Per fatto personale e non solo: certo che Regeni non era una “spia”. Era altro ma, per alcuni, questo “altro” non deve esistere
Non era una “spia”, come gli stereotipi descrivono tale attività. Certo! E chi lo ha mai detto. Nessuna ricerca di piani segreti per invadere l’Arabia Saudita o i dettagli tecnologici di un “carro armato volante” ma, certamente, consapevolmente o meno (noi, dal primo momento, lo abbiamo ritenuto un analista di “intelligence culturale”, in addestramento sul campo e come tale lo rispettiamo e lo onoriamo), Giulio Regeni era una brillante intellettualità che si preparava a divenire, dopo un ciclo di soggiorni che gli avessero consentito di radicare amicizie, legami di reciproco rispetto con gli ambienti politici e culturali dove, nei paesi sotto dittatura, spesso si animano le opposizioni e dove prendono solitamente corpo le future classi dirigenti, “personale” da rendere edotto di quale fosse divenuto, passo dopo passo, il suo “vero” ruolo e quali responsabilità verso le complessità implicite nel Grande Gioco avrebbe potuto assumersi, per il nostro Paese (se a quella data fosse ancora esistito, visto l’andazzo!) coerentemente con i valori etici e morali a cui il friulano aveva indirizzato liberamente il suo sentire.
Per avere chiaro a quali valori “democratici” (intelligenti quindi), mi stia riferendo basterebbe appunto leggere i racconti e le considerazioni implicite dal “fronte” che il nostro inviava.
Certo Regeni stava vivendo una stagione di transizione e al tempo di formazione senza alcuna doppiezza tipica dei luoghi comuni che accompagnano l’idea che si ha di chi osserva il divenire delle cose, al solo fine di informare chi dovrebbe saperne fare un uso intelligente. Le “spie”, quindi! Certo, se non pochi mascalzoni/cretini nostrani, in ossequio ai loro veri padroni (o semplicemente per deferenza nei confronti del Dio Denaro) continuano ad insinuare questo e quell’altro, dicendo che “non era dei servizi” (qualcuno dice che lo era ma, di quelli inglesi), allontanano ancora una volta il cuore del ragionamento sulla necessità di averne cento, mille di Giulio Regeni, invece di stupide, nevrotiche, perverse “spie”, quando ormai è notorio che non ci sia più niente da spiare ma esclusivamente fenomeni geopolitici complessi intelligentemente da capire. E questo, Giulio Regeni faceva. O vogliamo, per servire la disinformazione dire che non faceva questo ma giocava a ruba bandiera nella città dei morti del Cairo? Lo faceva preparandosi alla lettura dei fenomeni complessi in atto e lo avrebbe fatto sempre meglio. Lo faceva coltivato a distanza, da qualcuno che, intelligentemente, dopo averlo individuato e – forse – opportunamente incoraggiato (perfino, mi spingo a dire, aiutandolo con onesti piccoli soldi prudentemente indirizzati), filtrando i suoi report a testate giornalistiche o a fondazioni o a centri studi o semplicemente intercettandone le sensazioni epidermiche, ne stava facendo un “agente d’ambiente”.Il text mining (cito questo per non citarne altri) è un algoritmo che facilmente recupera semanticamente informazioni dentro le fonti aperte che vengono lecitamente inviate. Per capirsi è come uno avesse saputo/potuto, con l’ausilio di macchine intelligenti e autoapprendenti, leggere le corrispondenze di Luigi Barzini dal fronte della guerra cino-giapponese. Forse/certamente, inizialmente, tutto questo stava avvenendo a insaputa di Regeni.. Vigliacchi quelli che vogliono cancellarne il valore e l’onore, rimuovendo il particolare che Giulio era nato in Friuli che, se non sbaglio, è ancora in Italia.
Hanno sequestrato e torturato, a morte, una persona di grande (certo era ancora giovane), crescente valore culturale.
Lo hanno fatto perché era “in gamba” ed era italiano. Anzi, soprattutto perché era italiano. Punto.
Cortesemente, vogliamo ragionare di questo e non del fatto se il generale Alberto Manenti, direttore dell’AISE, deve lasciare il “posto” prima della scadenza del suo contratto/incarico?
Quelli che cercano di focalizzare la questione su le responsabilità di Manenti lo fanno inoltre commettendo, tra gli altri, l’errore di sostenere ciò che solo le vecchie stereotipate visioni della sicurezza nazionale classificano tra “ciò che è dentro e ciò che è fuori.
Da parte di questi “incursori/guastatori”, si chiede, invece della individuazione dei colpevoli del massacro del nostro compatriota, la testa di Manenti, accusandolo oltre a tutto, con violenza inaudita, di “alto tradimento”, indicandolo “al soldo” degli inglesi.
Qui veramente la misura è colma: mentre gli egiziani ci buttano per strada, dopo averlo massacrato, il corpo (ridotto un cencio) di un nostro compatriota, il problema e chi andrà, scelto tra gli amici degli amici, a sostituire Manenti, ora da silurare?
Nessuno al mondo potrò mai dire che qualcosa mi unisca al generale che non sa neanche che esisto ma preferirei che le supposte intelligenze nostrane si dedicassero ad altro che non al solito stantio sport della “carega”.
In questa accusa di alto tradimento (essere al soldo di altre Intelligence e dirigere l’AISE, per me sarebbe “alto tradimento”), ci vedo una mania di protagonismo senescente.
Ci manca la perfida Albione e poi c’è tutto.
Quando c’erano gli inglesi (e si vedevano), si diceva che era il Mossad.
Quando c’erano dietro gli avvenimenti (e si vedevano) i francesi, si diceva che Rosario Priore era un “cazzo d’acqua”.
Quando dietro agli avvenimenti tragici di questo nostro insanguinato paese si vedevano i servizi segreti libici e somali, si cincischiava di carriere e di nomine da favorire.
“Ciò che è dentro e ciò che è fuori“, è una stronzata da dilettanti allo sbaraglio che nulla sanno di transdisciplinarietà e di contaminazioni culturali tra ambienti e comportamenti che si tengono, dentro e fuori, realtà “immateriali” grazie a quella recente, rimossa, invenzioncella minore che va sotto la denominazione di informatica/telematica/rete che notoriamente non è luogo definibile con “un dentro e un fuori”. La divisione obsoleta serve solo e unicamente a raddoppiare organici e budget da utilizzare senza chiari giustificativi. È una diarchia che ha sempre e solo alimentato ostilità carrieristiche che oggettivamente favorivano criminalità e nemici vari della Repubblica (quelli sì, “dentro e fuori”) e sperperi a non finire, facendo salire a 4000/4200 le persone in organico nelle doppie strutture (in realtà gli organismi sono di più e alcuni esperti dovrebbero saperlo!), spesso (quasi sempre) personale “raccomandato e cooptato” per motivi di fedeltà al cooptante di turno e ai suoi referenti politici, con profili professionali inadeguati ma tutti, loro sì agenti/spie/cazzari vari, grazie alle “indennità di cravatta”, lautamente retribuiti. Spero inoltre di non dover utilizzare tempo e parole per elencare tutto quello che è accaduto nel nostro Paese a causa di questa stronzata “del dentro e del fuori”, a cominciare dagli appalti per acquisire immobili da adattare alle esigenze del servizio prima fra tutte quella di Roma, a piazza Zama, costata troppi milioni all’erario, lievitazione avvenuta sotto il naso distratto di chi, interessandosi del “dentro” e della “criminalità organizzata”, ne avrebbe dovuto usufruire, ma al tempo stesso vigilare in casa propria, perché il datore di lavoro (lo Stato) non ne fosse danneggiato.
Stronzata semplicistica e vetero-intelligente ancor più quella che divide le competenze tra criminalità casareccia e quella planetaria.
A chiunque studi, con la doverosa umiltà, la materia in oggetto, oggi è stra-chiaro che le grandi organizzazioni criminali e il terrorismo insorgente (il fuoco di paglia ISIS, per intendersi), questa divisione a cui si rifà qualcuno per attaccare la figura del generale Manenti (oggi lui, ieri un altro, domani chissà), non sanno neanche cosa sia.
Loro sì, i criminali, intelligenti ed efficienti.
Buttarsi a parlare di Manenti, mentre Giulio Regeni è stato annientato, la dice lunga su chi c’è dietro a quelli che inopportunamente sono stati considerati per anni pupari e invece ora e chiaro, erano pupi.
Usciamo dai fratelli Podrecca o Derege che dir si voglia.
La verità e che da troppi anni non si ragiona sui criteri di reclutamento, selezione, formazione del personale e quindi di chi, custode dei custodi, debba avere l’onore di guidare le sentinelle della legalità (gli occhi e le orecchie intelligenti della Repubblica), allevate all’arte e alla virtù del saper dire di no, persone primariamente ed esclusivamente motivate dal vedere, in servizio e nei servizi, regnare la “meritocrazia”, scelta come regola sovrana negli interessi esclusivi della Repubblica.
Giulio Regeni, non spia quindi al soldo di nessuno ma “cittadino italiano colto”, capace di cogliere negli idiomi locali e nelle relazioni che si vanno a definire, il divenire dei pensieri che pervadono i popoli in trasformazione, anche violenta. Regeni, a mio unilaterale insindacabile giudizio, era, a tutti gli effetti, sia pur senza cedolino INPS ex IMPDAP, un “analista di intelligence“, al servizio di una concezione che porta a ritenere che la Sicurezza sia un concetto intelligente, un tema che richiede intelligenza e conoscenza della complessità.
Per noi (e riteniamo che lo fosse, analizzando i suoi scritti, anche per Regeni),
• La meritocrazia è una questione di sicurezza.
• La tutela ambientale è una questione di sicurezza.
• L’autonomia energetica è una questione di sicurezza.
• La gestione pubblica delle risorse idriche è una questione di sicurezza.
• La protezione delle reti, fisiche e informatiche, è una questione di sicurezza.
• Il controllo diretto dei beni di prima necessità e delle materie prime, naturali e tecnologiche, è una questione di sicurezza.
• Una politica dei trasporti e della comunicazione democratica e secondo una logica di servizio e non di profitto è una questione di sicurezza.
• Un sano rapporto tra finanza ed economia è una questione di sicurezza.
• La lotta alla corruzione e all’evasione è una questione di sicurezza.
• Il contrasto al lavoro nero, anche nelle forme mascherate di forme di contratto atipico, è una questione di sicurezza.
• La libertà dell’informazione è una questione di sicurezza.
• Un sistema di giustizia giusto è una questione di sicurezza.
• L’equilibrio tra i poteri è una questione di sicurezza.
• La cooperazione internazionale è una questione di sicurezza.
• Una politica estera sapiente e strategica (e non asservita al business e ai più forti) è una questione di sicurezza.
E queste (ed altre) sono tutte questioni di intelligenza di Stato. Dentro e fuori i confini della Repubblica come la dottoressa (in filosofia, in Transdisciplinarietà e in Intelligence Ubiqua), Emanuela Bambara (così ora sei contenta?), ebbe a dire durante il convegno “Lo Stato Intelligente. I finanziamenti europei per l’innovazione e per la Sicurezza” a cui da anni mi richiamo come primo (ma per volontà di altri da me, anche ultimo) momento di quel cambiamento di paradigmi culturali necessari a modificare, nella sostanza, i criteri di reclutamento e di formazione del personale che, per amore della Repubblica e del suo popolo sovrano, dovrebbe essere schierato, al solo fine di comprendere la complessità dello scontro culturale in atto e di apprendere l’arte di saper estrarre dalla realtà ciò che c’è ma non si vede.
Di muscolosi e fascinosi seduttori di femmine e bevitori di martini secchi, il mondo ne è già pieno. Viceversa, avrebbe sempre più bisogno di leali, normali, appassionati personalità capaci di intellegere. Concludo con una punta di crescente disgusto constatando che qualche amico degli amici ha solo, prendendo spunto dal delitto infame, evidentemente l’obiettivo di denigrare qualcuno, distraendo di fatto quel poco di opinione pubblica rimasta, alleggerendo così la posizione del criminale al-Sisi e dei suoi sgherri.
Oreste Grani