Per organizzare la difesa delle infrastrutture bisogna reclutare meno cazzafrulloni e più motivati servitori dello Stato
Cosa pensi la redazione del blog (nessuno escluso) di uno come Paolo Scaroni, già amministratore delegato dell’ENI, è facile verificarlo andato banalmente a digitare “Leo Rugens-Paolo Scaroni” e tutto emerge senza tema di equivoci. Non solo, ma le cose che troverete scritte le confermiamo tutte, chiamate di responsabilità comprese per quanto abbiamo detto e insinuato. Anzi aggiungiamo – perché non fa mai male – che il 90% del flop della nostra (si fa per dire!) intelligence rispetto alle rivoluzioni del Nord Africa e nel Magreb di qualche anno addietro (Scaroni era il boss assoluto dell’ente e il professor Sacconi il suo fedelissimo responsabile della sicurezza interna ed esterna) sono attribuibili a lui in quanto capo della multinazionale che, con prepotenza, riteneva di dettare la linea e l’agenda della nostra attività informativa ovunque una goccia di petrolio si tramutasse in una goccia di sangue.
Ma questa volta, rispetto alla notizia che riportiamo per quelli a cui fosse sfuggita, non c’entra (formalmente) quel furbacchione straricco, auto-esiliatosi a Londra, preoccupato quotidianamente dell’eventuale evoluzione negativa della propria posizione giudiziaria.
C’entrerebbe perché, quando fu varato (e finanziato 120 milioni di euro!!!!) il megacentro di elaborazione dati di Ferrera Erbogognone (che nome originale ha questa località in provincia di Pavia!) di cui leggete le “vicende semiboccaccesche e cazzafrullone che vi si tenvano a detta di un tecnico informatico denunciante i comportamenti, il duo Sacconi-Scaroni, vegliava sull’ENI. Ma non più, essendosi allontanati o per eta pensionistica raggiunta (Sacconi) o per prudenza giudiziaria (Scaroni) quando i fatti potrebbero essere avvenuti. Uso questa prudenza scegliendo i tempi dei verbi perché le cose denunciate a suo tempo alla Procura di Monza da un tecnico informatico, 35 ani, nato a Nova Milanese ora che della suo onesto e coraggioso racconto non se ne è fatto nulla (il magistrato preposto a leggere e ragionare la questione l’ha archiviata in quanto “generico e inafferrabile”) mi sembrano al limite del credibile. Oppure, qualora ci trovassimo di fronte a “tutto vero”, sulla soglia di una lettura di quanto avviene con i soldi pubblici gravissima. Dico questo sempre pensando non solo alla delicatezza di una compagnia che tratta l’energia (e mille altre informazioni legate ai suoi clienti, dalle domiciliazioni a salire e scendere compreso i C/C bancari o qualunque altro dato elettronico da cui provengono i pagamenti) ma che da troppi anni e in modo assolutamente inadeguato (vedere i risultati) ritiene di essere “lei” la nostra intelligence in giro per il mondo. L’articolo che riproduciamo, in cui si parla dello sfogo del tecnico informatico (che comunque una sega, per come riflette e denuncia, non dovrebbe essere ne come specialista sua materia ne, tanto meno, come cittadino), in altri tempi, sarebbe divenuto inizio di un effetto domino devastante per i responsabili di tale “bordello”.
Stiamo parlando – come abbiamo accennato – ad ambienti professionali che arrogantemente sono andati in giro, per decenni, pagati cifre di difficile lettura tanti zeri contenevano, anche nelle sedi istituzionale e preposte alla sicurezza della Repubblica (italiana), a spiegare, a forze dell’ordine, come si dovesse fare intelligence e come in particolare si coniugassero tecnologia e sicurezza dello Stato.
Sono gli stessi ambienti che consigliavano, informavano (o disinformavano?) gli “avanzi” della nostra intelligence (guardate gli anni e capirete perché diciamo avanzi) su cosa succedeva ovunque si estraeva petrolio grazie agli impianti ENI e ovunque si predisponevano business strategici come gli oleodotti o i gasdotti o le raffineria o le piattaforme estrattive. Li informavano (o li disinformavano?) talmente bene che a poche settimane dalle rivolte in Tunisia, Egitto e, soprattutto, e nella Libia di Gheddafi (dove – mi sembra – si estraeva e si estragga l’oro nero) i nostri bravi ragazzi/un po’ cazzaroni, sopravvissuti in AISE, nel documento trasmesso al COPASIR, lo ripeto, a poche settimane dagli eventi, descrivevano un focus estremamente rassicurante. A tal proposito, se fossi (e non lo sono per ovvi motivi di inadeguatezza, marginalità, inopportunità essendo quel tipo poco raccomandabile che sono) tra i cittadini eletti nel M5S e preposti ad interessarsi di Sicurezza nazionale, mi andrei a rileggere quelle carte e mi fermerei a riflettere su “in mano a chi stiamo, siamo stati, certamente staremo ancora se non cambia quasi tutto in un settore così strategico e vitale”.
Invito a riflettere i cittadini per bene onesti che hanno l’onore e l’onere del peso di una giberna di tale entità, non solo sull’episodio descritto nell’articolo ma su quanto le date consigliano di non sottovalutare. Ma veramente non vogliamo seguire, con la massima attenzione, i fili rossi che dal 1969 (ottobre di questi giorni) hanno mosso l’ascesa di Gheddafi e le fortune di alcuni personaggi che nei decenni successivi hanno dettato legge in questi settori, per decenni ad inciuciare con i libici e poi, all’improvviso, sordi, cechi e… ciarlieri. Invece almeno di provare a restare muti.
Se non si guarda agli avvenimenti, non dico con la “Macchina del Tempo” in dotazione a Leo Rugens ma, almeno, andando a consultare le scartoffie per capire che se perfino il SID di tale Vito Miceli (vedere) e del generale Roberto Jucci (vedere) dovettero scongiurare un colpo di Stato promosso per deporre Gheddafi, pochi mesi dopo la presa del potere dell’ex capitano addestratosi in Italia e acclamato sul campo colonnello, organizzato, nel 1970, dall’Intelligence britannica dopo l’espulsione dalla Libia di tutti i cittadini e le compagnie britanniche, difficilmente si potrà capirne di complessità mediterranee.
Io ad esempio andrei a rileggermi l’origine dell’intero intreccio odierno (fino a perché uno – alla fine – sceglie Londra per vivere gli ultimi tempi della sua esistenza) a partire da quel lontano 1969 fino ad oggi tra Servizi e ENI per cogliere fin dove arrivano i rizomi della missione italiana del gennaio 1972, guidata appunto da Jucci, con l’obiettivo, raggiunto, di un contratto con l’ENI per milioni e milioni di barili di petrolio in cambio di armi prodotte in Italia su licenza statunitense per un valore all’epoca di 25,5 miliardi di vecchie lire..
Gli americani, si racconta, resistevano, ma Aldo Moro (chi era costui?) trova la soluzione “morotea” per cui i “materiali militari” (le armi) sarebbe stati consegnati ai libici dopo che gli stessi “materiali” era stati fatti entrare in possesso dell’esercito italiano.
Che Gheddafi avesse cacciato migliaia di imprenditori italiani dalla Libia, pochi mesi prima, ai mediatori d’affari, camuffatisi nelle nostre istituzioni, non gliene fregava un ben amato cazzo. Tenete conto amici che vi volte muovere nel complesso mondo dell’Intelligence. Che gli americani in realtà rifilarono all’esercito italiano merce per 45 miliardi di lire e soprattutto in cambio della concessione delle isole di Lampedusa e della Maddalena come basi militari. Mi potrei sbagliare perché, come è noto, sono un signore anziano e molto, molto rincoglionito. Quasi al limite della non punibilità.
Tutto questo per dire (o cominciare a dire?) che l’ENI non è un posto qualunque e che, nella mia visione rigida della “sicurezza” dello Stato repubblicano, i dirigenti dell’ENI dovrebbero avere, per poter operare non solo nei loro interessi e delle loro famiglie e dei loro fedeli clientes, dei super NOS (ridefiniti nei criteri di assegnazione) ma a loro dovrebbe essere impedito di divenire sostanzialmente la politica estera del nostro Paese.
Così come è successo in Libia con il bordello del prima, durante e dopo Gheddafi; in Kazakhstan, prima, durante e dopo il Caso Shalabayeva-Ablyazov; in Nigeria, prima, durante e dopo il “Caso Franco Lamolinara”; in Egitto prima, durante e dopo il “Caso Giulio Regeni”.
Cose solo apparentemente lontane ma costanti e permanenti caratterizzate da sigle, giovani personaggi che oggi sono divenuti ovviamente anziani, fili rossi che non si sono mai spezzati. Essere capaci di estrarre dalla realtà ciò che c’è ma non si deve è, tra gli altri, il compito delle done e degli uomini che vogliano servire la repubblica da incaricati nel COPASIR. Facendo ciò che, ad esempio, il vecchio cattivo Lamberto Dini non voleva che i pentastellati arrivassero a fare e cioè presiedere il COPASIR appunto.
Torniamo al super megagalattico impianto dell’ENI di Ferrera Erbognone dopo aver percorso, volutamente, questo lungo cerchio concentrico. “Vogliamo fare il meglio del meglio che c’è al mondo” aveva scandito l’ad Paolo Scaroni presentando il progetto alla presenza dell’allora ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato (ma chi era, è, sarà tale Carneade? Quante meteore!) ed io mi porrei il dubbio definitivo del valore di tali personaggioni sempre a galla (o forse no!).
Così mi porrei il problema della “sicurezza” di tali posti senza criteri di reclutamento, selezione, formazione del personale adibito a gestire un corpo fatto di dati grazie ai quali si può controllare tutto l’Ente Nazionale Idrocarburi, detto ENI.
Dice Wang Xi, con saggezza e sintesi: “Rapido come il vento che penetra nelle aperture”. Oggi è come se dicesse consigliando su come si attacca questo corpo super informato: agite rapidi contaminando i dati, trasferendo dati contraffatti e…soprattutto reclutando cazzoni, pseudo super tecnici, affidando il reclutamento ad una struttura esterna guidata – evidentemente – da qualcuno ancora più cazzone di loro. Almeno stando al racconto del tecnico che dice di aver subito mobbing e intimidazioni da parte di colleghi e superiori perché tenesse la bocca chiusa su questa banda di cazzafrulloni. Io se fossi chi di dovere non mi fermerei agli aspetti a “luci rosse” ma andrei a verificare la gravità della inadeguatezza di tali scelte reclutative. Pre condizione per l’attività di quinte colonne, sempre in agguato, quando si tratta di petrolio, armi, sangue e di fottere l’Italia. Come anche questa volta potrebbe essere che stia accadendo o per malignità di terzi o perché i preposti sono delle “seghe”.
Oreste Grani/Leo Rugens
Mi ha colpito al cuore con questo articolo! a Ferrera e. ho le radici ed ho costruito il mio impianto di trasformazione riso, e ho visto nascere il centro in questione. esattamente a meno di 1 km in linea d’ aria dal centro elaborazione in foto ero dislocato io; toccando quegli interessi, indirettamente, rappresentati da Mario Resca, il cagnetto da guardia del nano di Arcore, in consiglio ENI; relativi a biomasse e rinnovabili. L’ ultima foto a sinistra con i tre comignoli per la produzione di 1250 MWh, è presa dai terreni della cascina “Furiosa” di proprietà dell’ Ing M. Astaldi, ora defunto, lo stesso della omonima società di costruzioni romana, gestita dai nipoti mentre i figli sono in condotte romane. Quanto sangue dalla Lomellina per questi farabutti; il mio compreso. E’ questa la fonte dei servizi “avanzati” ed utilizzati male con cui ho avuto a che fare. Osservo le foto e mi domando, perché? Non avete idea del danno/i che hanno fatto, mentre le istituzioni locali guardavano consce ma nel silenzio. Il bello è che nemmeno loro sanno quello che hanno fatto. (sigh)
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Caro e sempre più attento garagista, come vede, basta leggerci con attenzione (non dico tutti i 3500 post ma quasi) e si capisce bene chi siamo (dei patrioti), chi amiamo (la Repubblica), chi difenderemo fino all’ultimo respiro (il Popolo Italiano).
Grazie per gli apprezzamenti.
O.G.
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