Giustizia come equità
La mia amica Dionisia si inoltra, con Pinocchio di Collodi, nel “cuore” di temi ancora irrisolti e che affascinano quella parte di umanità rimasta pensante. Il suo gioco sapiente mi spinge verso ulteriori riflessioni su cosa sia giusto e, in quanto tale, equo. E, in quanto equa, cosa giusta e sicura.
Nel pensatore americano John Rawls (nato nella colta Baltimora), filosofo morale, si trova, ad esempio, la Giustizia come Equità, cioè come cosa che si può sintetizzare con “la parità di trattamento”. Oggi – tra gli altri – il problema fondamentale delle società (democratiche?) è certamente la mancanza di un accordo sull’organizzazione delle istituzioni affinché realizzino la giustizia tra i cittadini liberi e uguali. Non a caso sentite parlare, da decenni, della crisi della giustizia, dei tribunali, dei ministeri preposti anche per questo problema irrisolto. Anche per questo sentiremo la mancanza di uomini come Stefano Rodotà, repubblicano, che avremmo voluto al Quirinale al posto di un monarchico come si è mostrato essere Giorgio Napolitano. Eppure la giustizia è il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero.
Rawls, ma come lui altre decine di pensatori (che fine hanno fatto quelli che pensano oltre a quelli che rubano il denaro pubblico e la verità?), propone la giustizia come equità per trovare una soluzione al conflitto interno alla tradizione democratica tra le libertà dei moderni (i diritti naturali e il governo della legge) di origine lockiana e le “libertà degli antichi” (le libertà e i valori della vita pubblica) riproposte nella modernità da Rousseau. Non a caso si trova il nome di Jean Jaques Rousseau a garanzia del Blog di Beppe Grillo e del MoVimento a Cinque Stelle. Sempre sperando che i giovani amici sappiano in nome di cosa e di quali elaborazioni concettuali si stanno battendo.
Stanno lavorando sui principi di giustizia che, garantendo al tempo stesso eguali diritti e libertà fondamentali in condizioni di equa uguaglianza (ma come parlo?) delle opportunità, e dando il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società, dovrebbero fare di ogni cittadino una persona. Ogni persona dovrebbe avere, rete o non rete, ma a maggiore ragione perché esiste Internet, uguale titolo a un sistema pienamente adeguato di uguali diritti e libertà fondamentali. L’attribuzione di questo sistema ad una persona sola (o a pochi altri a lui fedeli) è esclusivamente compatibile con la sua attribuzione a tutti. Sfumature ma determinanti per ricordare Rodotà, Rodotà, come Onestà, Onestà, o come Libertà, Libertà. Le disuguaglianze sociali ed economiche di cui sento sempre meno parlare nel Movimento a Cinque Stelle, nelle piazze, in parlamento, sui blog devono soddisfare due condizioni (queste mi vengono in mente tra le altre): primo, essere associate a posizioni e cariche aperte a tutti, in condizioni di equa uguaglianza delle opportunità; secondo, dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società. Non quindi nel proprio ambientino cortilesco. Vuol dire che se non sappiamo capire dove arriva il confine del termine lessicale “società” è meglio lasciare perdere a voler guidare la Repubblica Italiana che è figlia di millenarie ondate immigratorie/invasioni quando i popoli arrivavano e quando intere popolazioni se ne andavano.
Se si si vuole avere vantaggi dalla rete (che è un mondo per definizione senza confini e dove tutti hanno diritto di cittadinanza), bisogna darsi una regolata rispetto ai mezzi che anticipano le finalità. Gente di Genova, gente che ha insegnato al mondo a ballare il Tango, gente che ha suggerito al mondo che un tessuto jeans è per sempre, gente di una città che ha visto nascere Giuseppe Mazzini deve riflettere prima di parlare di complessità come i diritti degli uomini e delle donne. E dei loro figli. A prescindere dal colore della pelle. L’ora è grave non solo perché l’Italia e governata in maggioranza da gentaccia come Silvio Berlusconi, Denis Verdini, Totò Cuffaro, Marcello Dell’Utri, Roberto Formigoni ma perché il vertice dell’opposizione pentastellata ha ritenuto legittimo considerare cosa propria il patrimonio di oltre 9 milioni di cittadini che avrebbero voluto, ad esempio, ad ogni costo (parliamo in fin dei conti di un po’ di moti virili di piazza) Stefano Rodotà al Quirinale invece dell’antitaliano Giorgio Napolitano. Solo errori? Solo errori ritenere la Capitale cosa minore fino a farla diventare terreno per i conflitti di natura psicologica tra una figura imbarazzante come Raffaele Marra (“monsignore mi aiuti ad entrare nei servizi segreti”) e la gentile avvocatessa Virginia Raggi prestata, a tempo determinato, alla più complessa delle cattedre cioè quella di scienze politiche.
Oreste Grani/Leo Rugens
Bell’ articolo; però parlare di Giustizia per i Cittadini, in Italia, è realizzare un film di utopica fantascienza. Le bande bassotti continuano a scorrazzare imperterrite, cambiano solo casacca. Abitiamo in uno Stato (?) a carattere medioevale, senza alcuna intenzione di cambiare; una indicazione la avremo oggi dagli esiti elettorali. 50% non vota (errore), del resto dei votanti, Cdx e Sx si mettono d’ accordo dividendosi i comuni, in alcuni casi presentando una sola lista (osceno). Si cambia solo come in Venezuela, ma non teniamo gli attributi. Meglio andarsene da questa fogna piena di opere d’ arte, quindi vecchia. Ammesso che ti lascino andare!
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