello scacchiere regionale. Lookout
Per tentare di arginare lo sventolio di bandiere turche che i kazaki hanno agitato per festeggiare l’abbattimento del Su-24, Putin ha scatenato il ricco birraio Tokhtar J. Toulechov, riuscendo a farlo arrestare dal Presidente Nazarbayev.
Ciò che Marta Pranzetti scrive per Lookout ci apparve chiaro dal primo veloce approfondimento della figura di Mukhtar Ablyazov a seguito della extraordinary rendition della signora Shalabayeva; era il giugno del 2013.
Da allora nulla è stato fatto di sensato per tentare di avviare un dialogo tra l’Italia e Nazarbayev eccetto la realizzazione dello stand del Kazakhstan al Salone Internazionale del Libro di Torino.
La Luna, splendido corpo celeste, ha una faccia oscura che ben si presta e esemplificare un problema che il caso Regeni sta evidenziando: o avete messo piede sulla faccia oscura o non ce lo avete messo. In genere l’informazione è fatta da chi non ci ha mai messo piede né ha visto una immagine ben definita di quel luogo “invisibile”.
Il problema maggiore è che coloro i quali passeggiano su quel lato della Luna, difficilmente ne hanno una visione globale, figuriamoci il giornalista che se lo sente raccontare.
Ecco, fosse o meno un agente, Regeni aveva messo il piede sul lato oscuro della Luna e lo faceva con grande bravura e ammaestramento, ovviamente per passione, perseguendo ideali che posso solo immaginare, di certo non per denaro o sete di potere.
Quando leggo una approfondita analisi, quasi un dossier, qual’è quello stilato da Lorenzo Declich: Nessuno tocchi il Pinochet d’Egitto, ovvero: fuffa e depistaggi sulla morte di Giulio Regeni provo ammirazione per la precisione e la dedizione ma rimango un po’ deluso per le conclusioni: Regeni è stato fatto fuori per avvertire l’opposizione al regime di al-Sisi di non osare interferire nel quadro politico. Il che spiega tutto e niente.
Siccome trovo che la raccolta di informazioni fatte da Declich sia da vero specialista, cerco di capire come e perché nel cucinare una mole impressionante di dati, alla fine si pervenga a una conclusione un po’ generica. Ritengo però di avere la risposta da queste parole:
A pochi giorni dalla morte di Regeni la ridda di congetture – depistanti o meno, volontariamente o involontariamente depistanti – sui motivi per cui Regeni è stato ucciso sono più o meno tutte sul tappeto. In altre parole: ne hanno già dette di tutti i colori, compresi i complotti planetari. E gli amanti di Le Carré, cioè di un mondo scomparso, hanno già dato il meglio.
Che il mondo di Le Carré sia scomparso mi è difficile crederlo, non fosse altro che Putin, il bombardiere, era un agente del KGB mentre il fondatore di Oxford Analytica, David Young, un collaboratore di Kissinger… Vuoi vedere che questi fantasmi li vedono solo gli amanti di Le Carré?
Uno studioso italiano presso una università inglese è stato trovato morto a seguito di torture bestiali in un fosso del Cairo.
Qualcuno ha agito in base a un movente e con una modalità tipica degli apparati dii sicurezza egiziani.
Chi sapeva, dall’ambasciatore italiano al Cairo, Massari, agli uomini incaricati della sua ricerca – si dice che il direttore dell’AISE, Alberto Manenti sia andato appositamente in Egitto – non sono riusciti a salvare Regeni.
L’informazione incomincia il suo lavoro e tutti si buttano sul cadavere per lucrare; no, tutti no, alcuni si asciugano le lacrime e studiano la scena senza la presunzione di avere capito qualcosa; l’effetto di un atto può rivelarsi anche decenni dopo l’accaduto o può essere l’esito di un disegno partito da lontano.
Alla fine, fosse o meno organico, Regeni era uomo di studio, fino a prova contraria, preparato e consapevole di fare un mestiere pericoloso – perfino un Luttwak glie lo riconosce – un uomo mosso non dai soldi ma dal vizio di sapere. Per questo va ricordato e capito, per questo la sua morta va interpretata. Ci vuole il genio di Le Carré per farlo.
Dionisia