La guerra tra la gente si è trasferita a Barcellona

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Che non si chiudano i nostri ombrelli!!!!! Mi dispiace scrivere così, ma così è.

Si aprono i varchi, si modificano le rotte, si chiudono gli ombrelli: anche in Spagna, la guerra tra la gente, fa vittime. Almeno tredici e decine di feriti gravi. Attenti agli ombrelli italiani (ENI, Vaticano, Criminalità) che, se si dovessero chiudere (anche uno solo), ci lascerebbero sotto la grandine. Altro che efficienza. Parliamo, ad oggi, infatti, solo di ombrellai o poco più. Ma gli ombrellai non riusciranno a fermare l’invasione che non è quella dei poveri disgraziati che esistono in abbondanza ma quella delle “truppe scelte” che si infiltrano e che al momento opportuno determineranno non atti di semplice terrorismo ma, come ho scritto altre volte, veri momenti di insorgenza nelle città. E a quel punto (tardi) si vedrà la differenza tra terrorismo e insorgenza. A tal proposito vorrei che la smettessimo di inseguire solo terroristi in fuga dopo l’attacco e provassimo a prevenire nel contrasto, anticipando le mosse del nemico. Che la tragedia di Barcellona non ci lasci indifferenti quasi fosse uno scampato pericolo dal momento che non è successo a Genova, a Napoli, o a Livorno.

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Tenete conto che quello su cui gli attaccanti fidano è un continuo effetto sorpresa cosa che, in chiave militare, va considerato un vantaggio senza eguali. L’agenda degli atti terroristici la dettano loro così come saranno loro, quando si sentiranno pronti, a scandire i primi episodi di insorgenza. L’insorgenza prevede scontri a fuoco con le forze armate governative, sia pur a livelli non elevati, di breve durata e, comunque, improntati sempre, come ho detto, sull’elemento sorpresa. Rispetto all’agitazione sovversiva e al terrorismo, l’insorgenza richiede maggiore impegno e disponibilità in termini di capacità organizzativa, articolazione di comandi, pianificazione, addestramento delle risorse umane e qualità dei materiali da usare in azione. La fase attuale in Europa è difficilissima in quanto, tra l’altro, a differenza dello stadio dell’insorgenza, quello del terrorismo non comporta controllo del territorio da parte dei nostri nemici. Va ricordato a chi di dovere che il terrorismo quale strumento può inserirsi (e così avviene sempre) nello stadio dell’insorgenza. Difficile quanto si è dentro alle varie fasi distinguere e capire gli indizi della transizione ad altra fase. Nell’analisi dell’insorgenza diversi studiosi tendono a considerare almeno tre fasi:

  • la fase organizzativa, una sorta di pre-insorgenza, in parte assimilabile all’agitazione sovversiva e al terrorismo;    
  • la fase guerriglia, che fondamentalmente la riconosci quando è ormai troppo tardi perché coincide con un’insorgenza “in corso”;
  • la fase guerra di movimento, assimilabile alla guerra civile.

Per guerra civile, si deve intendere un conflitto combattuto all’interno di uno Stato la cui popolazione si scinde in due o più fazioni contrapposte che si contendono il futuro politico, religioso, culturale di quel territorio.

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Siamo lontani da questa fase ma non dobbiamo perdere di vista la massa critica su cui gli attaccanti lavorano incessantemente anche grazie al fattore demografico e ai macro errori di politica economica e sociale che abbiamo saputo mettere in atto nei territori di provenienza di questo conflitto ideologico e religioso.  Se si vuole dare un contributo alla lotta che ci deve riguardare tutti, in modo diffuso e partecipato, sapendo valutare l’impiego di mezzi idonei al contrasto di questo attacco articolato e culturalmente intelligente, è indispensabile inquadrare gli atti terroristici nello specifico contesto (specifico ed ampissimo al tempo stesso) di conflittualità non convenzionale in cui entrano ed escono, senza una apparente legge prevedibile, gli atti che caratterizzano il terrorismo-stadio dal terrorismo-strumento di altra fase. Se non capiamo, con largo anticipo, quando e come passeremo all’altra fase (l’insorgenza nelle nostre città) siamo destinati a soccombere. Analizzare la dualità stadio/strumento (così finalmente si capirà perché insisto da anni sulla necessità di fare formazione basata sulla capacità di superare le dicotomie e di sapersi muovere intellettualmente nel labirinto dei territori concettuali senza confine apparente) è essenziale per determinare ed affrontare situazioni diverse tra loro, ma il cui comune denominatore rimane il terrorismo. E quindi la paura. Perché di “paura e coraggio” (altra dicotomia su cui sarebbe necessario addestrarsi) si tratta, quando si è in guerra. E noi, amici cari, siamo in guerra.

Oreste Grani /Leo Rugens