La Corea del Nord è ciò che è! Quella del Sud potrebbe essere peggio! Unificate?

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Chissà se, richiesto, il vostro beniamino (di alcuni di voi certamente) Donald Trump, sa dire cosa voglia dire Chôson, in coreano? Chissà se prima di radere al suolo il Nord di quella penisola (il Nord storicamente da quelle parti ha sempre avuto peso maggiore del Sud) qualcuno, alla Casa Bianca, è in grado di dire al Presidente che Chôson vuol dire “calmo mattino” e che le città su cui vuole sganciare le super bombe sono state mediamente fondata nel 2300 a.C. e che ad oggi la capitale Pyongyang non solo conta ben 4.350 anni dalla fondazione, ma, come si dice, da quelle parti ha visto passare molta acqua sotto i ponti. Immaginate che i discendenti dei coreani, deportati in Kazakhstan da Stalin (non Trumpino il biondino) nel 1937 perché rompevano il cazzo al dittatore sovietico (scusate la semplificazione), ancora non si sono integrati dalle parti di Astana e, pur non parlando più coreano, non si sentono kazaki manco morti. Gente super tosta che, come mi sono premurato di dire in altro post, è venata da un profondo razzismo etico che li fa ritenere una “razza superiore”. 

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Comunque, non siamo di fronte ad una popolazione di indole remissiva. Non si piegheranno. Così come non si piegheranno gli Afghani, soprattutto dopo il super bombone. Così come non si piegarono i vietnamiti che, alla fine, li fecero scappare i superficiali e incolti statunitensi. Cazzuti gli scontri di civiltà in essere su troppi fronti aperti contemporaneamente. E in questi casi è proprio opportuno chiamarli “scontri di civiltà”. Giovane la cultura statunitense (trecento anni, a mala pena, se vogliamo contare proprio tutto) per misurarsi con gli eredi dei Tre Regni, solo attraverso la vetrina contrapposta dello stile di vita che è stato imposto intorno alla città di Seul. Certamente un provincialotto come Leo ne sa troppo poco per aver ragione quando considera fragile la posizione americana, nel medio e lungo termine.  Ma questo penso e questo scrivo.

North Korea Anniversary

Nella Corea del Sud si è passati da una condizione disperante di povertà (parlo del Sud e non del Nord che oggi vive le carestie e la cinghia tiratissima) degli anni ’60 dove la gente viveva con poco più di cento dollari l’anno, ad essere una potenza mondiale. Si dice che sia stato l’assoluto allineamento con gli USA (una vera dependance economica e finanziaria) a favorire questa crescita esponenziale. In Corea del Sud c’è un liberalismo spregiudicato come in nessun paese al mondo (sempre l’ignorantone che parla) tanto che si può essere licenziati dai posti di lavoro non solo senza alcuna giustificazione ma tecnologicamente via sms. A Nord ti possono licenziare dal Governo legandoti sulla bocca di un cannone e poi boom ma a Sud  dilaga lo stress da competizione alimentato da un arrivismo incondizionato; a Sud c’è una diffusa violenza scolastica (non di mini bulli ma di maxi bulloni); sempre a Sud c’è un aumento esponenziale dei suicidi e dei divorzi e di morti in campo produttivo non solo determinati da “banali incidenti” ma da veri e propri schianti da superlavoro; a Sud si arriva all’emigrazione non determinata da bisogni di maggior guadagno ma dalla necessità/volontà di chiamarsi fuori da un vero e proprio girone infernale. Oggi Seul è una delle città più care del mondo; in Corea del Sud le tasse universitarie sono le più alte del Pianeta, alla pari con quelle statunitensi e giapponesi. La Corea del Sud è ricca, ma appare dentro uno strano vicolo cieco che potrebbe divenire un boomerang se la questione della “nazione coreana” dovesse di colpo prevalere su tutto.

Non si sa, quindi, cosa, attaccando il Nord, gli USA stanno evocando. Oltre che lo spettro della guerra fine di mondo.

Oreste Grani/Leo Rugens

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