Qualcuno ha lasciato bruciare le opere di un gigante del pensiero complesso: Bernardino Telesio da Cosenza

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Bernardino Telesio

Un Paese che lascia bruciare il De Rerum Natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio, opera conservata in “originale”, in un “appartamento” di Cosenza, non è un Paese degno di esistere. Per questo modo di trascurare il nostro patrimonio, tra l’altro, siamo senza sovranità e ormai sputtanati in tutto il mondo. L’incendio, dicono in molti e tutti attendibili, è stata una tragedia annunciata. Oltre a morire tre persone fortemente disturbate mentalmente è andato in fumo un patrimonio in opere prime del pensatore rinascimentale. Pensatore stimato da gente seria tipo l’altro calabrese Tommaso Campanella, nato a Stilo e autore, tra l’altro, della Città del Sole (!), Giordano Bruno, figuretta minore del pensiero complesso, Cartesio di cui ancora ci si sforza di capire la portata del pensiero e, ultimo ma non ultimo, Francesco Bacone, uno che di utopie ne masticava a sufficienza. Stiamo parlando delle opere andate in fumo di uno studiato da veri pilastri del pensiero rinascimentale. Gente a cui ancora si deve molto di ciò che di intelligente  si ragiona oggi per capire la Natura e, dico io, la bioemulazione che nella contemporaneità, sostiene la ricerca scientifica, figlia di quei pensieri solo apparentemente lontani e certamente “meridionali”. Bernardino Telesio è stato un gigante ma, evidentemente, a chi governa Cosenza, la Calabria, l’Italia interessa poco o niente.     

Campanella

Tommaso Campanella

Che dobbiamo fare per svolgere una funzione di stimolo in tempi di inutili rumori e di complici silenzi? Quanto ci dobbiamo amareggiare e incazzare per avvenimenti di questa natura? Perché nella Calabria dove ci sono gaglioffi che ancora sperano di fare altri soldi aprendo cantieri funzionali all’inutile Ponte sullo Stretto, non riusciamo a trovale fondi per la cultura e per la cura delle persone bisognose di tutto? Ad esempio, qualcuno mi può mostrare le attività ministeriali svolte, le proposte fatte, i fondi sollecitati a sostegno di questa istituzione benemerita andata in fumo, dalla sottosegretaria alla cultura (sic!), la calabrese Dorina Bianchi? Ma che dico, se neanche sapeva come si scriveva Turing, perché la senatrice dovrebbe aver avuto a cuore le opere di Bernardino Telesio che, oltre a tutto, manco la può votare a una come la Bianchi, per motivi di decesso avvenuto e per antipatia ideologica? Perché le opere di Telesio, è bene ricordarlo, all’indice erano.

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Francis Bacon

In Wikipidia ci sono passi sufficienti per capire di chi abbiamo consentito che fosse danneggiato il lascito. Siamo gentarella senza memoria e senza futuro, degni solo delle prepotenze mafiose. Ma forse di un tale personaggio anche le ‘drine avrebbero avuto maggior rispetto. Cosa che non hanno saputo avere le istituzioni preposte e lautamente sostenute da voi contribuenti.  

G. Bruno

Giordano Bruno

Telesio per primo avanza l’idea che la conoscenza della natura debba basarsi sullo studio di principi naturali (iuxta propria principia) abbandonando ogni considerazione metafisica ma allo stesso tempo, come anche nelle dottrine di Tommaso Campanella e Giordano Bruno, rimanendo all’interno di una totalizzante visione filosofica della natura ricercandone i principi primi e riprendendo quella concezione ilozoista, panteistica e vitalistica dei presocratici e di Platone che sopravviveva nei circoli neoplatonici rinascimentali e nelle credenze magiche del tempo.

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La filosofia di Telesio si sviluppa dalla critica dei fondamenti della fisica aristotelica basata su un metodo dove principi universali astratti, come sostanza, forma, materia, pretendono di spiegare fatti concreti che rimandano piuttosto ad un intervento dei sensi che li percepiscono. In più, osserva Telesio, Aristotele introduce spiegazioni metafisiche come il “motore immobile” per spiegare fenomeni fisici.

La natura invece va studiata adoperando principi che abbiano la stessa consistenza materiale della natura e che siano da noi appresi tramite i sensi. I principi sono tre:

  • una prima forza agente, il caldo, dilatante, che emana dai corpi ma che non ha di per sé una consistenza corporea anche se può inserirsi nei corpi più compatti, che permette il movimento;
  • una seconda forza, il freddo, condensante, anch’essa di per sé priva di consistenza corporea, che rende tutto immobile;
  • un sostrato corporeo, la materia, che permette a quelle forze di esplicarsi realmente dando così ragione del mutamento delle cose.

Contrariamente ad Aristotele che sosteneva che “quidquid movetur ab alio movetur”, che cioè ogni cosa in movimento è mossa da un altro corpo in movimento, Telesio ritiene che il movimento sia un principio inerente al calore per cui in natura si muove tutto ciò che è caldo. Non esiste dunque un motore immobile poiché ogni corpo naturale è in grado di muovere se stesso.

Un’altra caratteristica del calore e del freddo è la sensibilità che appartiene ad entrambi in quanto questi due principi avvertono la presenza l’uno dell’altro e quindi si contrastano tra loro e cercano di reciprocamente evitarsi. Il calore è sensibilità e quindi vita: ogni corpo che possegga una minima quantità di calore è animato.

A differenza dei corpi inorganici, in quelli organici è presente un’anima, chiamata da Telesio spiritus, concepita come una materia sottilissima che riempie di sé ogni parte dei corpi viventi e che è destinata a morire assieme al corpo.

« [Lo spiritus] è la stessa sostanza che nell’uomo sente e ragiona; la sostanza che ragiona non è affatto diversa da quella che sente.»

Altrettanto materiale è l’intelligenza che appartiene nella sua corporeità non solo all’uomo ma a tutti gli esseri viventi: essa non è altro che il deposito nella memoria delle percezioni immediate avute in passato. È in base a questi ricordi sbiaditi delle percezioni passate che siamo in grado di riconoscere un corpo anche in assenza di sensazioni attuali.

Contrariamente ad Aristotele che riteneva sommo bene dell’uomo l’esercizio della ragione, Telesio pensa che l’animale uomo consideri bene supremo la sua stessa conservazione fisica. L’etica quindi consiste nel giudicare bene tutto ciò che favorisce la propria conservazione, male tutto quello che la ostacola. Il bene sarà quindi riscontrabile nel piacere, il male nel dolore.

Bisognerà che il saggio, in assonanza con quanto sosteneva la scuola stoica, sappia ricercare non i piaceri immediati e rifuggire i mali presenti ma conseguire, adoperando il ricordo delle esperienze passate, la virtù che è l’uso di tutto ciò che favorisce la conservazione dello spirito. Su questo principio si fonda la convivenza sociale e la regola per la quale l’esercizio del vizio o della virtù è automaticamente regolato dagli effetti naturali che premiano o puniscono i comportamenti virtuosi o malvagi.

La visione totalizzante di Telesio riguarda la “natura”, non tutta la realtà nel suo insieme: perciò egli non esclude la presenza di un Dio trascendente creatore di un cosmo che non è regolato dal caso ma da leggi ordinatrici e l’esistenza nell’uomo di un’anima immortale (anima superaddita) che spiega i suoi atteggiamenti religiosi basati sulla ricerca di valori eterni e non naturali e dal bisogno umano di sperare in una giustizia divina ultraterrena.

«[L’anima] sostanza altra dallo spirito seminale, veramente divina e infusa da Dio stesso.»

Gli interpreti della filosofia telesiana hanno rilevato come questi elementi extranaturali siano in contrasto con l’insieme della sua dottrina naturalista e materialista supponendo che Telesio abbia voluto così sfuggire a pericolosi scontri con l’autorità della ChiesaQuesta ultima interpretazione sembra oggi giustificata per il ritrovamento di una lettera del 28 aprile 1570 che Telesio inviò al cardinale Flavio Orsini dove egli scrive di “altre propositioni contra la religione” che sarebbero contenute nella prima stampa del De rerum natura (1565).

« Il confronto tra le versioni manoscritte e i testi stampati e tra i testi pubblicati nel passaggio da un’edizione all’altra fa emergere aspetti a volte sconcertanti. Un esempio. De rerum natura iuxta propria principia del 1586. Libro V, capitolo 40. Telesio ha già abbondantemente spiegato che nell’uomo è presente non soltanto un’anima corporea, tratta dal seme, cioè lo spiritus, ma anche un’anima creata e infusa da Dio che diventa forma dello spiritus e del corpo. Nel capitolo 40, Telesio sostiene che quella che chiamiamo razionalità non può essere attribuita a una sostanza del tutto incorporea e che non inerisce a nessun corpo. E chiude con la seguente frase: “Nessuna argomentazione dei peripatetici vieta di concepire come corporea l’anima che deriva dal seme”. Il punto qui è: che cosa significa di preciso questa frase? Se non come corporea, in quale altro modo potrebbe essere concepita una sostanza che deriva dal seme? Se ci si prende la briga di andare a vedere che cosa scrive nel passo corrispondente rimasto manoscritto, il mistero svanisce e capiamo con grande chiarezza il clima di pressioni che ha avvolto la stesura del De rerum natura. Il passo corrispondente recita: “Nessuna argomentazione dei peripatetici vieta di concepire come corporea ogni anima”.»

La più nota delle polemiche a cui la filosofia di Telesio diede inizio fu quella con il filosofo neoplatonico Francesco Patrizzi (1529-1597), il quale osservava che il concetto telesiano di massa corporea o terra in effetti ricadeva nei criticati principi metafisici aristotelici in quanto anche questa non poteva essere comprovata sperimentalmente.

Da queste polemiche si originarono in Italia due scuole: quella settentrionale ferma ai principi aristotelici e quella meridionale naturalista, orientata al pensiero telesiano.

La filosofia di Telesio influenzò il pensiero di Campanella e lo stesso Bacone riconobbe come avesse appreso dal De rerum natura iuxta propria principia il principio che non bastava conoscere i fenomeni naturali ma che questi potessero essere dominati tramite l’esperienza.

Anche la gnoseologia e l’etica di Hobbes ebbero chiari riferimenti alla filosofia di Telesio che può essere annoverato tra gli iniziatori, se non il capofila, del sensismo, dell’empirismo e dell’utilitarismo.

   

Oreste Grani/Leo Rugens