EXPO 2015 – Nutrire la mafia / Cocaina per la vita
Non sono per niente sorpreso dagli articoli pubblicati in data odierna a caratteri cubitali del tipo “MIRACOLO EXPO 11 ARRESTI: MAFIA E SOLDI SPORCHI, DICIOTTO MILIONI DI APPALTI, COSA NOSTRA SI PRENDE EXPO” mi chiedo come sia stato possibile non evitare un disastro del genere visto che da circa 10 anni era ben noto agli addetti ai lavori cosa stava accadendo intorno al fenomeno Expo e le responsabilità che gravano sulle spalle di alcuni spregiudicati giornalisti
Ritornando indietro, precisamente nell’anno 2008, giorno 16 settembre, su delega della procura di Busto Arsizio si inviarono dei militari a perquisire la sede del Corriere della Sera e precisamente l’ufficio e l’abitazione della nota giornalista Fiorenza Sarzanini per alcuni fatti gravi accaduti nei mesi antecedenti.
Il risultato di quella fuga di notizie, da tutti dimenticata, oltre a dare gratificazione a giornalisti che soffrono di protagonismo, hanno soltanto permesso lo spostamento delle infiltrazioni dai calabresi ai siciliani, consentendo a questi ultimi di riuscire nel loro intento affaristico mafioso.
La Procura di Busto Arsizio era riuscita a mappare ben 9 anni fa l’intreccio tra imprenditori e ‘ndragheta che si preparavano a spartire il bottino di Expo, tuttavia ad indagini in corso venne pubblicato dalla Sarzanini un articolo con il quale si resero pubbliche le indagini in corso con nomi e riferimenti degli imprenditori sotto il controllo dei referenti delle cosche calabresi, vanificando mesi di duro e rischioso lavoro eseguito dalle forze dell’ordine e dalla magistratura per la gioia dei signori della ‘ndrangheta che hanno sicuramente stappato casse di champagne per lo scampato soggiorno nelle patrie galere.
“Signor procuratore ci liberi dalla ‘ndrangheta.” È il contenuto di una lettera che tre sindaci scrissero a Vincenzo Macrì, Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia. Ma non erano primi cittadini delle solite città calabresi. Di quelle con i paesaggi sfigurati dall’abusivismo edilizio o i morti ammazzati. No. Si tratta dei sindaci di Cesano Boscone, Corsico e Trezzano sul Naviglio. Ed è così che proprio in quei territori del ricco nord, dove tutti i problemi sembrano essere immigrati, prostitute e drogati, si scopre che la ‘ndrangheta, dalla Calabria, ha piantato radici solide nell’indifferenza. Talvolta nella connivenza.
Fantasie?
Basta leggere l’ultima relazione della Commissione Parlamentare Antimafia per farsi un’idea sia della matrice, per così dire, storiografica che delle attuali evoluzioni del fenomeno ‘ndrangheta.
“Il piano di colonizzazione della ‘ndrangheta fu inconsapevolmente favorito dalle scelte di politica sociale ed urbanistica degli amministratori settentrionali che concentrarono i lavoratori meridionali nelle periferie delle grandi città.
In alcune realtà il controllo della ‘ndrangheta divenne asfissiante. Comuni dell’hinterland milanese come Corsico e Buccinasco, ancora oggi, sono pesantemente condizionati dalla ‘ndrangheta. Non a caso proprio Buccinasco viene chiamata “Platì 2”. Da anni, in questi comuni, agiscono le famiglie “Papalia” e “Barbaro” che gestiscono il traffico della droga con una propensione all’infiltrazione ed al condizionamento degli appalti pubblici”.
Alcuni beni confiscati alla famiglia Papalia dovevano diventare sede di nuovi uffici per il Comune di Buccinasco. La gara, per tre volte, è andata a vuoto. L’ex Sindaco ricevette inoltre pesanti minacce per avere provveduto, nelle forme di legge, a revocare il diritto di voto a soggetti raggiunti da provvedimenti definitivi per associazione mafiosa.
La “capitale della ‘ndrangheta è Milano”.
E’ la sintesi del Giudice Antimafia Vincenzo Macrì. La testimonianza di una metamorfosi di cui molti, da diversi anni, stanno prendendo atto. Magistratura e forze dell’ordine. Un po’ meno la politica. Il business in Calabria è roba che serve a generare profitto, creare i capitali da immettere nelle economie “pulite”. Entrare in affari con i gruppi imprenditoriali più in vista. Soldi contanti e poche chiacchiere. I tempi delle riunioni nel cuore dell’Aspromonte, sotto l’occhio “benevolo” della Madonna della Montagna, sono finiti. Adesso è Milano, il suo Duomo, la sua Madùnina, ad essere il centro degli affari dei clan più rampanti.
In una recente relazione dell’AISI in mano ai Prefetti di Milano e Torino lancia l’allarme: è certa la presenza dei «tentacoli delle ‘ndrine calabresi sui cantieri delle grandi opere del Nord» . Attraverso «nuove e pericolose organizzazioni criminali, nate dalle antiche cosche ma ormai slegate dal controllo dei boss d’origine» si punta a «obiettivi più sofisticati e lontani dalle tradizionali attività dei clan, narcotraffico ed estorsioni».
La ‘ndrangheta non vuole rimanere fuori dagli appalti dell’Expo di Milano. E si infittiscono gli incontri con imprenditori e politici. Qualcuno passa a riscattare il credito proprio del sostegno elettorale.
Uno di quelli che oggi sembra battere cassa, chiedendo la restituzione di certi “favori”, è Giovanni Cinque, 55 anni, ritenuto esponente delle cosche del Crotonese. Della famiglia Arena di Isola Capo Rizzuto. Da un’inchiesta relativa ad un traffico di cocaina, che quest’ultimo avrebbe gestito, sono emersi contatti con il mondo della politica lombarda.
Gli investigatori tengono traccia dei contatti di Cinque e finiscono con l’annotare i nomi del consigliere provinciale di Varese Massimiliano Carioni, 34 anni, e del consigliere comunale di Milano Vincenzo Giudice, 51 anni, entrambi appartenenti a Forza Italia.
Raccoglierà oltre quattromila voti raggiungendo l’obiettivo. Elezione festeggiata con sorrisi, abbracci e bollicine di champagne. E col neoeletto Carioni, a festeggiare, sarebbero stati immortalati proprio Giovanni Cinque e Francesco Franconeri, un altro soggetto legato alla ‘ndrangheta con precedenti per bancarotta fraudolenta e ricettazione.
A Cinque interessa l’Expo. Forse consultazioni preliminari strategiche, ma si svolgeranno delle riunioni. Quattro quelle documentate dalla Squadra Mobile di Milano in un rapporto trasmesso ai Magistrati.
«Il primo incontro – è scritto – avviene in un bar di Castronno. Con Cinque ci sono Paolo Galli, presidente del Consiglio di amministrazione dell’ Aler di Varese, l’ azienda che si occupa di Edilizia Residenziale e Francesco Salvatore, un imprenditore campano impegnato nel settore dell’ Edilizia e dell’ Informatica. Lo stesso contesto si è ripetuto altre tre volte, ma era presente anche Vincenzo Giudice, 50 anni, consigliere comunale eletto nella lista “Forza Italia Moratti sindaco”».
Avere parlato di questo rapporto è costato una perquisizione a Fiorenza Sarzanini, del Corriere, e Guido Ruotolo, de La Stampa. Nel frattempo Carioni e Giudice si difendono negando di avere mai avuto rapporti con Giovanni Cinque. Entrambi non risultano nemmeno indagati.
Vincenzo Giudice, proprio in questi giorni, deve affrontare una bufera attorno alla società della quale presiede il CdA. La Zincar – “Zero impatto non Carbonio” – partecipata del Comune di Milano – che si occupa di progetti legati alla mobilità urbana con energie alternative e sperimentazione di nuove tecnologie.
Perquisiti casa e ufficio dell’inviata del Corriere, il comunicato del Cdr
Inquietudine per l’intervento della Gdf nei confronti di Fiorenza Sarzanini e di Guido Ruotolo (la Stampa)
Il Comitato di redazione del Corriere della Sera, interpretando le preoccupazioni e l’allarme di tutti i colleghi, manifesta la più profonda inquietudine per l’intervento che il Gico della Guardia di Finanza, cioè il Gruppo che indaga sulla criminalità organizzata, ha messo in atto ieri nei confronti della nostra collega Fiorenza Sarzanini. La Guardia di Finanza si è presentata sia nell’abitazione della giornalista sia sul posto di lavoro, presso la sede di Roma, in assenza della redattrice, che era fuori città per servizio. Nella casa della collega si trovavano la madre e la giovane figlia, del cui computer è stata copiata la memoria, con alcuni amici adolescenti che sono stati tutti identificati; al Corriere è stato perquisito tutto, materiali, archivio, documenti della giornalista, acquisita la rubrica telefonica e poi copiato interamente il contenuto del suo computer, con tutti i files professionali e anche i materiali privati in esso conservati.L’operazione della Guardia di Finanza, su mandato della magistratura, è avvenuta per l’ipotesi di rivelazione di segreto d’ufficio, a seguito dell’articolo della collega pubblicato l’altro ieri sul Corriere della Sera e nel quale veniva dato conto di un’inchiesta avviata dalla magistratura lombarda: al centro contatti e riunioni fra esponenti della ‘ndrangheta e politici e imprenditori lombardi. E, come scenario, la spartizione degli appalti che saranno assegnati per l’Expo 2015 di Milano. La perquisizione, così come quella parallela compiuta nei confronti del collega Guido Ruotolo de La Stampa, il quale si è occupato dello stesso argomento, appare un atto grave e una pesante intrusione nel diritto di cronaca, contro il quale sembra essere ormai avviata una campagna il cui scopo evidente è di ingabbiare i giornalisti e la libertà d’informare scrupolosamente i cittadini. La redazione del Corriere della Sera ha dimostrato nei fatti che i tentativi di intimidirla sono destinati all’insuccesso e, nell’esprimere solidarietà a Fiorenza Sarzanini e a Guido Ruotolo, ribadisce l’impegno a respingere nel lavoro di ogni giorno e nelle sedi competenti ogni attacco al diritto-dovere di raccontare la verità, anche se spiacevole per qualcuno.
Il comitato di redazione
17 settembre 2008
Questo è quanto un amico attento e di buona memoria suggerisce di non dimenticare a proposito della lotta alla criminalità che “santa” Ilda Boccasini non cessa di condurre. Questo ci ricorda e questo noi, grati, pubblichiamo. In attesa di altre rimembranze.
La redazione di Leo Rugens