Il canale di Suez 6 – Pompeo De Angelis

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Il viceré d’Egitto Said Pascià aveva preparato un treno speciale, alla stazione di Alessandria, su cui Lesseps viaggiò per il Cairo. I due si incontrarono a palazzo Kasr el-Nilo e il francese venne informato che era in atto una congiura diretta contro di loro. Said informò l’amico che in Egitto agivano degli emissari turchi che sobillavano l’esercito e persino la guardia reale, insinuando che il loro regnante non fosse astuto e coraggioso abbastanza da comandarli in battaglia e che si era messo in testa una impresa pazzesca in combutta con un signore straniero di cattiva fama. Il viceré spiegò che aveva deciso di allontanarsi dall’Egitto, temendo di far la fine di suo cugino Abbas Himi Pascià assassinato dai servi di palazzo. Intendeva visitare la regione del Sudan, protetto da un esercito di truppe scelte e dalla guardia fedelissima albanese. Chiese a Lesseps di seguirlo, ma l’altro ebbe bisogno di qualche giorno per cautelare gli interessi della Compagnia, in quella situazione oscura. Affidò a Ruyssenaers il compito di dirigere l’impresa da Alessandria e gli raccomandò di mantenere stretti i contatti con Saint-Hilaire a Parigi. Chiese a Mougel Bey di ingaggiare un nave, a Marsiglia, per pattugliare la baia di Péluse, con il motivo dei sondaggi del fondo marino, ma per segnalare se qualche bastimento inglese travestito da turco si stesse introducendo nella zona orientale del delta. Sistemate le cose, Lesseps avrebbe raggiunto Said tra la prima e la seconda cateratta del Nilo, a Siout e intanto, non fidandosi di restare a palazzo, alloggiò su un vaporetto ancorato nel molo di Bulac.

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L’attentato avvenne a mezzanotte del 26 novembre. Nella cabina in cui dormiva il promotore del canale dei due mari, qualcuno si introdusse furtivamente e appiccò il fuoco alla zanzariera del letto. Tra il fumo soffocante e toccato dalle fiamme, Lesseps riuscì a forzare la porta, ordinò al capitano di interrompere ogni comunicazione con l’esterno e di fuggire dal Cairo. Gravemente ustionato e febbricitante il francese navigò il Nilo e arrivò a Siout, 22 giorni dopo, il 18 dicembre 1856, ma Said si era spostato a Berber. Aveva lasciato come guida Defterdar, genero di Alì Pascià e cognato dello stesso Said, un circasso con il quale, il 24 dicembre, il malconcio pellegrino, riprese il cammino in dromedario, e attraversò il deserto di Korosko, seguendo la traccia degli scheletri dei cammelli lasciati dalla carovana di Said nella sabbia. Andarono dondolando per sei giorni verso la meta. Nelle ultime trenta leghe, la squadra forzò il passo delle navi del deserto e arrivò in tempo a festeggiare il capodanno del 1857 con Said Pascià.

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Nella notte di transito da un anno all’altro, il viceré rivolse un racconto ai suoi ministri, ai generali e all’ospite: quarant’anni prima, suo padre Alì aveva spedito il suo secondogenito Ismail alla conquista del Sudan. Il principe assoggettò i nubiani e impose loro un tributo di 1.000 cammelli, di 1.000 carichi di legna, di 1.000 carichi di paglia. Un giorno che Ismail, insieme al suo stato maggiore, banchettava, la popolazione selvaggiamente inferocita, circondò il campo egiziano con il legno e la paglia del tributo e incendiò il cerchio. Gli egiziani che cercarono di uscire dalle fiamme vennero uccisi dalle frecce degli arcieri della tribù. Gli altri bruciarono vivi. Mehemet Alì assegnò a Defterdar la vendetta. Il circasso arrivò in Sudan e incendiò i villaggi e le piantagioni del paese. Ritornò in Egitto trascinando centomila schiavi neri. Nella notte di capodanno, alla fine del racconto, gli indigeni, radunati nello spiazzo del villaggio, intonarono dei canti che non avevano la monotonia della musica araba. Said pianse. I ministri e i generali chiesero al Pascià il motivo della commozione e lui rispose che la musica gli aveva scosso i nervi. Più tardi, soli nella tenda, Said confidò a Lesseps che aveva dedicato le lacrime allo sfortunato paese a cui la sua famiglia aveva causato tanta disgrazia. Ferdinand Lesseps lo rivide com’era tanti anni prima, un ragazzo dodicenne grassottello, che piangeva sul suo petto perché il padre non lo faceva mangiare per farlo dimagrire e lui, il vice console, offriva di nascosto a Said affamato un piatto di carne. Il ragazzo di allora era diventato un uomo di stazza enorme e pingue. Sedeva a gambe incrociate, la schiena contro un tappeto, figura con turbante, male illuminata da poche candele e biascicava di voler cancellare l’ingiustizia di suo padre. La libertè, l’egalité e la fraternité per i sudanesi, perché lui era un re che amava la rivoluzione francese. La mattina seguente, la carovana partì per Chendy, il luogo dove Ismail era stato bruciato. Ad attendere Sua Altezza, nella piazza sotto la cittadella, era radunata una moltitudine di indigeni, tenuti sotto mira dai cannoni sugli spalti. Said Pascià ordinò: “Andate alla cittadella e togliete i cannoni. Gettateli nel Nilo. Io farò rientrare in Egitto tutti i funzionari turchi e lascerò a voi il potere di amministrarvi. Formerete una municipalité a Chendy.”

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La moltitudine eccitata da qualche idea che non decifrava batté il terreno con i piedi nudi, al ritmo dei tamburi. Sembrò che tremassero tutte le terre del Nilo Bianco. Lesseps fu lasciato a Chendy, insieme ad alcuni funzionari, a presiedere la elezione dei capi famiglia con i quali organizzare la municipalità. Il viaggio diventava sempre più straordinario per lui. Lesseps riempiva le pagine di un livre de voyage vierge con annotazioni utili a rispondere a un questionario dell’Accademia imperiale della Scienze rivolto ai viaggiatori il cui scopo fosse la ricerca delle sorgenti del Nilo Bianco. Le circostanze gli sembravano favorevoli per contribuire a questa inchiesta. Cominciò a scrivere che le popolazioni rivierasche erano addensate nelle valli un cui la terra era feconda. Le loro armi erano le lance, le frecce, le grandi spade a doppio taglio, gli scudi in legno d’ebano, i tridenti che i nativi lanciavano a mano. Gli uomini in genere si presentavano interamente nudi, le donne si coprivano, en partie, con pelli di montone. Nessuna tribù conosceva la scrittura. Il capo tribù era colui che aveva più donne e più bestiame. I nocchieri di Sua Altezza lo vennero a prendere con la barche e il 10 gennaio Lesseps raggiunse Khartoum, la città fondata quarant’anni prima da Alì Pascià, alla confluenza fra il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro. I fiumi si congiungevano conservando il loro colore: le acque che provenivano da est erano chiare e bluastre, quelle da Ovest giallo-biancastre. Il viceré ricevette l’amico francese in modo inusuale, apparve brusco ed irato e gli disse di andarsene, che aveva preparato per lui una spedizione per levargli il desiderio di conoscere il Nilo Bianco.

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Lesseps navigò il fiume, che in giravolte percorreva una immensa pianura coperta di foreste; andò a caccia di coccodrilli di cui seppe l’orrenda abitudine di addentare gli uomini per un braccio, trascinarli sott’acqua e divorarli su qualche isolotto vicino. Sparò quindici colpi a uno di questi bestioni, ma i proiettili rimbalzavano sulla pelle corazzata e l’animale non si degnava di spostarsi. Rimase lontano da Khartoum fin quando il viceré non gli permise di tornare. Il 17 gennaio, trovò Said Pascià festante, perché aveva elaborato da solo la costituzione e i codici civili e penali del Sudan, che gli scrivani stavano copiando in forma di cachet vicereale. Il primo cachet venne emanato, il 26 gennaio 1857, per le cinque provincie del Sudan: il Sennaar, il Kordofan, il Taka, il Berber, il Dongolah. L’ordinanza esordiva con il proclama: “Ho deciso, per spirito di giustizia, che il vecchio sistema sarà abbandonato.” Il codice riguardava le tasse e le corvè, istituiva i tribunali e i servizi di collegamento con il centro. Per norma, le imposte andavano ripartite in proporzione alle risorse dei territori il cui valore sarebbe definito dagli sceicchi, ma le quote dovevano essere pagate “senza soffrire, in modo che la popolazione dimenticherà quanto aveva sofferto in passato e avrà una vita felice in futuro.” Non sarebbero perdonati gli sceicchi che vessassero la popolazione. Seguivano indicazioni per l’urbanistica e per le dimore: “Quello che consolida la prosperità di un paese è la bella costruzione delle case nella città.” Le nuove abitazioni andavano allineate lungo le strade e dovevano ornarsi di un giardino: il terreno del giardino era esente da tasse. Le strade e le rive del Nilo andavano alberate. L’esercizio della giustizia veniva affidata a uno speciale tribunale della tribù, chiamato moudériè (un termine francesizzante), a cui rivolgersi per le questioni civili. Nel caso di furti, di omicidi e di altri reati violenti interveniva una assemblea di rappresentanti dei vari moudèriès. Gli affari dei beduini andavano risolti a parte dai loro sceicchi del deserto o dallo sceicco superiore. Gli abitanti della montagna, che vivevano nello stato selvaggio dovevano essere portati allo stato umano e andavano considerati uomini liberi e non schiavi. Per le punizioni dei delitti la prigione non doveva durare più di quanto comminato e i prigionieri andavano trattati con misericordia. L’ultima parte del cachet riguardava il servizio postale con cui le città rimanevano collegate con il centro: ogni moudériè doveva disporre di 10 dromedari per le comunicazioni, oppure di venti cammelli, considerando che ogni 5 ore di marcia di un dromedario corrisponde a 10 ore di un cammello. Il primo cachet concludeva: “State in guardia contro chiunque possa attaccarvi.” La seconda ordinanza comportava le delucidazioni del testo precedente. La nuova fiscalità entrava in vigore dall’anno presente, vale a dire dal 1272 dell’Egira. Il governatorato del Sudan avrebbe stabilito i confini di ogni villaggio e gli sceicchi e i notabili dovevano istituire la moudériè e organizzare la difesa e la sicurezza delle strade. I ladri e gli assassini condannati a vita nel Sudan avrebbero scontato la pena nei bagni penali dell’ Egitto e, viceversa, i criminali dell’Egitto verrebbero reclusi nel Sudan. Sua Altezza Said Pascià aveva superato il suo momento di crisi per il parto da legislatore e da risanatore delle ferite del passato. Tornò di buonumore quando gli sceicchi si inchinarono al suo ordinamento per cui, con gioia, aveva richiamato sé Lesseps.

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Durante il periodo di assestamento politico, il francese scoprì la città. Khartoum contava 35-40.000 abitanti ed era il centro del commercio dell’avorio. Lesseps vi incontrò Malzac, grande cacciatore d’elefanti, che scambiava, tra i selvaggi, le perline di vetro colorato con le zanne; costui offrì al geografo, per il suo livre de voyage, notizie sugli usi della popolazione della foresta. Altri interlocutori furono il medico Peney, che lo istruì sulle malattie di una zona caldissima e umida e Henglein, console dell’Austria in Sudan, zoologo, che aveva esplorato l’Abissinia e aveva redatto la carta del suo viaggio. Gliene cedette una copia per l’Accademia delle Scienze. Don Ignacio Knoblecer, portoghese, capo della missione apostolica nell’Africa Orientale gli fornì i ragguagli sul Nilo, che, a suo dire, ridiventava navigabile dopo una catena di montagne chiamata Kenia, nella lingua somala. Disse che il fiume proveniva da un mare interno, sotto un monte nevoso. Lesseps riempì il suo quadernone di annotazioni antropologiche e zoologiche, distinguendo fra il tipo umano nero e il tipo etiopico e dilettandosi a ragguagliare sul come si formavano le famiglie e sull’avvenenza delle giovani donne con la pelle “color bronzo fiorentino”. Stilerà, quando tornerà alla Chenaie, le sue investigazioni in un “Memoire”, che sarà presentato, nella seduta del 27 aprile 1857, all’Accademia delle Scienze di Parigi. Il 28 gennaio l’enorme carovana del viceré prese la via del ritorno e dopo 22 giorni di marcia a piedi, in dromedario, in navigazione arrivò al Cairo.

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Said Pascià e Lesseps si ritrovarono nella residenza di Mit-Birè, a Damietta, l’8 marzo per approvare definitivamente il tracciato del canale d’acqua dolce da confluire nel lago Timsah, a metà dell’apertura fra i due mari. Mentre decidevano di aumentare la manodopera da 100 a 400 lavoratori per immagazzinare una attrezzatura di un centinaio di migliaia picconi e di pale e per radunare il legname e i laterizi necessari alla struttura, poterono leggere gli ultimi numeri del quindicinale parigino diretto da Saint-Hilaire, e dilettarsi in ampie dissertazioni durante le passeggiate in giardino. “L’Isthme de Suez”, nei due mesi di loro assenza, aveva polemizzato con gli “uomini di stato inglesi” che avevano lanciato lo slogan: “Il canale di Suez è inopportuno”. Saint-Hilaire aveva replicato, nel numero del 10 gennaio 1857: “L’Inghilterra ha tutto da guadagnare dal progetto dell’apertura dell’istmo ; non soltanto non può permettersi di offendere gli interessi di tutta l’Europa, ma non può mancare agli obblighi santi che la civiltà impone sia ai popoli illuminati che a quelli che lo sono di meno. … Le colonie potrebbero ancora avere dei contatti intermittenti e precari con la madre patria, ma sarebbero necessarie delle comunicazioni più frequenti e più regolari tra il regno britannico e le Indie Orientali. L’Australia intanto non è ancora nata; la Cina è ancora ermeticamente chiusa; il Giappone non si dispone ad aprire.” L’Inghilterra era in guerra nel pianeta orientale: una seconda campagna bellica l’aveva scagliata contro la Cina, per imporre al Celeste Impero l’apertura del mercato all’oppio indiano. Nel 1856, la flotta inglese aveva bombardato Canton (nel dicembre del 1857, la città verrà presa da forze alleate inglesi, francesi e americane). Era in guerra con la Persia per guadagnare posizioni nel Golfo Persico. Soffocava intanto le rivolte (vere e proprie battaglie) in India. L’Isthme de Suez traeva la sua morale da questi fatti: “Tutto ciò si riunisce per dimostrare, all’Inghilterra, non soltanto l’opportunità, ma l’urgenza del Canale di Suez. Questo grande progetto è venuta al punto, senza andare al di la del vero, di essere ormai una necessità del decimonono secolo.” Allarmanti furono le notizie del n° 17 de “L’isthme di Suez”, in data 25 febbraio, che annunziava cinque concessioni della Sublime Porta a compagnie d’affari inglesi. La prima riguardava una linea ferroviaria da Routschout sul Danubio al golfo di Saros a nord-ovest dei Dardanelli, per traversare le più ricche provincie europee dell’Impero Ottomano; la seconda concedeva un braccio ferroviario di venti leghe da Smirne ad Aidin; la terza consisteva in uno sfruttamento di 99 anni della ferrovia imperiale nella valle dell’Eufrate. La quarta concessione permetteva la collocazione di un telegrafo sottomarino dall’Inghilterra all’India, cioè il totale di quel progetto che Lesseps aveva caldeggiato per il tratto egiziano. La quinta concessione permetteva l’apertura di una banca, con capitale di 300 milioni di franchi a Costantinopoli Apparve chiaro, a Damietta, che l’opposizione di Lord Palmerston a Lesseps era motivata dall’egoismo dell’isola britannica in una politica che abbracciava mari e continenti dal Pacifico al Golfo Persico, da Pechino alla Persia, dall’Australia al golfo di Suez. Nel momento del massimo slancio di conquista di colonie, da parte delle potenze occidentali, nei continenti limitrofi, questa intraprendenza del gabinetto inglese apparve in concorrenza o in combutta con il resto d’Europa. Il viaggio in Sudan sbiadì come un ricordo di vacanza. I mari dovevano essere solcati dalle cannoniere a vapore. Dopo tante considerazioni, Lesseps seppe che voleva rientrare in Europa, e arrivare ancora a Londra, dove le concessioni ottomane andavano frenate sul Tamigi. Lui proponeva una geografia di percorsi coloniali più aperti e rapidi.

Pompeo De Angelis

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