Nella libera e democratica Europa, anche con il voto, si è persa la partita contro l’ottomano sanguinario
Ancora una “volta” (come fu per l’elezione del Parlamento italiano l’ultima “volta” che ci lasciarono votare) è stato il voto della Diaspora (questa “volta” – e tre – è quella turca) a determinare un risultato elettorale, in bilico. Erdogan, immaginate il paradosso, si consolida nel ruolo di sanguinario dittatore della Turchia con il voto di turchi che vivono liberi in Germania, Francia, in Belgio, in Olanda e nel resto del Mondo dove sono stati costretti ad andare a cercare lavoro. Facile fare i sostenitori di un despota “ottomano”, coperti dalle garanzie dei Paesi dove si è “perfino” liberi di essere in disaccordo con il sultano/califfo massacratore di curdi!
Quell’uno per cento per cui Erdogan sembra (????) aver vinto il referendum, è in realtà tutto raccolto nelle campagne, negli altipiani socialmente arretratissimi e in Europa, facendo leva sul sentimento generico di nostalgia della Patria lontana. Dico questo perché ritengo, da sempre, il terreno delle “diaspore” (o altre forme di associazionismo degli emigranti), un terreno dove si gioca la partita della sicurezza nazionale/internazionale. Per il Paese che ospita gli emigranti o dove, in quel momento, si vota. E poi ditemi non non è un problema di intelligence culturale lo scontro epocale che si “gioca” volendo “giocare” al Grande “Gioco”, in modo particolare nel Mediterraneo e in Europa? Solo ieri, sulle nostre spiagge – si dice – che abbiano tentato di sbarcare migliaia di disperati che hanno la sola colpa di non voler morire.
Questa riflessione dice come la penso sul loro diritto a vivere ma guai a non mettere mano, con intelligenza e con visione strategica, a condizioni di complessità geopolitiche che potrebbero, in un effetto domino, spingere milioni di esseri umani a cercare la salvezza, “anche a nuoto”, come venti anni fa, con Jaro Novak (dove sei – silente – in Tecknark e con il file originale del progetto “Dietro alla siepe: verranno anche a nuoto”, ideato e redatto, a sei mani, per la Direzione Generale del Ministero dell’Interno dell’epoca e consegnato al prefetto Ansoino Andreassi?) e Antonio De Martini, analista politico che ancora oggi non ne sbaglia una, ipotizzammo.
Non so cosa darei per avere in mano quel file e mostrarvi il danno che quella decisione miope, autolesionistica, complice di non finanziare il progetto (con soli 600 milioni di lire dell’epoca, cioè 300 mila euro di oggi, qualcosa avremmo anticipato come problematiche mentre ci prepariamo, secondo le ultime previsioni, a spenderne, per il 2017, 12.600.000 euro al giorno !!!), ha arrecato a noi e a tutta la poltiglia europea!!!!!!
La partita epocale per tutti noi, come si vedrà, potremmo averla persa in Germania e nel resto dell’Europa, realtà raccogliticcia, senza identità, senza classe dirigente, impreparata alla complessità, adoratrice esclusivamente del vitello d’oro, alias “euro”.
Novak, se non sei morto (e mi dicono che non sei morto ma che lavori ancora, anche in medio oriente, con Mirza, Santulli e, forse, deduco, perfino con Pompa/Pollari), sia pur in modo anonimo, fammi pervenire il file, sarebbe un gesto dignitoso e riparatore. Saprei io cosa farci, come avrei, negli anni passati, saputo cosa farci, se non lo avessi fatto sparire, quando ti squagliasti, dalla sede di San Lorenzo in Lucina. Non ti farò niente. Anzi.
Oreste Grani/Leo Rugens
Si è mai chiesto Sig. Grani come mai i kebbabari(ma in vero anche altri negozi etnici) incominciano a colonizzare una città europea partendo proprio dalle vie immediatamente adiacenti le stazioni?
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Per alcune ore , per motivi professionali (spero che lei sia tra quelli che hanno capito più di quanto mi limito a dire in questa sede) mi sono dovuto dedicare ad altro. Da qualche minuto ho la mente più libera e mi sono posto il suo quesito (senza sapermi dare risposta soddisfacente) sui kebbabari. Vada oltre come certamente sa fare. La pubblico volentieri – come sempre – e se mi autorizza ne faccio un post a se stante. Grazie anticipatamente.
O.G.
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