Regeni – tra spia (che non era!) e ingenuotto, ci sarà una terza via che lo onori?

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Mi è particolarmente caro il tema dell’Intelligence che non può avere un apparato sensorio destinato separatamente a rapportarsi per comprendere il dentro e il fuori e per anticipare il futuro, leggendo i segni del presente. Perché questo tipo di lavoro complesso è destinato a fare il cervello intelligente che auspichiamo guidi la Repubblica che sarà. Questo cervello deve avere sensi che sappiano scorgere un ordine nel caos e cogliere il valore del tutto – l’intelligenza delle cose – scrutando frammenti senza un disegno apparente. In una parola, è tempo di sviluppare una nuova capacità culturale, tanto più protettiva dei destini della società quanto più allenata ad anticipare il futuro leggendo perfino la passione per i piccoli oggetti che compongono la memoria del quotidiano di chi volesse aggredire la comunità con la visione fanatica della propria vita. Dobbiamo arrivare a non scartare nulla e, nel percepire tutto, sapere scegliere in modo da anticipare/contrastare/inibire i comportamenti di quelli che si sentono liberi/in dovere/destinati/scelti per fare quanto ritengono giusto e coerente con il proprio credo assassino.

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È una sfida intellettuale come mai si era data in quanto si gioco in campo aperto dato da tutto quanto, in modo ubiquo, avviene sul Pianeta, e non solo sul Pianeta. Guerra planetaria quindi e guerra nello spazio fin dove siamo arrivati a segnare la nostra presenza. Quella che stiamo proponendo è l’idea di una cultura della complessità speculare alla complessità crescente del mondo contemporaneo, si prospetta come sola efficace chiave di comprensione del reale e che, nutrita e orientata dal paradigma della transdisciplinarità può dotare il nuovo operatore di intelligence (che è tutto meno che una “spia tradizionale” e lo scrivo ad evitare altri equivoci) delle qualità intellettuali e professionali in grado di porlo all’altezza dei suoi compiti. Che, chiariamolo subito, senza se e senza ma, sono tra i più delicati e importanti che si delineano nella società in divenire. Il nuovo operatore di intelligence presidia infatti un settore strategico – il trattamento delle informazioni – dove risultano essenziali tanto le capacità di lettura, interpretazione e anticipazione di eventi significativi di natura sociale, politica, economica e culturale, quanto (e questa è la novità delicatissima) le basi etiche del suo agire. L’ambiente (e spero di essere capito senza fraintendimenti) è da troppi anni inquinato da assenza totale di meritocrazia e, come spero tutti sappiate, le raccomandazioni e le cordate di compagni di merenda (e di accademia o di corso) non sono certo sinonimo di sicurezza.

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La peculiare qualità delle sue prestazioni soprattutto in fase formativa (dopo altrettanti momenti impegnativi di reclutamento e selezione), misurabili nell’efficacia del suo contributo alle politiche nazionali di prevenzione e la rettitudine dei suoi comportamenti (campioni e campionesse del saper dire di NO), valutabile nel grado e nella persistenza della sua adesione ai valori di riferimento, costituiscono dunque i connotati distintivi del suo ruolo professionale e, perciò stesso, gli obiettivi generali della sua formazione.

E immaginare una bellissima persona come ormai tutti sappiamo essere stato Giulio Regeni, intellettualmente dotato, pulito e trasparente negli ideali e nei valori di riferimento, perché non bisognerebbe volerlo/saperlo onorare definendolo modello rispondente a tale onorevole compito?  Giulio Regeni, così come lo abbiamo imparato a conoscere tramite mille informazioni che abbiamo saputo elaborare ricavandole dalla rete e tramite onestissime fonti aperte, ci è apparso: “…  con la propria formazione, il prototipo dell’operatore di intelligence culturale del futuro. …”. E tale, lo confermiamo, vogliamo che sia considerato dai sui compatrioti che, viceversa, come spesso accade in questo Paese immemore, potrebbero dimenticarlo.

Oreste Grani/Leo Rugens

PS:

Che cosa c’entra la presenza o meno dell’ambasciatore italiano al Cairo? Forse, perché si chiama anche lui Massari?