Regeni,compatriota intelligente si stava istruendo alle tecniche della scoperta. Questo si può dire?
È ora di alzare la qualità del ragionamento su cosa si intenda per intelligence culturale e in particolare strategie dell’indagine.
È ora di non fargliela passare liscia ai banalizzatori della figura di Giulio Regeni, che lo facciano perché sono dei malfattori disinformatori o dei semplici incompetenti in una materia che più sofisticata non non potrebbe essere.
Me ne vado a Berkley dove venne formato scolasticamente Lincoln Steffens, giornalista e attivista politico statunitense noto per essere stato uno dei più importanti rappresentanti del cosiddetto giornalismo muckraker (giornalismo investigativo o di inchiesta). Meditando sull’educazione da lui ricevuta, nella sua “Autobiografia”, Steffens osserva che il sistema scolastico prestava troppa importanza all’apprendimento di ciò che era già noto, e troppo poco a trovare ciò che noto non era. Quello che chiamiamo estrarre dalla realtà ciò che c’è ma non si vede.
Ma come si istruisce uno studente alle tecniche della scoperta? Come si prepara un investigatore? Anche in questo caso (come sempre deve essere) si possono avanzare alcune ipotesi. Vi sono molte vie per giungere all’arte della ricerca. Una di queste consiste nello studio attento delle regole formali della ricerca nel campo della logica, della statistica, della matematica e via così. Per chi abbia deciso di fare della ricerca il suo modo di vita, particolarmente nelle scienze, non v’è dubbio che questo tipo di studio sia essenziale. Eppure chiunque abbia insegnato nei giardini d’infanzia o nelle scuole di base, o abbia seguito studenti universitari nella preparazione delle loro tesi – Steffens per ragionare scelse due periodi estremi, perché entrambi sono di intensa ricerca – sa che una comprensione dell’aspetto formale della ricerca non è sufficiente. Piuttosto, molte attività e molti atteggiamenti, alcuni direttamente connessi ad un particolare soggetto ed altri di natura assolutamente generale, sembrano accompagnarsi alla ricerca e all’indagine. Essi sono in qualche modo collegati al processo attraverso il quale si cerca di scoprire qualcosa e, sebbene la loro presenza non dia alcuna garanzia che il “prodotto” del processo sarà una grande scoperta, possiamo affermare che la loro assenza, viceversa, porta alla precarietà, all’aridità, alla confusione. Com’è difficile descrivere le strategie dell’indagine! Vi è inoltre tutta una serie di atteggiamenti e metodi che riguardano la sensibilità per l’importanza delle variabili, sensibilità che evita all’individuo di smarrirsi nella molteplicità degli effetti secondari e periferici, portando invece ad individuare le cause essenziali della variazione. L’atto da investigare lo possiamo, infatti, considerare “una variazione”. Questa dote in particolare proviene da una familiarità di ordine intuitivo con un gruppo di fenomeni, da un istintivo “conoscere la materia”. Ma proviene anche da un dato discernimento, che ci mette sulle “piste”, che ci svela quali cose siano nel giusto ordine di grandezza, di prospettiva, di precisione.
Per essere un buon investigatore ci vuole certamente – come Carmelo Lavorino elenca:
- conoscenza approfondita delle discipline della criminalistica, criminologia e investigazione
- onestà intellettuale
- gusto della ricerca e dell’aggiornamento
- tenacia nella ricerca e nell’analisi
- equilibrio e freddezza nell’analisi e nelle scelte operative e decisionali a breve, medio e lungo termine
- umiltà e capacità di tornare sui propri passi
- grande senso di autocritica
- intelligenza
- intuito
- fiuto
- capacità di osservazione
- logica
- fantasia e immaginazione
- creatività
- esperienza
- competenza
- coraggio
- curiosità
- indipendenza professionale.
Il profilo deve essere, però, rintracciato in considerazione di una premessa al nostro discorso: chi lavora per l’Intelligence fa dell’intelligenza una professione al servizio del bene comune. Dunque, l’intelligenza – qualità che Lavorino cita tra le altre – è il criterio principale, che comprende anche molte delle altre erroneamente considerate distinte. Un’intelligenza completa, infatti, comprende tutte le sette dimensioni di Gardner: linguistica, spaziale, musicale, cinestesica, personale, naturale, esistenziale.
Sarà, dunque, logica (e translogica), intuitiva e creativa al tempo stesso, empatica, in equilibrio tra la riflessione introiettiva e l’estroversione socializzante. Ma, alle qualità intellettuali-psicologiche-sociali vanno aggiunte quelle morali e culturali. Per fare Intelligence in futuro occorrerà essere motivati da finalità civili universali, ispirate al bene della collettività e alla difesa dei diritti umani e del governo democratico, con un forte senso etico e una coscienza vigile, come ebbi a scrivere nel testo “Ubiquità, ovvero la dimensione necessaria di un’Intelligence culturale” ideato e redatto, nel 2005, a quattro mani, con Emanuela Bambara, di cui avete già letto altre volte in questo blog. Tutto questo comunque ancora non basta. Ci vuole tanta esercitazione alla soluzione dei problemi. Tanta, e per tanto tempo. Se devo sintetizzare, direi anni. Grazie al continuo sforzo della scoperta investigativa si passa ad apprendere l’euristica, cioè l’arte e la tecnica dello scoprire. Più una persona si è esercitata in tal senso (anni,ribadisco), più è in grado di generalizzare ciò che ha appreso traducendolo in un proprio “imprevedibile”, “vincente” stile di analisi investigativa. Human intelligence alcuni amano (semplificandolo) chiamare questo ramo dell’Intelligence, in quanto è disciplina che consiste nell’acquisizione di notizie tramite relazioni umane. Cioè ad essere un analista di intelligence culturale, aggiungo io. Come spero che diventino, quanto prima (sempre anni ci vogliono!), molti giovani donne e uomini italiani. Anche nel nome di Giulio Regeni che se fosse stato un analista di humint in missione addestrativa, anche inconsapevolmente al servizio di sua Maestà britannica, non solo nessuno se ne dovrebbe vergognare, ma, certamente, questo suo status professionale non sarebbe in nessun senso una attenuante per la condotta violenta e nemica che i servizi segreti egiziani (quale dei tre?) hanno certamente tenuto nei suoi confronti in quanto italiano e alleato. È qui la gravità della vicenda, oltre all’infinita solitudine in cui si è trovato, in quei giorni, il nostro compatriota. Tradito da troppi. Ed è questo il groviglio bituminoso che dal 4 settembre in poi si dovrà provare a risolvere.
Oreste Grani/Leo Rugens