Maledetti assassini, mostri assatanati di sesso! Che il Mondo non dimentichi i vostri stupri e le vostre ordalie
19 donne yazide sono state bruciate vive “in gabbia” da quei “coraggiosi” combattenti arruolatisi nell’IS, ISIS o altra sigla di turno.
Posso onorare e provare – nella mia marginalità – a non dimenticare questo (ennesimo) sacrificio solo ripubblicando i post che a suo tempo (quando pochissimi italiani sapevano chi fossero gli yezidi) ho offerto alla rete cercando di suggerire un chiave interpretativa di tanto ferocia nei confronti di quel popolo e della sua antichissima ritualità. Bellissime le donne Yazide e per questo fino a quando non le si brucia perché troppo oneste e fiere nel loro rifiuto, usate come sfogo sessuale dagli infoiati, invasati, seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
Che il Mondo, quando li avremo per le mani, non dimentichi che la giustizia e la determinazione punitiva non è solo una prerogativa dei seguaci di Allah. Maledetti per sempre, nei secoli dei secoli, i piromani assassini di tanta bellezza e purezza d’animo. Che il mondo delle donne libere, novelle Wiesenthal, cominci ad organizzare la caccia a questi “barbuti Himmler” qualora dovessero sfuggire alla punizione della guerra tradizionale.
Oreste Grani/Leo Rugens
L’ODIO PER GLI YEZIDI QUALIFICA (SE CE NE ERA BISOGNO) I CARNEFICI DELL’ISIS
Ogni giorno ci arrivano particolari sulla persecuzione che gli Yezidi stanno subendo da parte dell’ISIS. Prima ci pensava Saddam Hussein, ora quelli che sono venuti dopo di lui. Costanti sono le vittime sacrificali. Cambiano solo i carnefici.
E noi ripostiamo ciò che a suo tempo vi abbiamo detto del popolo che venera il Pavone. E non solo quello.
Oreste Grani/Leo Rugens
ALCUNI (200) YEZIDI TORNANO IN LIBERTÀ IN QUANTO “MEZZI MORTI” E NON PIÙ UTILIZZABILI IN ALCUN MODO DAI LORO CARCERIERI
Gli Yezidi tornano di “moda”: quelli troppo vecchi e gravemente ammalati (circa duecento persone) vengono abbandonati dai loro carnefici dell’ISIS e, su alcune emittenti, si dice che “sono stati liberati”. Altri tremila, ancora non si sa dove siano. In attesa di un gesto di magnanimità jihadista, ripubblichiamo i post che abbiamo dedicato, a suo tempo, al popolo degli Yezidi e alla loro antichissima cultura e spiritualità religiosa.
Oreste Grani/Leo Rugens
LA SAGGEZZA E LA SPIRITUALITÀ DEGLI YEZIDI È VENDUTA IN MERCATI DESOLATI DOVE NESSUNO COMPRA
Alcuni giorni addietro, ho provato ad immettere nella rete (in altro blog), alcune riflessioni dedicate alla spiritualità del popolo yezida e mi sono beccato subito sarcastici commenti ad opera di “uomini concreti” che, a solo sentir parlare di cose gnostiche, hanno reagito come quando uno è attaccato dall’orticaria.
Ho lasciato perdere, stanco e vecchio come sono, e ho cassato quel luogo telematico come indirizzo web dove provare a dire la mia. Continuerò a leggerlo, perché sembra un sito ben informato su quanto accade in giro per il mondo ma parlare di elevazione spirituale, da quelle parti, mi è apparso inutile. Certamente hanno ragione “i geopolitici” e le miei accenni ai rizomi tra alcuni mondi ed altri sono cazzate.
Mi immagino cosa mi avrebbero detto, questi super esperti di guerre e di combattimenti feroci, se avessi accennato che quando ci si trova di fronte a “terroristi” che si fanno esplodere, certi della morte, è doveroso chiedersi come sono fatti, se vogliamo, non dico prevenire ma, almeno, intuire i tassi di pericolosità di queste persone. Provare a studiare quali siano le motivazioni profonde oltre a quanto sentiamo da sempre raccontare delle delizie che alcuni godranno se muoiono secondo una certa ritualità, che spingono, donne e uomini, anche molto giovani, ad immolarsi, è il minimo se si pretende di dispensare interpretazioni sulla “guerra tra la gente” in atto. La verità che gli ambienti militari o di chi ritiene di interessarsi di cose complesse quali sono la Pace e la Guerra, sono spesso, come direbbe il sommo Sgarbi,frequentati da delle “capre ignoranti”. Osservare, studiare, cercare di capire se ci troviamo di fronte a un personaggio che ritiene, dopo lungo indottrinamento, di sapere come si arriva a possedere una conoscenza del modo per liberarsi dei beni materiali e considerarsi quindi pronto alla “vera vita” in quanto già “morto” in questo di mondo, è fare strategia di sicurezza se, come non potrà non essere, vivremo sempre di più in una realtà multireligiosa e multietnica. Non dico che il terrorismo suicida sia figlio dello gnosticismo sufi ma, sicuramente, è una “degenerazione”, una “perversione”, di tutto un intendere, da parte dei musulmani, l’aldilà, dopo aver giudicato il nostro (cristiano/ebreo/ pagano/agnostico/ateo) di aldiquà.
Torno agli Yezidi e ai luoghi dove, in questi ultimi mesi, si combatte. Nel nord dell’IRAQ, a fine del ‘900, i turchi sono già passati a depredare gli Yezidi, a uccidere e violentare le loro vergini, a rubare gli oggetti sacri. I turchi quando avevano bisogno di denaro per pagare i soldati li mandavano da quelle parti a rubare ciò che volevano. Oltre, come già detto, a sollazzarsi con le ragazzine e ragazzini yezidi. Altri prima dei mostri dell’ISIS, hanno bruciato Lalish. I musulmani turchi sono già passati a cancellare, dentro e fuori dei santuari yezidi, gli esagrammi (due triangoli incrociati), le rappresentazioni dei sigilli di Salomone, le asce, i bastoni da pastore, i cerchi di fiori a sei petali e altri cerchi con il sole, la luna, le stelle. Molto di ciò che consentirebbe di studiare in modo approfondito i legami (rizomi è la parola che ha fatto scandalo nel sito di cui ho fatto cenno), è stato, nei secoli, azzerato, dall’ISIS di turno. Anche per questo, il popolo degli Yezidi e il suo Baba Sheykh, vanno difesi e preservati.
La saggezza e la spiritualità degli Yezidi è venduta in mercati desolati dove nessuno compra.
Questo penso, al contrario “degli uomini con i piedi per terra” di cui, temo, sia affollato anche il web.
Oreste Grani/Leo Rugens
GLI YEZIDI CHIAMANO IL PAVONE “SENJAQ” E LO CONSIDERANO UN ANGELO PROTETTORE “INVISIBILE”
Possibile che i “maiali” dell’ISIS, fattisi credenti in qualcosa, in realtà stiano agendo, partendo dal Nord dell’IRAQ, in modo mirato per sterminare (tra gli altri) gli Yezidi, in quanto custodi del culto dell’Angelo Pavone? In molti, ieri, avete letto la mia provocazione culturale che ipotizzava un rizoma tra Massoneria e il popolo degli Yezidi, gente scelta da Dio (secondo la loro credenza) per soffrire le pene e le tribolazioni dei secoli.
Oggi, aggiungo una scheda che fa riferimento alla figura mitica del pavone, in varie epoche e a diverse latitudini. Fatene l’uso che riterrete opportuno ricordando che gli Yezidi chiamano il pavone “senjaq” e che questa immagine per loro diviene sacra supponendo che l’Angelo Pavone, Signore della Terra, sia il loro protettore invisibile. Possiamo immaginare con quanta trepidazione qualcuno di loro, in questo momento, in fuga e sotto la minaccia di morte, trasporti segretamente l’effige (solitamente è una statua in bronzo raffigurante lo splendido uccello piumato, divisa in tre parti e di facile assemblaggio) del governatore del mondo, l’angelo più potente che, secondo il loro credo, ha ricevuto il controllo dell’universo dal Primo Architetto. Gli Yezidi, portando in salvo lo “senjaq”, stanno salvando il fulcro della loro devozione, il segno stesso della presenza divina in terra e della sua onniscienza.
Il Pavone quindi per gli Yezidi è il simbolo della continuità e delle necessarie benedizioni. Per altri, nei secoli e in varie parti del mondo, è stato ed è altro. Ma, sempre,essere vivente altamente considerato. Il cristianesimo, ad esempio, ha identificato, a suo tempo, il pavone con il cielo stellato e con l’immortalità poiché i seguaci di Cristo ritenevano che le sue carni non andassero in putrefazione. In India, Lakshmi, sposa di Vishnu, è rappresentata in groppa ad un pavone. L’uccello, ovviamente, magnifico come è, divenne il simbolo della straordinaria bellezza della dea. Per il buddismo, il pavone costituisce una delle manifestazioni del Bodhisattva, rappresentando il risveglio spirituale, la grandezza d’animo, la funzione sacra di assistenza agli altri, di insegnamento e di diffusione della via da percorrere per raggiungere l’illuminazione. In Cina la Regina Madre Wang (la Regina dell’Occidente) è rappresentata con al suo fianco un pavone. L’uccello in questo caso è il simbolo dell’eternità e del Paradiso. Nella mitologia greca diventa attributo peculiare di Era, dea sempre alle prese con le infedeltà di Zeus, suo sposo.
Era, per risolvere il primo caso di “video sorveglianza” per infedeltà coniugale della Storia, si assicura la collaborazione del gigante Argo, che ha la particolarità, oltre alla sua impressionante statura, di avere cento occhi. Egli è dunque un guardiano ideale perché non solo i suoi cento occhi vedono tutto, ma in più dorme tenendo chiusi soltanto cinquanta occhi. A sorvegliare Zeus ci sono quindi almeno cinquanta occhi, quando non cento. Il signore dell’Olimpo ne è molto infastidito perché, a dispetto della sua divina natura, non può sottrarsi ad una sorveglianza così attenta. Argo è invulnerabile nella misura in cui non lo si può attaccare di sorpresa. Inoltre è un gigante, dunque ha una forza straordinaria e nessuno neppure un dio, può batterlo. Zeus, non potendo risolversi ad essere fedele, in un eccesso di disperazione fa appello ad Ermes, sottoponendogli lo spinoso problema.
Ermes, non smentendo la sua reputazione di genio, trova subito la soluzione: si presenta ad Argo e gli propone di suonare il flauto per lui. Grazie aal sua maestria nell’arte della lusinga, convince rapidamente il gigante dei benefici effetti della musica e comincia ad interpretare i brani più noiosi e soporiferi del suo repertorio. Argo non resiste a lungo e si addormenta profondamente, chiudendo, per la prima volta nella sua vita, ma anche per l’ultima, i suoi cento occhi. Ermes si getta allora sul gigante e lo uccide. Zeus, in visibilio, si congratula a lungo con l’atuto dio e gli promette grandi ricompense, mentre Era piange la tragica scomparsa del suo fedele e insostituibile servitore. Nello stesso momento, un pavone passa davanti alla dea. Ella prende allora i cento occhi di Argo e li getta sull’uccello. Fiero del suo splendido ornamento, il pavone fa la ruota e lascia apparire i cento occhi di Argo. Da quel momento, il pavone diventa l’attributo di Era, figurando fedelmente al suo fianco nelle rappresentazioni della dea.
Doppiamente costruita sulla vanità di Zeus maschio trionfatore e sulla presunzione di Era di avere la meglio nello scontro con il marito, la leggenda di Argo (che in questa forma riporto “saccheggiando” un lavoro di Corinne Morel) diventa un monito riguardo al pericolo dell’orgoglio. Assicurandosi i servizi del gigante dai cento occhi, Era manifesta il desiderio di un controllo perfetto e totale; ella rivela così le pulsioni “anali” che spingono a voler padroneggiare tutto in modo assoluto. Zeus, riuscendo a vincere Argo, a sua volta, dimostra la potenza e la forza della sessualità. Le due energie a confronto sono sintetizzate, in lotta eterna, nell’incarnazione del pavone. Ecco la “preziosità” e la “sacralità” del pavone per l’umano e per il divenire delle cose. Gli Yezidi, come vi ho ricordato, considerano sacro il pavone, detto “senjaq”. Per mille altri motivi, nessuno deve osare far loro violenza ma anche e, soprattutto, per questo loro amore spirituale per il pavone.
Oreste Grani
500 YEZIDI SONO STATI SEPOLTI VIVI DA QUEI “MAIALI”, FALSI CREDENTI IN DIO, DELL’ISIS. GLI YEZIDI SONO IN FUGA E A RISCHIO DI GENOCIDIO. CON ESSI SONO IN PERICOLO LE RADICI SPIRITUALI DELLA MASSONERIA STESSA
Come spesso accade un nome, una popolazione, una dinamica “territoriale” particolare assurgono, da un giorno all’altro, alla fama mondiale grazie ai media che cominciano a parlarne. Così sta accadendo con la popolazione degli Yezidi, fino a ieri sconosciuti ai più, nonostante la loro storia millenaria.
Ritenevo di aver citato, qualche mese addietro, questo popolo tra le tante righe scritte. Alla ricerca elettronica attuata all’interno del blog, non risulta questa citazione che pensavo di aver fatto a conferma che, nella mente di un uomo che ha vissuto troppo, qualcosa comincia a non tornare. Metto tanta attenzione a questo ricordo fallace perché il nome degli Yezidi, non solo si porta dietro uno spaccato della tragedia che è in corso in IRAQ ma appartiene a quel groviglio dei saperi che a pochissimi è dato di conoscere e di voler esplorare. Ritengo di suscitare con ciò che potete leggere di seguito qualche polemica tra gli addetti ai lavori ma, avvezzo come sono a sentirmi attribuire espressioni denigratorie, sfido ancora una volta la rete. Luogo che, fino ad oggi, dopo un primo momento spiacevole, mi è sempre stato amico. La rete, potrebbe, ancora una volta e in questo caso essere amica, non tanto mia, ma della verità. Lascerò, quindi, nell’oceano telematico, alcune riflessioni/informazioni che ad un primo esame sembreranno “senza capo ne coda”. Viceversa, a chi ha strumenti sapienziali altri dai miei (limitati e rozzi), il compito di negarne qualunque valore o di approfondirle, concorrendo così a non far ritenere – ai navigatori ignari – che la persecuzione degli yezidi sia casuale e tutt’uno con il “banale” caos bellico in essere in IRAQ.
Veniamo alle riflessioni/informazioni: nel tempo e nelle sedi opportune, si è fatta l’ipotesi che quel che oggi è conosciuto come “Massoneria” debba anche molto alla spiritualità degli Yezidi! Affermazione forte di cui, come al solito, mi assumo la responsabilità avendo chiaro che provare ad immettere, in una realtà italiana caratterizzata da un dibattito culturale che si limita a capire se oltre a Matteo Renzi anche la moglie è stata “coccinella” (scout al femminile); se il violentatore Denis Verdini sia o meno fratello di qualcuno e in qualcosa; se a Berlusconi Silvio sia lecito fottere le minorenni “emancipate”, un elemento di rivendicazione così complesso per le implicazioni filosofiche, religiose, geopolitiche che comporta è una vera e propria sfida al “sentire comune”.
Affermazione forte quella che faccio perché, tra l’altro, la filosofia yezida è tramandata oralmente. Ci sono pochissimi scritti yezidi. Tradizione orale che spesso si accompagna, nella storia dell’uomo, alla necessità di mantenere protetta e segreta la sostanza della “comunicazione del sapere”. Non a caso la summa del pensiero yezida si trova, più che altro, nei loro “inni”. I qewwal – i musicisti e cantanti sacri yezidi – li imparano e li tramandano. Poi li eseguono accompagnandosi con tamburi e flauti. Negli inni è racchiusa la loro filosofia spirituale e quanto la “contemplazione” sia il principale strumento di conoscenza. Contemplazione e meditazione, in particolare, sull’atto della Creazione. Nei loro canti, la Creazione ha inizio con una perla e dalla perla nascono “le pietre angolari”. Per addivenire, dalla perla ad “altro”, secondo gli Yezidi, ci vogliono le volontà e le azioni di tre architetti: c’è Dio, che ha creato la perla da cui derivano tutte le cose; poi c’è la “parola eterna”, vale a dire il pensiero di Dio nella sua Creazione; la “parola eterna” è chiamata anche, “architetto interiore” in quanto presente in tutte le cose; “terzo” architetto è l’Uomo.
La parola interiore è lo spirito delle cose; presente ma, invisibile. (Chi sa di cose che mi appartengono riconoscerà il queste parole il significato, più ad Oriente, del kami).
Per gli Yezidi la parola è il principio segreto e nascosto della Creazione, nel più piccolo atomo, nel pianeta più grande, nei soli, nell’occhio che consente di vedere. Oggi diremmo che la “parola” per gli Yezidi è come i geni che segnano la doppia elica del DNA. La parola, il logos, è lei stessa l’architetto interiore, la guida, il programma “segreto”, il codice che fa funzionare il tutto come la parola di accesso ad un computer (scusatemi la similitudine “blasfema”) e che tiene in sintonia armonica la parte con ogni altra cosa, dove la parte più piccola riassume l’intero e l’intero è l’unione delle parti. Secondo gli Yezidi c’è un’unica parola in tutte le cose. Come in ogni concezione mistica “tutte le cose sono uno”. Questa visione porta gli Yezidi a credere che questa parola sia l’architetto (l’uno) che gli uomini non vedono a meno che non lo cerchino. Questo comportamento “investigativo” è lui stesso il secondo architetto. Il terzo architetto, ormai vi è chiaro, è l’Uomo. Per la filosofia yezida, l’uomo si trova fra il Grande Architetto e la parola o architetto interiore. E racchiude l’architetto interiore nel suo essere, perché Dio è in lui. E’ così che l’uomo diventa architetto nel senso del termine oggi conosciuto, anche metaforicamente. E’ così che la sua mente si allarga attraverso l’applicazione della geometria. Per gli Yezidi l’uomo stesso diventa un microcosmo geometrico che riflette in modo costante e permanente il più grande universo. Cose che spesso si sentono dire (forse, anche, da troppi) ma che gli Yezidi tramandano oralmente da millenni. Prima di Stefano Bisi! Prima di Gustavo Raffi! Secondo gli Yezidi (di cui non sento prendere le difese consapevoli da parte di nessuna “consorteria dopolavoristica” italiana), il regno dei cieli è dentro ogni uomo ma l’uomo ha bisogno di prenderne coscienza per aprirsi alla sua identità interiore e per guardare attentamente dentro di sé. L’uomo deve cercare l’armonia con questa “parola dinamica” deve trovare il verbo fatto carne come ritroviamo indicato nel Vangelo di Giovanni, capitolo 1°.
Spero che, da soli, stiate trovando le assonanze, le similitudini, gli elementi metaforici che indicano nel popolo degli Yezidi un “bene prezioso” per l’Umanità intera ma soprattuto per chi aspira ad appartenere alla “Fratellanza Universale”. Per gli Yezidi non possiamo compiere l’intero viaggio quando siamo ancora nello stato dormiente (!), confuso o, a volte, semi addormentati. Per questo popolo in fuga perseguitato dal fanatismo che oggi ha la forma dell’ISIS, esiste la pietra perfetta o, come viene chiamata, “la pietra d’angolo luminosa”. Per lavorare la pietra non ritengo opportuno elencare gli strumenti che gli Yezidi, metaforicamente, indicano alla bisogna. Spero di non dover arrivare ad offendere la vostra intelligenza con questi particolari comprovanti la tesi suggerita in esordio di post. Preferisco riferirmi a quanto si dice nell’inno “Sceicco angelico” dove la guida è chiamata “capomastro” e dove si arriva a cantare, “tu sei il capomastro e io l’edificio”. Tengo a precisare che la datazione certa di questi pensieri “cantati” la si può trovare studiando la biografia di Sheykh Adi, docente e maestro di cammino spirituale, sicuramente vissuto intorno al 1100, e considerato dagli Yezidi un vero angelo riflesso del “divino”, sulla Terra. “Tu sei il capomastro e io sono l’edificio” anticipa in pieno i temi che dopo il 24 giugno 1717, in troppi, hanno voluto trattare. Così come in altro inno quando si parla delle quattro pietre angolari che sono in realtà, “uno”. Anticipazioni di saggezza e di elevazione spirituale e come tali vanno rispettate e ricordate. “Un’unica pietra angolare per uomini che tendano al sacro”: questo tramandano gli uomini oggi odiati dai carnefici dell’ISIS. “Pietre angolari” che in altro “canto” (l’Inno della fede) vengono assimilate ad angeli visti anche come fasci di luce. In quello stesso canto inoltre si chiede: “Qual’è il colore della luce?” Si risponde in altro verso dell’inno: “La Luce è la parola pre-eterna!” Vogliamo abbandonare questo popolo (e la sua spiritualità), “affidandolo” ai violentatori delle loro donne, camuffati da “califfi” o ai droni statunitensi? Vogliamo dimenticare e abbandonare gli Yezidi nel frastuono del rombo dei “bombardieri” o di urla di sirene evocanti strazio di corpi e menti? Se la Massoneria ha le sue radici nelle tradizioni gnostiche e se nei secoli ha voluto assumere il ruolo di Istituzione capace di difendere ad oltranza il principio di tolleranza delle varie tradizioni spirituali e religiose, ora è il momento di mostrare tutta la sua forza. Se, ne ha ancora una.
Sheykh Adi fu definito un eretico per aver detto in “suo” inno: “Per la tua colonna (!), sarò una buona pietra d’angolo”.
Questo è il linguaggio che la Massoneria spirituale dovrebbe usare se “ricordasse” le proprie origini e il proprio fine. Gli Yezidi sono tra gli ultimi continuatori della tradizione gnostica oggi in via di sparizione in un mondo votato al materialismo e alla sopraffazione che mira a fare i più schiavi di pochi fanatici. Gli Yezidi, oggi in fuga, sono costretti ad abbandonare la loro “valle sacra”, Lalish, che considerano da sempre, “pietra angolare per l’Umanità”. Quelle donne e quegli uomini, oggi violati, ritengono saggiamente che il destino stesso del’Umanità dipenderà da quella valle”. Il che, potrebbe anche essere vero, ora che siamo, come non mai lo siamo stati, vicini alla “terza guerra mondiale”. Certamente è ora, dopo aver fatto, inutilmente, per il petrolio mille guerre sanguinose, che la “fratellanza”, ovunque sia qualcosa di diverso da una lobby finalizzata alla prevaricazione dell’uomo sull’uomo, si mobiliti per sconfiggere i persecutori dei nostri fratelli in spirito. Che si muovano, subito, con ogni mezzo, in soccorso delle donne dei bambini, dei vecchi yezidi, “i poteri forti” americani, francesi, inglesi. Se esistono ancora; se ancora sono forti “per sapienza, spiritualità ed etica”. O tacciano per sempre, dedicandosi, da oggi in avanti, nelle logge, a qualche bicchierata tra “nostalgici”. Con questo, ho detto la mia, risolvendo così, una volta per tutte, la curiosità che accompagna, dalla nascita, questo blog: chi c’è dietro a Leo Rugens e chi sia, in realtà, il suo “redattore”. Sono uno yezida e considero gli yezidi, miei fratelli. Vado oltre: li considero, oggi più che mai, “patrimonio dell’Umanità”.
Oreste Grani o Leo Rugens che dir si voglia