Sogno la pace tra il popolo di israeliano e quello palestinese
Mi ha telefonato (chissà chi le ha dato il mio numero che è conosciuto solo da due amici e dalla mia compagna di vita) la giornalista Roberta Zunini e, prendendomi di sorpresa, mi ha chiesto cosa pensassi della visita del Presidente Trump in Israele.
Ho scoperto che può succedere che anche uno prudente come sono (o dovrei essere io), si faccia prendere in contropiede.
Per cui, senza chiedere dei chiarimenti, ho dato delle risposte e solo alla fine di questa lunga conversazione ho chiesto chi fosse dall’altra parte a farmi le domande.
Così ho scoperto che era la brava e intelligente Roberta Zunini.
Brava e intelligente perché, come Enzo Biagi insegnava, amici lettori, la buona intervista la fa chi pone le domande.
Evidentemente sentivo il bisogno di sfogarmi e ho detto la mia quasi fosse un semplice sondaggio telefonico.
“Voglio essere chiaro – ho cominciato – il signor Trump non ha il profilo morale, l’intelligenza, la cultura, la sensibilità per risolvere alcunché, tantomeno una questione tremendamente complessa come quella israelo-palestinese. Questo signore conosce solo il linguaggio volgare ed arrogante dei soldi e della peggiore tv. Come ha fatto – appunto – parlando di Manchester, dell’ISIS e degli sfigati“.
Mi incalza la brava intervistatrice:
“Però Trump è stato accolto dal premier Netanyahu come una sorta di messia e nonostante i servizi segreti israeliani lo ritengano inaffidabile dopo la rivelazione ai russi di alcune informazioni fornite alla Casa Bianca proprio dal Mossad.
Qual è la spiegazione di questa inedita e pomposa accoglienza?“.
Mi comincio a chiedere per chi mi abbia scambiato, ma narcisisticamente sto al gioco dell’eventuale equivoco.
“Che Trump non è interessato alla pace tra israeliani e palestinesi, come non è interessato il suo amico di famiglia Netanyahu. Entrambi vogliono mantenere lo status quo, quello che dicono e fanno in pubblico è solo una farsa“.
Mi è uscito così dal profondo e ormai, mi sono detto, la frittata è fatta e invece di chiudermi, ho rincarato la dose.
“La verità è che entrambi non vogliono la nascita di uno Stato palestinese mentre vogliono continuare la politica rovinosa dell’appoggio alle colonie nei Territori palestinesi occupati. Non è un caso che Trump nell’incontro con Abu Mazen non abbia minimamente fatto riferimento alla soluzione dei due Stati.“
“Abu Mazen, secondo lei, ha fatto troppo buon viso?“, è la domanda conseguente.
Ed io, sempre più a ruota libera.
“Il presidente dell’ANP è stato troppo passivo, troppo cauto. La situazione richiede una posizione più decisa.“
“Si riferisce al fatto che non ha sottolineato a sufficienza le conseguenze di 50 anni di occupazione israeliana?“.
“Prima di risponderle sul punto voglio sottolineare – a scanso equivoci – che la Guerra dei Sei giorni, scoppiata il 5 giugno 1967, è stata giusta e sacrosanta, senza se e senza ma, perché lo Stato di Israele stava per essere attaccato.
Detto questo condannerò senza mai stancarmi l’occupazione dei territori palestinesi che ne è scaturita. A causa delle violenze dei coloni ebrei, a causa dell’espansione delle colonie e alla nascita di nuove, a causa delle privazioni a cui i palestinesi che vivono nei territori sono sottoposti quotidianamente da mezzo secolo, questa situazione non può reggere.“
Mi accorgo che la mia gentile intervistatrice rimane sempre più colpita dalle mie risposte e all’ora incalza coraggiosamente:
“Intanto dal 17 aprile continua lo sciopero della fame di 1300 carcerati palestinesi. L’ispiratore è Marwan Barghouti, in carcere da 15 anni per il ruolo nella seconda intifada. Cosa ne pensa?“
“Che i detenuti palestinesi hanno ragione a scioperare perché discriminati e chiedono di poter godere degli stessi diritti di tutti gli altri carcerati, che sono peraltro i diritti sanciti da tutte le convenzioni per i diritti umani. Israele, se vuole ancora definirsi una democrazia, glieli deve dare. È loro diritto“.
Chi sa di me sa che ho amore, ammirazione, passione per lo Stato di Israele e quindi si sarà meravigliato di aver letto questi miei pensieri in libertà.
Chiarisco: questo è uno stralcio di una intervista realmente rilasciata ma ovviamente (avete capito?) non da me, ma dal grande (ma inascoltato) scrittore israeliano Abraham Yehoshua. Mi sono autorizzato al gioco per dare sostanza al mio pensiero usando le parole oneste e inequivocabili dell’uomo di cultura che avrei voluto essere. Mi scuso quindi con la brava e intelligente Roberta Zunini per l’uso strumentale che ho fatto del suo lavoro. Mi scuso con Il Fatto quotidiano di cui sono un fedele lettore nella versione cartacea. Mi scuso con tutti i miei lettori ma non con quello sfigato di Donald Trump, ne, tantomeno, con i miopi/ipovedenti/semiciechi Mazen e Netanyahu. La mia stima e ammirazione va ancora una volta, alle donne e agli uomini di Israele pronti al dialogo intelligente con la popolazione palestinese. A cominciare dal grande Yehoshua.
Oreste Grani/Leo Rugens che ribadisce anche in questa sede che sognare non è reato