Torno sul caso del fisico Fulvio Frisone e su quanto si continua a leggere di lui in rete

Dedico questo “vecchio post” “LA MENTE NON AVVEZZA ALL’INDAGINE FISICA NULLA SA DELLE AZIONI A DISTANZA”. ALBERT EINSTEIN O, GUGLIELMO DA BASKERVILLE scritto il 10 novembre 2013, un secolo addietro, alla vicenda che continuo a ritenere incredibile del fisico italiano, Fulvio Frisone coraggioso e forte, più di tanti suoi colleghi, maltrattati lo stesso dall’indifferenza del potere politico nazionale ma almeno non così vessati personalmente dal destino “cinico e baro”.

Pubblico la riflessione di quel giorno e ancora una volta chiedo all’amica rete attenzione ed approfondimenti su questo caso.

Oreste Grani


“LA MENTE NON AVVEZZA ALL’INDAGINE FISICA NULLA SA DELLE AZIONI A DISTANZA”. ALBERT EINSTEIN O, GUGLIELMO DA BASKERVILLE?

Einstein

Tra le opportunità di “servire” che la Provvidenza mi ha apparecchiato, quella di cui leggerete di seguito, ha le caratteristiche di una sfida tra le più impegnative.

Mi son detto: accetta di interessartene ma, procedi con la massima prudenza, cerchio concentrico dopo cerchio concentrico, come sai fare. E, così farò.

Inoltre, mi sono detto: l’esistenza e la sopravvivenza stessa dell’uomo sono da sempre legate alla pietra visto che dal manufatto litico di selce o di ossidiana, strumento indispensabile di uso quotidiano e arma di offesa e di difesa, ai monumenti megalitici (menhir, bètili, dolmen) protesi verso il cielo, tutto è “pietra”. Dal nuraghe di rozzi blocchi basaltici, ai templi e ziqquarat che pongono in contatto l’uomo con la divinità, la pietra è dagli albori dell’umanità, dai tempi in cui l’Australopithecus di Olduvai imprimeva le sue orme nella molle argilla del Sud Africa, strumento di vita e di morte, veicolo di sacralità, simbolo di incorruttibilità e di eternità. Vuoi vedere che anche questa volta le pietre ci danno una mano?

La mia vita professionale, ad esempio, è stata segnata, più volte, dal Kami, “genio” che, secondo il pensiero buddista, abita “financo” le pietre, mondo solo apparentemente inanimato che palpita, invece di vita. Potete immaginare, lettori che mi cominciate a conoscere, quanto sia stato attratto, quando ho intravisto, nella complessa vicenda denominata “la via italiana alle reazioni piezonucleari”, stereotipi, luoghi comuni e, un qualche odore di “caccia alle streghe”. Mi son detto che la tecnica, “calunniosa e denigratoria”, era stata messa in atto persino contro Albert Einstein quando (sono parole di Carlo Bernardini), “la muta accanita dei tradizionalisti gli è subito alle calcagna, per azzannarlo, screditarlo, dimostrare che  le sue idee fanno a pugni con i fatti“.

Da profano della fisica e della matematica necessarie per avvicinare sistemi periodici, modi normali, costanti del moto, variabili d’azione, invariati adiabatici mi sono detto che se la tecnica calunniosa aveva funzionato (o meglio, aveva tentato di funzionare) con Einstein, figurarsi se non poteva funzionare per degli studiosi di “casa nostra”.

Ed è in questa espressione, “casa nostra”, che cerco la spiegazione di tanto accanimento contro l’ipotesi che la reazione nucleare ultrasonica “funzioni”. Mi sono fatto forte ricordando che, nel “nomadismo transdisciplinare” caratterizzante il mio operare alla ricerca costante delle condizioni perché potesse vedere la luce (anche in Italia) una condivisa e sufficiente “strategia di sicurezza nazionale” ho perfino agito in modo che di Albert Einstein si potesse leggere (anche in Italia), il pensiero di Françoise Balibar. Per chi, giustamente, non lo sapesse, la signora è stata professore emerito di Fisica all’Università Paris VII ed è considerata tra le studiose più autorevoli del pensiero di Einstein.

Dicevo che, ho operato perché nel centenario (1905-2005) delle “uscite” pubbliche del giovane Albert Einstein, si tornasse a ragionare sulla complessità di quegli esordi e sulle implicazioni che i famosi “cinque articoli” ancora si portavano dietro. Per celebrare degnamente quella data, feci in modo che fosse editato un libro (“Einstein 1905. Dall’etere ai quanti” di Françoise Balibar con prefazione di Carlo Bernardini) con l’ambizione di dare un contributo al quesito che i profani della “fisica” (quale ovviamente io sono) si pongono: che cosa è la luce?

La prefazione fatta scrivere appositamente da Carlo Bernardini otto anni addietro, riletta in queste ore, mi ha soccorso e stimolato, in questa vicenda di “denigrazione oscurantista”. Leggete anche voi e vediamo che effetto vi fa. Le quattro cose che ho postato su Occhialini e Ippolito hanno fatto “bene” e sono “piaciute” a centinaia di lettori. Quel passaggio, dal “buio alla luce”, che mi prefiggevo, accendendo e programmando, su quei personaggi e su quelle date, la “Macchina del tempo“, ha funzionato. Procediamo quindi, per “metafore e analogie”, ricordando che “fu un oscuro impiegato dell’ufficio Brevetti di Berna a riscrivere, durante il tempo libero, le leggi della fisica“.

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Carlo Bernardini, con queste poche righe, ci ricorda i “buchi nell’acqua” che fecero i denigratori di Albert Einstein e che, nella ricerca, tra le altre doti, ci vuole tenacia. Io aggiungo, nella mia semplicità, che il “mito Einstein” data, in realtà, molti anni dopo il 1905: il suo pensiero passa solo nel 1919, fortemente sostenuto (anche) da ragioni politiche tendenti a far dimenticare la Grande Guerra e le sue atrocità. Einstein “esplode” (come riferisce appunto la Balibar) quando le osservazioni effettuate dalla spedizione inglese di Eddington confermarono uno dei risultati della teoria della relatività generale. In realtà (dice ancora la Balibar), Einstein non era quell’arcangelo Gabriele, apparso d’improvviso nel cielo della scienza all’inizio del secolo che una storia mitica dell’umanità ha immaginato. Per la studiosa francese era, giustamente, il geniale continuatore di una tradizione intellettuale, quella della fisica moderna inaugurata da Galileo. Era, inoltre, arrivato il tempo di esaltare la cooperazione tra gli scienziati di tutto il mondo, contro gli odi nazionali. C’è un tempo per ogni cosa e, “se non è tempo”, farcela è veramente dura. Duro come la pietra, come il ferro, come il pregiudizio.

Dicevo che sono un “ignorantone” in fisica e in matematica ma non in “disinformazione e misure attive“. È in quanto cultore di questa materia, altrettanto complessa della fisica quantistica (non me ne vogliano di questa affermazione gli accademici!), che ho deciso di “fare luce su” questa vicenda delle microscopiche cariche cave nucleari e su chi potrebbe aver avuto interesse a soffocare, sul nascere, una ipotesi forse utile alla ricerca di una “indispensabile” sovranità nazionale energetica. Vedremo se tutto quello che era opportuno fare è stato fatto e se i protagonisti di questa vicenda, giornalisti divulgativi per primi, liberi da stereotipi e pregiudizi, hanno agito onestamente, nell’interesse della Verità e dell’Italia. O se, viceversa, si è lasciato, soprattutto da parte della corporazione della stampa scientifica, che “la muta accanita dei tradizionalisti” agisse indisturbata perché, anche questa volta, “l’asino venisse attaccato dove il padrone (dell’energia) voleva“.

Oreste Grani