Bisignani e Grani per la prima volta d’accordo chiedono di togliere il segreto di Stato sul caso Abu Omar
Cominciamo a migliorare – caro a noi – Angelo Tofalo, cittadino indicato, nell’ambito del M5S, a rappresentare gli interessi della Repubblica Italiana. nel settore del’Inteligence ubiqua e partecipata.
Mi sembra che l’attenzione sul “Caso Abu Omar” sia non solo doverosa ma consente, nell’intellegere quanto avranno da dirci Marco Mancini, il generale Raffaele Di Troia, il solito Nicolò Pollari, il meno noto Scarpis (numero due dell’AISE cioè il secondo del direttore Manenti), il Capo Divisione Boeri, e tale Cassano che non è il giocatore di calcio troppo indisciplinato, di avviare quel cambiamento paradigmatico culturale dell’intero settore senza il quale il “vecchio che avanza” continuerà ad avanzare e a pervadere, condizionare, intimorire per intero il mondo politico del Paese impedendo una qualunque politica estera tendente ad affermare la possibilità di avere una qualunque sovranità nazionale ragionata.
Da qualche parte bisogna pur partire per svelare chi non ci consente di essere liberi e sovrani.
Così Tofalo:
Così Grani:
Lo stato confusionale (?) in cui sembrano ancora una volta essere i nostri servizi (Luigi Bisignani, uno che dovrebbe saperne più di noi tutti, questo sostanzialmente, da mesi, dice dalle colonne del suo “Il Tempo”, quotidiano romano) ha origini lontane.
Di quelle lontanissime (deviazioni, deviazioni, piduismo, ortofrutticoli al potere) vi hanno fatto due palle così tutti quelli che, grazie a questo stato confusionale, su questo tema hanno scritto tonnellate di libri. Io, che non sono nessuno, se non il detentore del record/primo posto in Google, Bing … per quanto attiene la soddisfazione delle curiosità basilari che aleggiano nella rete rispetto a come si viene assunti nell’AISE, AISI e quanto, soprattutto, si guadagni nei servizi segreti, vi risparmio una super pippa semistorica ricostruttiva e vi trattengo solo, per poche righe, sull’ultimo decennio.
Approvata la legge del 2007 (l’ennesimo tentativo di riformare un settore che andrebbe invece banalmente “fondato”) si ritenne che sarebbe bastato oliare i nuovi meccanismi e far ripartire, con le nuove modalità, le attività di intelligence interrotte durante il trambusto (alcuni anni) che avevano preceduto quella data fatidica del 3 agosto 2007 giorno in cui si sarebbe dovuta vedere volare una fiammante Araba Fenice pronta a fare i conti con i nemici, interni ed esterni della Repubblica che, fino a prova contraria, paga gli stipendi a tutti.
Da quel giorno, quindi, nuove regole e c’è chi è contento e chi esce preoccupato se non un po’ suonato.
Così, il super prefetto di oggi, Franco Gabrielli, rilascia dichiarazioni di ampia soddisfazione per la riforma facendo notare le condizioni di drammatico sfacelo in cui versava il SISDE, prima del 2007.
Aggiunge Gabrielli in una intervista all’ANSA: “La situazione nella quale versava il SISDE – da sola – giustificava l’esigenza della riforma”.
Parole sante ma imbarazzanti dette da uno importante come lui, prima e dopo il 1° agosto 2007. Oppure sperava che vista la stagione nessuno leggesse niente? In quelle stesse ore, viceversa, “incazzato nero” è l’ammiraglio Bruno Branciforte, Direttore del SISMI che, fino al giorno della riforma (la legge è del 3 agosto 2007 e poi dicono che i golpe non si fanno d’estate!!!!!), si interessava di quello che succedeva all’estero, semplificando di molto il discorso, rispetto la sicurezza nazionale e gli interessi dell’Italia in giro per il Mondo.
Una cosa buffa questa “del dentro e del fuori” che, prima o poi, dovrà finire visto che nessuno che ragioni può oggi pensare che esista un dentro e un fuori delle cose.
Nei mesi precedenti, Branciforte ha tentato in tutte le maniere (ma quali sono tutte le maniere per un direttore dei servizi segreti?) di intervenire nel dibattito parlamentare, per evitare che il SISMI venisse smantellato nelle sue articolazioni italiane.
Infatti la riforma del 2007 non solo preleva dall’intelligence militare la funzione di controspionaggio per assegnarla all’agenzia civile, ma ne chiude tutte le sedi italiane, ad eccezione del sito centrale di Forte Braschi e di poche altre unità operative.
Gli uffici, spesso in locazione passiva, non verranno dismessi, ma andranno nella disponibilità dell’intelligence civile che in molti casi non saprà cosa farsene di questi doppioni sul territorio. Un ammischione insomma.
Possibile che non si riescano a fare, con pacatezza ma con fermezza i nomi di quelli che hanno pensato (!) questi assetti e queste rivoluzioni copernicane in modo da poter fare, nella sedi opportune (la Storia, i libri, le piazze), dieci anni dopo, i famosi conti?
Al momento dell’approvazione della riforma (gennaio 2007), il SISDE contava su circa 1600 dipendenti in servizio, mentre il SISMI superava di poco la soglia delle 2250 unità. Un mare di gente rispetto ai risultati e all’autorevolezza. In quel momento Branciforte perde di un colpo il 20 per cento dei suoi dipendenti, quasi il totale degli agenti SISMI che operano su territorio nazionale. Parliamo di oltre 400 uomini che verranno convogliati nell’Intelligence civile. Potete immaginare come l’ammischione ebbe a creare ulteriore confusione rispetto a quanto descritto, con freddezza e una certa dose di onestà intellettuale, da Gabrielli, in quella che era la situazione del SISDE (…da sola giustificava la riforma)?
Nei primi mesi dell’applicazione della riforma, il transito di uomini, sedi e tecnologie (non tutti usavano le stesse) creerà ulteriore confusione. Tenete conto che, in questi momenti, sarebbe opportuno ricordarsi di quando Massimo D’Alema se ne usciva pubblicamente, da Presidente del COPASIR, sul fatto che in Italia quasi tutti potevano, a norma di legge, mettere su archivi (ne furono contati 108!) o quanto ebbe a dire il senatore del PDL, Giuseppe Esposito, in quanto vicepresidente del COPASIR, in una lunga intervista concessa nel mese di settembre del 2010 a “Infosicurezza”, una newsletter del settore, e cioè che a tre anni dalla riforma lo spirito di corpo e l’affiatamento, sono al 50% nei nostri servizi. Affermazione gravissima ma vicina alla realtà se si da credito a quanto si poteva leggere (il pezzo lo trovate in calce) il 22 luglio 2016, sull’organo ufficiale di Luigi Bisignani (Il Tempo di Roma) a proposito di quale clima infernale aleggi ancora nei nostri servizi. Che, da alcuni anni si chiamavano “Agenzie” ma che non hanno certo perso il vizio di essere litigiose come gli scolaretti delle aulette dell’asilo Mariuccia, esattamente come gli inglesi (ed altri servizi alleati/competitori) continuavano/continuano a definirci. Ma veramente vogliamo credere che nessuno ha colpa di come è stata trattata la vita dell’ingegner Franco Lamolinara trucidato l’8 marzo 2012 in Nigeria? Ma se il 22 luglio 2016, cioè per un mondo complesso come quello che descriviamo, un semplice batter di ciglio, Bisignani (che di quanto avviene in questi ambienti è quotidianamente informato da quelli che lui stesso ha piazzato, in carriera, nelle Agenzie, anni prima) dice/fa dire che uno navigato come Marco Mancini teme per la sua vita e che bisogna scortarlo perché qualcuno potrebbe fargli la pelle, siamo secondo voi in situazione diversa da quella che precedeva la scelta della riforma del 2007?
Amici cari, e soprattutto se mi legge il cittadino a cinque stelle, Angelo Tofalo, fino a quando sentiremo parlare di gente che è in giro (e che costa alla collettività ancora cifre da capogiro), da decine di anni, sputtanati su tutti i fronti (se fossero nel reparto Humint e operazioni all’estero sarebbero tutti morti da tempo) che fanno ancora il bello e il cattivo tempo perché hanno dossier, non vedo nessuna speranza di poter riflettere su cosa necessiti alla “sicurezza nazionale”, intendendo quella italiana. Perché, è bene che Tofalo lo cominci a sapere e se lo sa già cominci a farci capire cosa pensa al riguardo, sono pochissimi (e isolati) quelli che, prendendo lo stipendio dallo Stato, lavorano realmente per la Repubblica Italiana. I datori di lavoro sono i più diversi ma raramente coincidono con istituzioni che fanno riferimento al Quirinale, al Tricolore, allo Stellone. A Palazzo Chigi, quasi sempre quando uno fa il Presidente del Consiglio in Italia (e come tale è il vero capo dei Servizi segreti) lavora per la nostra comunità. Anzi, quasi mai. Anzi, da anni, mai.
Oreste Grani/Leo Rugens che potrebbe provare un po’ di tenerezza per Marco Mancini che, forse, nei frangenti in cui si trova, comincia a pentirsi di non aver dato ascolto al colonnello Stefano D’Ambrosio, ex Capo centro del SISMI a Milano (non a Roccacannuccia!), suo subalterno, quando lo avvertì di quanto stava avvenendo a discapito del non colpevole cittadino egiziano Abu Omar.
Così come di non aver avuto il coraggio civile, politico, morale, di andare fino in fondo nel raccontare, a tempo debito, chi avesse, per forza voluto quel sequestro. Vedete amici, nulla è paragonabile a nulla in questo Gioco ma è come se uno oggi sapesse chi ha tradito Giulio Regeni e non avesse il coraggio di raccontare tutta la verità. Intorno a quella storia lontana e vicina di Abu Omar si gioca una definitiva resa dei conti.
Ormai Gustavo Pignero è morto, caro Mancini, e l’altro Gustavo (Raffi), a Ravenna (dove combinazione si discute la tua situazione giudiziaria), come un tempo faceva Licio Gelli, entrava nel merito di non poche cose che riguardavano il servizio, i servizi a questo o a quello, la non sovranità del nostro Paese.
L’ultime due righe sono una sciarada e come tali dovete trattarle. Se vi diverte.
Così “Bisignani”(Il Tempo):