Pollari che custodisce Papa Francesco? Mi sembra una soluzione osè

Cosa Leo Rugens pensi di gente tipo Tony Blair, George Bush e il moribondo (comunque un “tavolo” al Bolognese a Piazza del Popolo non si nega a nessuno tantomeno una schiacciata di dita per dessert) Silvio Berlusconi, è facile dedurlo dai quasi 3000 post pubblicati. Cosa io pensi realmente di Nicolò Pollari è più difficile capirlo. Pollari è stato l’unico direttore di un nostro servizio, dopo la rimozione dell’amm. Martini, che possa essere definito colto e all’altezza di un compito tanto complesso. Lo penso di lui, a prescindere dalle sue cadute di stile alla Pio Pompa ed altri. Per mesi, prima che avesse il suo infortunio più grave, un personaggio che mi sarebbe facile definire “agente d’ambiente e d’influenza”, tale S.S., con studio antistante il Ministero dell’Agricoltura, in un bel palazzo detto Il Cavallino, insisteva, conoscendomi e conoscendo il generale, perché noi ci incontrassimo, certo che ci saremmo intesi. Almeno culturalmente. Non se ne fece mai nulla a causa del precipitare della situazione professionale del generale siciliano.

Ora ricevo per vie traverse uno scritto che sono tentato di pubblicare (anzi, lo pubblico inaugurando una collaborazione sotto lo pseudonimo di OCTAVIA ) anche perché il collage ha dentro la notizia relativa ad una supposta volontà di Pollari e degli ambienti che lo sostengono e lo stimano, perché sia lui a sostituire Giani, ormai a fine corsa, come prestigiosissimo Comandante della Gendarmeria vaticana. Pollari, secondo questo sussurro, vorrebbe fare un passo tanto delicato e avvicinarsi al Santo Padre. Il mio estimatore S.S. è (se è ancora vivo) persona ben voluta in Vaticano perché si avvantaggia di simpatie che vanno dal Card. Comastri (presiede La Fabbrica di San Pietro) fino a chi sapeva – riservatissimamente – che S.S. aveva saputo salvare la pelle di Lech Valesa, individuando quel bizzarro terrorista (BR) a scartamento ridotto che fu il sindacalista Scricciolo del quale, arrestato, si disse che stava organizzando l’estinzione del dirigente polacco durante una serata romana. Grovigli. Infatti, per quel che contano i ritratti incorniciati negli studi, S.S lo vedevo fotografato con tutti quelli che contavano in Vaticano, prima di Bergoglio e del suo team di gesuiti “intelligenti”.

Certo, chi andrà a guardare le spalle del Santo Padre almeno non dovrebbe essere sospettato di aver concorso (con altri ancora in S.P.E. nelle nostre agenzie) a scatenare, artatamente, la guerra in Iraq, con i suoi morti, guerra da cui, per effetto domino, oggi assistiamo alla polverizzazione della Siria e delle persecuzioni dei cristiani un tempo lì abitanti. Si è visto di tutto ma una certa coerenza da parte di Bergoglio e del suo staff più intimo possiamo supporla. Comunque, se nessuno lo avverte, lo stiamo avvertendo noi. Che, come si sa, siamo un blog marginale ed ininfluente. Al tempo, come abbiamo scritto mai smentiti, siamo tra le persone che pur sapendo, con mesi di anticipo, la data certa delle dimissioni di Ratzinger, non ci siamo mai permessi di “vendere” la notizia ad anima viva. Come si vede, personaggi complessi quelli che frequentano la redazione di Leo Rugens: morti di fame che non mercificano le informazioni pur vivendo quasi tutti in stato di bisogno. Questo è certo e mai – soprattutto – bugiardi. Fino a prova contraria.

Oreste Grani/Leo Rugens


Alla luce delle risultanze emerse dalla commissione d’inchiesta inglese e delle pesanti accuse rivolte a Blair che all’epoca fu costretto ad acquisire per giuste le informazioni passate dagli alleati, sarebbe ora che si andassero ad individuare e rimarcare le responsabilità degli Italiani che concepirono ed attuarono il processo falsificazione informativa che innescò l’intervento armato in Iraq, le cui conseguenze sotto gli occhi di tutti si ripercuoteranno ancora per decenni nel bacino del mediterraneo.

Non parlo delle pedine, anch’esse responsabili di essersi rese utili e complici della truffa, bensì dell’ex direttore del Sismi Niccolò Pollari che oggi aspira alla carica di capo della gendarmeria vaticana in sostituzione di Giani.
Londra, Tony Blair sotto accusa: “Ingiustificata la guerra in Iraq del 2003”

Nel 2003, al momento di decidere se intervenire o meno militarmente in Iraq, il Regno Unito “non tentò tutte le opzioni pacifiche”.È l’accusa rivolta all’allora governo di Londra, guidato da Tony Blair, dalla commissione d’inchiesta creata per fare piena luce sulla partecipazione britannica alla missione Usa per abbattere il regime di Saddam Hussein.

I risultati delle indagini del team parlamentare, coordinato dal deputato sir John Chilcot, sono state presentate oggi. E non hanno mancato di destare scalpore.

Secondo la commissione, infatti, l’esecutivo Blair, prima di mandare in guerra i soldati inglesi, avrebbe avuto “altre possibilità”, ma non le prese nemmeno in considerazione.Accuse pesanti, che si sommano alla constatazione, già emersa in passato, e oggi nuovamente confermata, che la motivazione principale dell’intervento, ovvero le armi di distruzione di massa in mano all’esercito di Baghdad, “fu presentata con una certezza che non era giustificata”.

Insomma, la partecipazione inglese alla campagna militare voluta dall’ammistrazione Bush fu una decisione basata su “informazioni errate”, in quanto Saddam non rappresentava una reale minaccia, ed era completamente priva di basi legali.“L’intervento britannico in Iraq nel 2003 fu dunque negativo per il Regno Unito – ha concluso Chilcot – e ha avuto conseguenze altrettanto negative sino a oggi”.

“La cosa più importante che possiamo fare alla luce di queste conclusioni è imparare la lezione per il futuro”, il commento del capo del governo (uscente) David Cameron.

Dal canto proprio, l’ex premier Tony Blair ha cercato di giustificarsi, sostenendo che “le decisioni a favore dell’intervento militare in Iraq furono prese in buona fede e in quelli che ritenevo fossero i migliori interessi del Paese”. Oltre alle polemiche politiche, le conclusioni dell’inchiesta daranno anche una base solida alle famiglie dei soldati uccisi e feriti durante la campagna irachena per intentare cause contro le istituzioni e l’esercito. E sarebbero già decine i parenti dei militari pronti a impugnare il rapporto Chilcot per intraprendere azioni legali.

28 gennaio 2003. George W. Bush scandisce le 16 parole che sono una dichiarazione di guerra: “Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall’Africa”.

La farina di questo sacco è romana.
Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l’invasione dell’Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, “di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938”.

Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell’estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: “È vero, c’è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull’uranio nigerino), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un’operazione di disinformazione”.

Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell'”operazione”. Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.

Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l’aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell’intelligence politico-militare tra il ’76 e il ’77 “allontanato per difetti di comportamento”. Nell’85 arrestato per estorsione in Italia. Nel ’93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, “fino al 1999” collabora ancora con il Sismi. È un doppiogiochista.

Prende dimora in Lussemburgo al 3 di Rue Hoehl, Sandweiler. Lavora a stipendio fisso per l’intelligence francese protetto da un’agenzia di consulenza, “Security development organization office”. O, meglio lavora anche per i francesi. Servo di due padroni, Rocco si arrabatta. Vende ai francesi notizie sugli italiani e agli italiani notizie raccolte dai i francesi. “Il mio mestiere è questo. Io vendo informazioni”.
Nel 1999, il gaudente Rocco è a corto di quattrini. Come gli capita quando è “a secco”, ne escogita una delle sue. La pensata gli sembra brillante e priva di rischi. La scintilla che lo illumina è la difficoltà dei francesi in Niger.

Per farla breve. I francesi, tra il 1999 e il 2000, si accorgono che c’è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare un prospero commercio clandestino di uranio. A quali Paesi i contrabbandieri lo stanno vendendo? I francesi cercano le risposte. Rocco Martino annusa l’affare.

Chiede aiuto a un suo vecchio amico del Sismi. Antonio Nucera. Carabiniere come Rocco, Antonio è il vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur, a Roma.
Fa capo alla 1^ e 8^ divisione (contrasto al traffico d’armi e tecnologie; controspionaggio sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa “nel quadrante africano e mediorientale”).

È una sezione che si è data molto da fare alla fine degli anni ’80 mettendo il sale sulla coda ai tanti spioni che Saddam ha sguinzagliato per il mondo prima dell’invasione del Kuwait. “Con qualche successo”, a sentire un alto funzionario dell’intelligence italiana che, all’epoca, lavorava per quella divisione. L’agente ricorda: “Ci riuscì di mettere le mani sui cifrari nigerini e su un telex dell’ambasciatore Adamou Chékou che annunciava al ministero degli esteri di Niamey (è la capitale del Niger) la missione di Wissam Al Zahawie, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, “in qualità di rappresentante di Saddam Hussein”.

Non fu l’unica operazione. Nel porto di Trieste riuscimmo, per dire, a sequestrare dell’acciaio marangin (garantisce un’ottima resistenza anche a temperature oltre i 1000 gradi). Secondo noi era destinato alla costruzione della cascata di centrifughe necessaria a separare i costituenti dell’uranio. Le informazioni sulla proliferazione nucleare irachena venivano scambiate, già alla fine degli anni ’80, soprattutto con gli inglesi dell’MI6, i migliori. Lì lavorava, un sincero amico dell’Italia come Hamilton Mac Millan, peraltro, l’agente segreto che ha iniziato Francesco Cossiga ai misteri dello spionaggio quando era il “residente” inglese a Roma”.

Nucera decide di dare una mano al suo amico Rocco. Quello gliela mette giù facile. Non c’è nulla che mi puoi dare, un’informazione, un contatto buono con i nigerini? Basta qualsiasi cosa. I francesi sono assetati come viandanti nel deserto. Vogliono sapere chi sta comprando sotto banco il “loro” uranio. Sono disposti a pagare bene, per saperlo.

Nell’archivio della divisione del Sismi, come abbiamo visto, ci sono documenti utili a cucinare la frittata, guadagnando qualche soldo. C’è il telex dell’ambasciatore e qualcos’altro si può sempre rimediare nell’ambasciata nigerina a Roma di via Baiamonti 10. Riconosce, con Repubblica, il direttore del Sismi, Nicolò Pollari: “Nucera vuole aiutare l’amico. Invita così una Fonte del Servizio – niente di che, capiamoci; al libro paga sì, ma ormai improduttiva – a dare una mano a Martino”. La Fonte del Servizio lavora all’ambasciata del Niger a Roma. È messa male. Vivacchia nel retrobottega del controspionaggio. Non ha un fisso mensile dall’intelligence italiana. È a cottimo, per così dire.

Qui l’informazione, qui il denaro. Comunque poca cosa, pochi centoni. Anche quelli, nel 2000, sono in pericolo. Da qualche tempo, che comincia ad essere sciaguratamente lungo, non ha nulla da spiare e dunque nulla da vendere.

Chiamiamo la fonte “la Signora”.
Ora dovreste vederla, “la Signora”. Sessant’anni, di più e non di meno. Una faccia che deve essere stata bella e ora è un foglio spiegazzato. La si può dire factotum dell’ambasciata nigerina. Aspetto da vecchia zia paziente. Accento francese. Occhi ammiccanti e complici. Parla sempre sottovoce. Anche se dice “buongiorno”, lo soffia come un piccolo fiato misterioso che sembra doverti rivelare innominabili verità. Anche “la Signora” ha bisogno di denaro.

Nucera combina l’incontro. Rocco e “la Signora” non ci mettono molto ad accordarsi. Qualcosa si può fare. Quel Nucera non è forse il suo “contatto” ufficiale al Sismi? E allora perché “la Signora” non deve pensare che sia il Servizio a volere che faccia questa cosa? Che insomma questa cosa sia utile alla Ditta?
Rocco e “la Signora”, astuti vendifumo, con la benedizione di Nucera, trovano l’accordo. Qualche carta da prendere e vendere c’è. Occorre però la collaborazione di un nigerino. La Signora indica l’uomo giusto. È il primo consigliere di ambasciata Zakaria Yaou Maiga. Come rivela Pollari, “quel Maiga spende sei volte quel che guadagna”.

La combriccola di garbuglioni gaudenti a corto di spiccioli è pronta all’azione. Rocco Martino, la Signora, Zakaria Yaou Maiga. Nucera, lo vediamo appena un passo indietro nell’ombra. Maiga si organizza così. Attende che l’ambasciata chiuda i battenti per il Capodanno del 2001. Finge un’intrusione con furto. Quando il 2 gennaio 2001, di buon mattino, il secondo segretario per gli affari amministrativi Arfou Mounkaila denuncia il furto ai carabinieri della stazione Trionfale, ammette a labbra strette che quei ladri sono stati molto fiacchi. Tanto rumore, e fatica, per nulla.
Mounkaila tace quel che non può dire. Mancano carte intestate, timbri ufficiali, questa è la verità che è opportuno tacere. È materiale buono nelle mani della “squadretta” di vendifumo per confezionare uno strampalato dossier.

Vi si raccolgono vecchi documenti sottratti all’archivio della divisione del Sismi come i cifrari (Nucera vicecapocentro) più carta intestata che viene trasformata in lettere, contratti e in un “protocollo d’intesa” tra i governi del Niger e dell’Iraq “relativo alla fornitura di uranio siglato il 5 e 6 luglio 2000 a Niamey”. Il protocollo ha un allegato di due pagine dal titolo “Accord”. Rocco consegna il “pacco” ai francesi della Direction Générale de la Sécurité Extérieure (Dgse). Ne ricava qualche bigliettone che spende felice a Nizza. Rocco adora la Costa Azzurra.


Fin qui siamo a una truffa degna di Totò, Peppino e la Malafemmina. A suo modo innocua perché i francesi prendono quelle carte e le gettano nel cestino. Dice un agente del Dgse: “Il Niger è un paese francofono che conosciamo bene. Mai nessuno avrebbe preso la cantonata di confondere un ministro con un altro, come accade in quelle cartacce”.
Partita chiusa, dunque? No, l’imbroglio burlesco si rianima diventando una faccenda terribilmente seria perché arriva l’11 settembre e Bush da subito comincia a pensare all’Iraq, a chiedere prove dei coinvolgimento di Saddam.

Il Sismi richiama in campo la “squadretta” di via Baiamonti. A Forte Braschi è arrivato un nuovo direttore, Nicolò Pollari. Come nuovo è il responsabile delle “Armi di distruzione di massa”, il colonnello Alberto Manenti. “Un ufficiale preparato, ma assolutamente incapace di dire “no” a un capo”, dice un alto funzionario del Sismi che con lui ha lavorato. Il colonnello Manenti conosce bene Nucera per averlo avuto nel suo staff, per molto tempo. È Manenti, con Nucera prossimo alla pensione, che gli chiede di restare come “collaboratore”.

Il Sismi ha voglia di fare. Ha mano libera come mai l’ha avuta l’intelligence nel nostro Paese. Berlusconi chiede a Pollari un protagonismo nella scena internazionale che consenta all’Italia di sedere in prima fila accanto all’alleato americano. Le stesse sollecitazioni arrivano dal capo della Cia a Roma, Jeff Castelli. Occorono notizie, informazioni, utili brandelli di intelligence. Ora, subito. Washington cerca prove contro Saddam.

La Casa Bianca (Cheney, soprattutto) stressa la Cia perché saltino fuori. “L’assenza delle prove non è la prova dell’assenza” filosofeggia Rumsfeld al Pentagono.
In questo clima, con il loro dossier fasullo, i vendifumo di via Baiamonti (Rocco Martino e Antonio Nucera) possono tornare utili. Che cosa fanno in quell’autunno del 2001? Rocco Martino la mette così: “Alla fine del 2001, il Sismi trasmette il dossier yellowcake agli inglesi del MI6.

Lo “passa” senza alcuna valutazione. Sostiene soltanto che è stato ricevuto da “fonte attendibile””. Poi l’aggiusta ancora un po’: “Il Sismi voleva che disseminassi alle intelligence alleate i documenti del dossier nigerino, ma, allo stesso tempo, non voleva che si sapesse del suo coinvolgimento nell’operazione”. Sono accuse che Palazzo Chigi respinge con sdegno. Il governo ci mette la faccia. Dopo che la guerra ha svelato l’imbroglio delle armi di distruzione di massa, giura che “nessun dossier sull’uranio né direttamente né in forma mediata, è stato consegnato o fatto consegnare ad alcuno”.

La mossa è prevedibile. Governo e Sismi devono scavare un fossato tra Forte Braschi e i passi della “squadretta” di via Baiamonti. Ma la smentita non regge alla verifica. È un fatto che nell’autunno del 2001 il Sismi controlla a Londra le mosse di Rocco Martino. Lo conferma a Repubblica il direttore del Sismi Pollari: “Seguivamo Martino e avevamo anche le foto dei suoi incontri a Londra. Volete vederle?”. E dunque perché Roma non sbugiarda subito quel suo ex-agente vendifumo? Di più perché addirittura le notizie contenute in quel dossier vengono accreditate da Pollari a Jeff Castelli, il capo della Cia a Roma? È un fatto che un report sul farlocco dossier made in Rome finisce sul tavolo dello State Department’s Bureau of Intelligence, l’intelligence del Dipartimento di Stato. Lo riceve l’Ufficio per gli affari strategici, militari e di proliferazione delle armi di distruzione di massa.

Affari strategici non è un grande ufficio. Vi lavorano in quel periodo 16 analisti diretti da Greg Thielmann. Che racconta a Repubblica: “Ricevo il report nell’autunno del 2001. È una sintesi che Langley ha ricevuto dal suo field officer in Italia. L'”agente in campo” informa di aver avuto visione dall’intelligence italiana di alcune carte che documentano il tentativo dell’Iraq di acquistare oltre 500 tonnellate di uranio puro dal Niger”. Dunque, il Sismi affida quelle informazioni, che sa essere false, alla Cia. C’è una seconda conferma. A Langley l’ambasciatore Joseph C. Wilson riceve l’incarico di verificare la storia “italiana” delle 500 tonnellate di uranio nigerino.

Racconta Wilson: “Il rapporto non è molto dettagliato. Non è chiaro se l’agente che firma il rapporto ha materialmente visto i documenti di vendita o ne ha avuto notizia da altra fonte”.  Bisogna ora fermare la prima immagine di questa storia.

Autunno 2001. Il Sismi di Pollari ha in mano il farlocco dossier costruito da Rocco Martino e Antonio Nucera. Lo mostra alla Cia mentre Rocco Martino lo consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove. È solo l’inizio del Grande Inganno italiano.

OCTAVIA