Il determinante intreccio tra diplomazia e intelligence

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La prendo alla lontana per parlare di due cose che mi stanno a cuore: la politica estera e il futuro governo del Paese, sperando che sia “a cinque stelle”. Le riflessioni che seguono non hanno alcuna pretesa di costituire un lavoro elaborato e sistematico. Anzi. Piccole provocazioni sui temi e basta. Anzi, dei due, oggi scelgo il secondo tema e lo circoscrivo sostanzialmente ad una domanda: qualora il M5S dovesse vincere, quale criterio sceglierebbe per darsi una politica estera? Intendendo, non quale (che sarebbe come volere mettere in tre righe la Divina Commedia), ma a chi verrebbe affidata la politica estera sul campo. Non parlo quindi del titolare del Ministro degli Esteri (che comunque sarà una scelta delicata quasi quale quella del presidente del Consiglio dei Ministri) ma delle scelte legate ai diplomatici, quali e per quali sedi. I cinque stelle sceglieranno uomini della burocrazia formatasi alla Farnesina o inaugureranno un stagione rivoluzionaria, all’americana, dove gli ambasciatori spesso vengono scelti con criteri di appartenenza agli ambienti che hanno determinato la vittoria del Presidente? Nella grandissima maggioranza dei paesi esiste una carriera specializzata che si occupa dei rapporti con l’estero, cioè delle relazioni internazionali, allo stesso modo che esistono carriere altrettanto specializzate che si dedicano ai problemi militari o a quelli giudiziari. Sapranno i nostri eroi ricondurre le scelte per le maggiori posizioni internazionali dentro ad un criterio generale del dimenticato “interesse nazionale”? Sapranno i cittadini da poco affacciatisi alla complessità della politica internazionale dare una veste unificante a queste scelte?  Questo non è sesso degli angeli o lana caprina. Gli stati moderni si caratterizzano (o dovrebbero caratterizzarsi) proprio per la crescente organizzazione dei corpi burocratici, destinati a svolgere le varie funzioni amministrative. Nello svolgere queste funzioni amministrative, chiudono oggettivamente gli spazi al potere che per semplicità chiameremo politico. È come, all’ennesima potenza, quello che avete visto succedere a Roma.

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Vediamo di non fare casino (troppo) anche su questo terreno. Oppure, e sarebbe peggio, per paura di sbagliare, non mettere mano a qualche rimozione mirata. Ma gli amici a cinque stelle si stanno da tempo addestrando a quella bolgia infernale, fatta di sfumature e di linguaggi allusivi, che è la Farnesina? O vedremo una Roma bis, con il Mazza di turno che dice “facciamo così, facciamo colà, nominiamo il tale, dimettiamo il talaltro”? Questo deve essere, da qui al 24 settembre, uno dei veri crucci del vertice a cinque stelle. Avere una politica di reale sostegno al Ministro degli Esteri o, il poverino, farà la fine di una Raggi qualunque. Che non è una cattiva persona ma sempre Marra si era scelta come consulente. La Diplomazia è un ordine chiuso ma che nella visione a cinque stelle (così dovrebbe essere) dovrebbe divenire la punta di diamante del Paese. La Diplomazia si confonde nelle attività quotidiane con le fortune o le sfortune internazionali della Nazione. Sovranità e identità, senza burocrazia diplomatica alleata, non si attueranno mai. Diplomazia e intelligence, inoltre, hanno bisogno di armonizzarsi. E questo andava fatto prima del 24 settembre 2017, a Rimini. Dico che “andava fatto prima” perché non vedo segni di tale processo di contaminazione. Sperando di essere ormai un vecchio rincoglionito che non riconosce gli indizi. L’estrema delicatezza del tema e di tale intrecci, non vi deve sfuggire. Delicatezza è, in realtà, sinonimo di pericolosità. E che Intelligence e Diplomazia non siano ancora armonizzate nel M5S ne abbiamo la prova proprio da come sia bastato che un outsider quale Alberto Massari, con tempismo sorprendente (per chi non lo conosceva), a 96 ore dalla degenerazione dei rapporti diplomartici e di intelligence con la Francia, pronunciasse un suo jaccuse su cosa non dovevamo più tollerare da parte dei malevoli vicini, per insospettire ambienti che pure avrebbero dovuto apprezzare le posizioni ferme e patriottiche dell’esordiente presidente della HUT8. Non è stato così, dicevo, perché la materia delle relazioni tra Intelligence e diplomazia è oggettivamente delicatissima, come vedremo se, a Rimini, si dovessero fare scelte non ponderate e non organiche alla finalità rivoluzionaria di un Governo a cinque stelle.

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Chi vince le elezioni di primavera 2018, eredita una Farnesina fiaccata da decenni di allacciamenti di singoli funzionari con uomini della partitocrazia e con i capi banda che hanno devastato il Paese. Ma saper fare “piazza pulita/tutti a casa” è ben altra cosa degli approcci alla camomilla che, ad oggi, ci sono dati di vedere. Inoltre spero di farmi capire è questione di sicurezza nazionale e internazionale decidere, sin da ora, quale risposta dare all’arduo problema della responsabilità della diplomazia nella politica estera del Paese. La Diplomazia deve essere soltanto uno strumento professionale ben addestrato ed affinato ma esclusivamente pronto a servire il potere politico nel migliore dei modi, ovunque e comunque questo si proponga di utilizzarla (ma bisogna saperlo fare e avere chiaro cosa si vuole fare), oppure ci si prepara ad una stagione dove i diplomatici hanno un loro ruolo da svolgere, una loro influenza di corporazione, una loro peso anche sulle scelte fondamentali per la sicurezza della Repubblica? Se così fosse, bisognerebbe saper avviare (ma quando?) sedi di ragionamento dove la politica dovrebbe dimostrare di saper giocare un ruolo di terzo incluso tra Intelligence e Diplomazia. Nei secoli i diplomatici in tutto il mondo hanno corso il rischio, giuridico e culturale, se non assecondavano il potere sovrano e assoluto, di essere considerati dei traditori. Più ancora dei capi militari. Oggi/domani la partecipazione alle decisioni di governo saranno il vero terreno dove si gioca la possibilità che il Paese risorga. Saper armonizzare Forze Armate, Diplomazia e Intelligence, sarà determinate se si vuole meritare il consenso popolare. Compariranno espressioni quali “interessi vitali”, “interessi permanenti”, “obiettivi immutabili”, oppure la apparentemente più semplice “sicurezza nazionale” e bisognerà mostrare di aver capito quali devono essere i fondamentali per fare scelte in campo internazionale. Cioè nel solo campo che ha un senso dando per certo che ormai non si può ritenere la Repubblica amministrabile e difendibile con semplificazioni quali “dentro e fuori”. Se non ci sarà un dentro e un fuori, come noi auspichiamo, tutto sarà politica estera e quindi “azioni internazionali” dove senza il contributo leale della Diplomazia tutto sarà vano. 

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Altro che raccontare ai cittadini sovrani che Hitler continuò fino all’ultimo a ritenere che lo sbarco degli anglo-americani si sarebbe materializzato a Calais, piuttosto che in Normandia. Avrei piuttosto voluto sapere cosa quegli esperti di sicurezza pensavano di Intelligence e Diplomazia, di dentro quindi e di fuori, di noto e di ignoto, di passato e futuro, prima che, ancora una volta, il buio prevalga sulla luce e quindi, nelle stanze della Repubblica, l’oscuro sulla chiarezza.   

Oreste Grani/Leo Rugens