Non c’è due senza il tre! E questo vale anche negli USA
Per prevedere gli effetti geopolitici della “manovra a tenaglia” tra la denuncia al presidente degli Stati Uniti d’America per ostruzione alla Giustizia (cosa cazzuta negli USA) e i primi timidi tentativi di ricorrere all’Opzione Dallas (il quasi ammazzamento del pesantissimo parlamentare repubblicano e amico personale di Donald Trump, Steve Scalise), ci vorrebbe tutta la capacita preveggente del miglior Mago Otelma.
Senza essere Otelma, il divertente (e competente) esponente del Partito Radicale di un tempo, ma solo ricordando personalmente quali accelerazioni drammatiche si sanno imprimere agli avvenimenti politici dalle parti di Washington, ritengo che l’affare (e senza fare volgari riferimenti al sesso di nessuno) si stia per ingrossare. Si parla spesso del ’68 come l’anno dei grandi cambiamenti in Europa: il Maggio francese e la gioventù italiani che si catapulta nelle piazze. Ma il ’68 che che ho fissato nella mia memoria più complesso degli altri è stato certamente quello americano. Fu certamente il più turbolento e drammatico. Qualcuno aveva fatto uccidere, solo pochi anni prima, a Dallas, uno dei Kennedy quando, il 4 aprile del 1968, appunto, soltanto quattro giorni dopo l’annuncio del ritiro di Johnson dalla corsa alla presidenza, Martin Luther King fu assassinato da un cecchino militare mentre si trovava al balcone di un motel di Memphis, nel Tennessee. L’assassino aveva espresso pubblicamente ostilità contro i neri, ma tuttora si discute se sia stato una pedina di un complotto organizzato. Si discute ma questa è un espressione riduttiva perché in realtà che ci sia stato un complotto nessuno più ne dubita. E che super complotto! La morte di King, uomo illuminato e illuminante come pochi, suscitò pari dolore nei bianchi e nei neri e scatenò un’esplosione di disordini in oltre sessanta città americane, i più gravi dei quali a Chicago e a Washington D.C.
Solo due mesi più tardi, il 6 giugno, Robert Kennedy fu ferito gravemente alla testa dai colpi sparati da un giovane palestinese, formalmente perché contrario al sostegno dato da Kennedy a Israele. Ma quanto pesa il non scoppio della Pace a Gerusalemme? Kennedy morì sul finire del giorno in cui aveva sconfitto Eugene McCarthey nell’elezione primaria di California, divenendo il principale interprete della corsa per la nomination democratica alla presidenza.
Poche settimane dopo, era agosto sempre del ’68, i delegati democratici si riunirono nella sala della convenzione di Chicago per conferire la candidatura al vicepresidente Hubert Humphrey, mentre ventiquattromila poliziotti e uomini della guardia nazionale insieme a centinaia di giornalisti televisivi stavano all’erta di fronte a migliaia di contestatori di vario tipo, radunatisi a qualche chilometro di distanza in un parco pubblico. Era chiaro (non so se lo fosse in quel momento a chiunque) CHE LA TRADIZIONE PROGRESSISTA DEL PARTITO DEMOCRATICO (UCCISI KING E I KENNEDY) ERA IN CRISI. In campo repubblicano rispuntò Nixon che per pochi voti popolari (meno di 500.000) alla fine prevalse nello scontro di novembre. Alla fine di un anno, il 1968 appunto, traumatico, la nazione americana che era sembrata sul punto di consumarsi nei sussulti di una violenza senza uguali si rivolgeva a uno come Nixon perché, prima di tutto, se non esclusivamente, ottenesse nel Vietnam una pace con onore. E poi si mettesse a rabberciare il tessuto sociale a brandelli. Come andò si sa e nella mia testolina memore le lacerazioni politiche e culturali sotto la cenere negli USA non si sono mai spente realmente. Troppo povera culturalmente la sequenza degli statisti che hanno guidato l’Impero, da quel momento. Chi ha fatto fuori il duo strategico Martin Luther King e Robert Kennedy sapeva cosa stava facendo e come, da quel uno-due, il Grande Gioco delle oligarchie massoniche si sarebbe mosso perché il sogno americano (e con esso di mezzo mondo) non avessero mai più cittadinanza anzi si trasformasse in un incubo. Dentro e fuori i confini degli USA. Così doveva essere, e così è stato (altro che non esistono i complotti, caro Paolo Mieli!) fino a rotolare dove oggi siamo (in realtà io non ci sono proprio dal quel 1968) attoniti davanti alla pochezza del personaggetto (direbbe Vincenzo De Luca/Maurizio Crozza da Salerno/Genova!) Donald Trump.
Strana “manovra a tenaglia”, dicevo in apertura di post. E così certamente è.
Rimaniamo in attesa degli inesorabili interrogatori del giudice di turno John J. Sirica (negli USA questi personaggi da film, inesorabili nelle loro capacità di investigare e di interrogare non mancano mai) per vedere crollare Donald Trump non dimenticando che uno come Nixon quando si arrese allo scandalo Watergate, si trascinò venticinque funzionari dell’amministrazione federale, di cui quattro membri del gabinetto tutti arrestati. Quella del Watergate sembrò la crisi istituzionale più grave della storia degli Stati Uniti d’America, perché, quasi nessuno, dentro e fuori i confini americani, ricordava l’impeachment del presidente Andrew Johnson avvenuto cento anni prima del fatale ’68 di cui ho parlato. Negli USA si deve stare attenti a semplificare le cose. Intanto anche, da quelle parti, vale il detto popolare non c’è due senza il tre (Johnson, Nixon e …) e poi, quando uno potesse mi andrei ad andare a guardare i motivi di queste due precedenti incriminazioni e mi porrei il problema se ciò che si aggrovigliava in quelle date oggi sono questione risolte e se la questione dei tentativi di insabbiare e di non rispondere (se non il mentire) non siano questioni che lontano dall’essere formali da quelle parti diventano sostanza. Negli USA non si può mentire al Congresso, così come non si può mentire in Gran Bretagna al cospetto dei Pari o in Francia davanti all’Assemblea del Popolo sovrano. Solo dalle nostre parti Pinocchio regna. Prima, però (e questa è la speranza latomistica) di diventare un adulto consapevole secondo il pensiero di Collodi.
Oreste Grani/Leo Rugens