Esce La Quarta Rivoluzione di Luciano Floridi

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Esce un libro che considero importante (prima ancora di averlo letto) il 31 agosto pv: La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo.

L’autore è il filosofo Luciano Floridi e l’editore è Raffaello Cortina. Se uno sa di me sa che feci ruotare intorno alla tesi che ora diventa libro della Quarta rivoluzione (quella iniziata da Alan Mathison Turing e che oggi genera la infosfera) il convegno di cui altre volte ho parlato “Lo Stato Intelligente. I finanziamenti europei per l’innovazione e per la sicurezza”.

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Luciano Floridi

Non a caso le figure qualificanti quell’evento (23 marzo 2012) furono proprio filosofi e informatici. Luciano Floridi ed Emanuela Bambara tra i pensatori complessi ed Alessandro Zanasi e Liviu Muresan tra gli specialisti di tecnologie utilizzate per le investigazioni complesse.

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Alessandro Zanasi

Per ora solo la scheda del libro. Quando mi sarà possibile leggerlo, tornerò sul tema dell’infosfera e di come essa stia cambiando il mondo.

Perché vorrei che capiste che operare nell’infosfera e non più nell’atmosfera non è differenza da poco. Facciamo un esempio di come stiamo messi oggi certamente non solo in Italia ma sicuramente nel nostro Paese e di conseguenza in Europa o in quel che ne avanza. Dibattere dei valori su cui impattano le nuove tecnologie sarebbe stato uno dei cardini per evitare la grande fase politica e sociale connotata da euforia e da apatia al tempo stesso rispetto ai prodotti della evoluzione scientifica. Facciamo l’esempio della tanto vituperata DC e con la Macchina del Tempo facciamo un balzo indietro di oltre mezzo secolo.

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Ci fermiamo con La Sfera Duttile (vedi foto) al 1966 quando il partito egemone del Parlamento Italiano si trova di fronte il cosiddetto fenomeno della “contestazione”, rappresentato dalle iniziative degli studenti dell’Università di Pisa e agli scontri di piazza a Genova e a Trieste per la crisi (l’ennesima) cantieristica dell’ottobre, scontri nei quali i giovani che si battono con la polizia si identificano con le “guardie rosse” della rivoluzione culturale esplosa in Cina nell’estate di quell’anno. Anche le alluvioni (sono gli incendi d’oggi?) scuotono per un momento dalla sua apatia il Governo Moro, proprio mentre maturano (perché attenzione che quando stanno maturando in pochi capiscono – “senza intelligence” – che stanno maturando le condizioni) le condizioni per tensioni sociali quali il centro-sinistra non aveva più conosciuto dopo le lotte sindacali del 1962-1963. La DC arriva a questo appuntamento con i prodromi del Grande Cambiamento rappresentato dal 1968, con le riflessioni (parolaccia ormai fuori dal vocabolario e dall’azione politica) teoriche del Convegno di Lucca che si terrà nell’aprile del 1967.

Il convegno è un tentativo di dare risposta in chiave culturale (ma che scrive questo?) alla domanda che il segretario della DC dell’epoca, Mariano Rumor, si era posto dopo la vicenda delle elezioni presidenziali che avevano visto eletto Giuseppe Saragat.

Il convegno ebbe notevole eco immediata tra gli intellettuali cattolici, e come afferma uno di essi, Ruggero Orfei, “segna uno degli sforzi maggiori del gruppo doroteo per uscire dall’isolamento in cui venne a trovarsi rispetto alla società, e insieme anche uno dei tentativi più cospiqui di razionalizzare il consenso”. In quel di Lucca vi furono numerosi interventi e relazioni (relazioni? cosa sono?), da Gabriele De Rosa a Sergio Cotta, da Pietro Scoppola a Leopoldo Elia e Luigi Pedrazzi (andate a vedere chi fossero tali signori), ma i risultati, nonostante tali fuoriclasse impegnati furono modesti perché, secondo quanto osservava lo stesso Orfei in tempi successivi la DC non trovò interlocutori numerosi e validi. Attenti che questo è ancor oggi più valido di mezzo secolo addietro: se anche ci sono tentativi di riflessione nessuno è pronto a farsi sponda. Ne trovò do toppo condiscendenti per cui l’operazione Lucca rimase priva dell’elemento dialettico. Altra statura e altra dimensione dei relatori ma, come avete visto, dopo il Convegno di Ivrea sui futuri possibili organizzato dal M5S, la pochezza del fattore dialettico è stata “assordante”. Il Paese è sull’orlo di una drammatica possibile fase per l’assenza totale di capacità dialettiche. Fossero anche veri momenti di scontro e di accapigliamento.

I dorotei ebbero paura, a Lucca, di un vero dibattito, come gli intellettuali esterni al partito egemone  ebbero paura di chiamre con il loro nome i fenomeni politici ai quali avrebbero dovuto dare un senso.

Nella sua relazione uno dei professori (il cattolicissimo Cotta dell’Università di Roma la Sapienza) si pose la domanda centrale:” Il nostro problema è: ci sono oggi ragioni che giustifichino l’esistenza di un partito di ispirazione cristiana?”; e sembrò rispondere affermativamente, nel senso che tale partito (e vengo al fatto che mi interessava evidenziare e porre in questo marginane ed ininfluente blog nella estate più calda della mia settantennale esistenza, nel momento in cui esce il libro di Luciano Floridi sulla Quarta Rivoluzione Industriale), avrebbe dovuto accompagnare l’Italia nella trasformazione necessaria da società tecnologica a civiltà tecnologica. Di questo si ragionava nei partiti. Gabriele De Rosa contribuì con una riflessione che ebbe nella frase che riporto l’intuizione di quanto stava per avvenire e che oggi è ciò che inchioda l’intero Paese ad una prospettiva drammatica: “Noi purtroppo chiamiamo sviluppo ciò che più rigorosamente dovremmo definire pura crescita quantitativa (oggi ancor di più i media vi parlano solo di decimali che dovrebbero tranquillizzarvi o meno su occupazione PIL ed altro ndr), a singhiozzi e per puri impulsi produttivistici, di una economia fine a se stessa. I partiti possono dare una tensione ideale a una vera e autentica politica di sviluppo solo quando siano capaci di produrre una classe dirigente (non è un mostro da fuggire una tale finalità amici pentastellati voi e la vostra inadeguata fucina intenettiana! ndr) non più vittima del complesso dei rapporti di forza, dei ricatti, delle molteplici pressioni corporative.”

Parole forti ma che potevano in quella circostanza e in quei tempi aggiungere: pressioni internazionali e delle criminalità organizzate emergenti, mafia, camorra, ‘ndrangheta.

L’uscita e il valore del libro di Luciano Floridi sembrano lontani da quel momento storico ma non se si torna a ragionare in termini di trasformazione di “società” tecnologica in “civiltà” tecnologica si vedrà l’assoluta necessità di rafforzare l’intuizione rappresentata dalle “incursioni nel futuro” tentate, mesi addietro, a Ivrea dal giovane Casaleggio. Senza convegni e ancora convegni e libri e ancora libri dibattiti liti anche furibonde non passeremo a nessuna necessaria consapevole “civiltà delle macchine”.

Oreste Grani/Leo Rugens