Avanti fino alla verità!

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Voi pensate veramente che il problema del nostro sgarrupato e senza onore Paese sia il SI renziano e non chiarire da chi, come e perché sia stata uccisa Ilaria Alpi? Se doveste pensare una tale mostruosità, vi meritereste l’inizio di una bella duratura, sanguinolenta, guerra civile.

E vi meritereste di essere trucidati tra i primi.

Perché, a tanta idiozia, si può rispondere solo con lo spegnimento dell’individuo non-pensante. In questo caso, voi.  Se pensate che sia ininfluente chiarire quella vicenda non vi deve essere consentito di riempirvi la bocca di paroloni legati alla “geo-politica”, alle pantomime del più grande bugiardo che si sia mai insediato a Palazzo Chigi, alla democrazia, alla libertà, all’uguaglianza, o a sghignazzare sui “pompini” che Madonna Madama Ciccone promette a chi voterà la moglie del campione di sesso spinto fatto a suo tempo alla Casa Bianca.

Statevi zitti a vita perché se c’è un Dio, farebbe bene, se si accorgesse di voi, a fulminarvi.

La storia la sapete e se non la sapete ve la riassumiamo utilizzando la prosa stringata, resa pubblica nel giugno 2012, di Piero Messina.

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Così muore una giornalista

Il 20 marzo del 1994 c’è aria di smobilitazione a Mogadiscio. Dopo due anni di presenza in Somalia, le truppe italiane stanno per tornare a casa al termine dell’operazione militare Ibis, una missione umanitaria per portare la pace tra le fazioni somale che si ammazzano tra loro.

L’Italia sta per pagare l’ultimo tributo di sangue. Un fuoristrada blu affianca la macchina su cui viaggiano la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il giornalista operatore Miran Hrovatin. Sei guerriglieri somali bloccano la vettura e fanno scendere i due giornalisti, dopo aver fatto allontanare le loro guardie del corpo. Poi sparano ferendoli e finendoli con un colpo alla nuca. L’attacco avviene in una zona controllata dal contingente italiano, in prossimità dell’hotel Amana, nella zona nord di Mogadiscio.

Le prime indagini condotte dai militari puntano a far prevalere l’ipotesi che i due giornalisti siano rimasti vittime di uno dei numerosi agguati a opera di una deIle fazioni somale. Ma presto iniziano a girare strane voci.

Si comincia a pensare che si sia trattato di una vera e propria esecuzione: la giornalista avrebbe raccolto presso il sultano di Bosaso (nel Nord deIla Somalia) informazioni sulla gestione dei fondi italiani della cooperazione e forse su presunti traffici di armi realizzati con quelle risorse.

La Procura di Roma, titolare dell’inchiesta, non esclude nessuno scenario. Saranno indagati anche il sultano somalo Abdullahi Muse Yusuf e il sultano di Bosaso Abdullahi Mussa Bogar. La svolta arriva nel 1998: a Roma, il miliziano somalo Hashi Ornar Hassan viene chiamato per testimoniare sulle presunte violenze commesse da militari italiani in Somalia. Viene riconosciuto dall’autista di Ilaria Alpi e arrestato, processato e condannato.

Contemporaneamente si apre un fascicolo parallelo, per scoprire eventuali mandanti. Alla fine, per la giustizia italiana, l’unico responsabile della morte della Alpi e di Hrovatin è il miliziano somalo. Una soluzione tutto sommato comoda, che ripone in soffitta tutte le inchieste condotte dalla giornalista del Tg3 sui traffici inconfessabili legati ai fondi miliardari per gli aiuti umanitari. Ma bisogna tornare sul luogo del delitto per riaprire la scatola dei misteri sulla morte della Alpi. E ripercorrere tappa dopo tappa quelle ore di terrore. Il primo a giungere in soccorso è Giancarlo Marocchino. In Somalia è arrivato nel 1984, dopo avere lavorato per trent’anni a Genova come camionista. Ha una piccola azienda di autotrasporto in Somalia, e in breve tempo diventa punto di riferimento per società italiane e statunitensi.

Il suo ruolo si estende quando in Somalia iniziano ad arrivare i soldi della cooperazione internazionale e le truppe italiane. Per fare fronte ai suoi molteplici – e rischiosi – impegni, Marocchino crea un piccolo esercito privato, arrivando ad assoldare fino a trecento miliziani armati. All’arrivo della forza internazionale di pace è lui a ospitare i giornalisti italiani, a procurare loro le scorte e a fornire, anche ai militari, supporto e informazioni.

Nell’ottobre 1993, la forza militare Usa, al comando della missione Restore Hope, lo espelle dalla Somalia con l’accusa di traffico d’armi. Marocchino torna in Italia ma, nel 1994, dopo una tappa in Kenya, rientra a Mogadiscio.

L’uomo sarà sospettato di coinvolgimento nell’uccisione di Alpi e Hrovatin: non solo arriva tempestivamente sulla scena del delitto, ma conosce la Somalia, le sue fazioni e le sue tribù, come se fosse casa sua. Possibile che non sappia nulla di quel delitto?

Benché sulla morte della Alpi e di Hrovatin Marocchino non sia mai stato interrogato, i sospetti sul suo conto rimangono comunque pesanti. Il suo nome compare anche in un dossier di Greenpeace del 2004 dedicato ai rifiuti tossici: nel libro bianco che tenta di svelare le rotte e gli interessi delle navi al veleno, l’imprenditore viene indicato come la persona che ha costruito, nella seconda metà degli anni Novanta, il porto di Eel Ma’aan in Somalia «dove sono stati interrati decine e decine di container che, secondo alcune testimonianze, sarebbero pieni di rifiuti tossici e radioattivi».

Per i servizi segreti italiani, e per la Digos di Udine, Marocchino fu in effetti indicato come uno dei mandanti dell’omicidio Alpi. Le notizie raccolte da entrambi i rami dell’intelligence verranno confermate in tribunale a Roma, nel giugno del 2002, dall’ex direttore del Sismi Vittorio Stelo che confermerà di aver ricevuto una nota in tal senso da parte dei «cugini» dell’intelligence civile.

Il copione dei servizi segreti italiani è sempre lo stesso: tacere.

Aggiungiamo che da alcuni giorni Hashi Omar Hassan è innocentissimo e finalmente scarcerato.

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Signora carissima (parliamo indirettamente alla madre di Ilaria) l’abbiamo vista ormai stanca e sola in TV. Anche noi, sia pur stanchi per altri nostri motivi come siamo, non cesseremo di stimolare chi di dovere a scovare chi decise di uccidere Ilaria, chi la uccise e, soprattutto perché.

Questo è un dovere che deve assumere prioritariamente – ad esempio – nel M5S, chi si interessa di sicurezza dello Stato, di Intelligence e, di fatto, di politica estera. Cioè, in sostanza, di tutto quanto riguardi la salute della Repubblica.

Noi fino a quando respireremo non ci tireremo indietro.

Tacere è il verbo che si immagina essere alla base dell’agire di un “servizio segreto” che tale si vuole ritenere essere.

Nulla di più errato.

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Il tacere acquiescente al potente di turno o a copertura di interessi “corporativi” o, peggio, a copertura di “colleghi” ancora in servizio, è l’opposto di quanto oggi l’Istituzione che ha mandato per garantire la “salute” della Repubblica.

Oreste Grani