Da Piero Calamandrei al XII Municipio di Roma Capitale il passo è breve
Premessa: pochi fanno il tifo come questo blog e il sottoscritto perché il M5S vinca in Sicilia. ci piacciono quindi post di questo tono, memori che qualche giorno addietro abbiamo scritto che non si può votare Cinque Stelle a “scatola chiusa”, soprattutto dopo Roma.
Nel dicembre 1947 (ero nato da pochi mesi), la rivista fiorentina “Il Ponte”, diretta da Piero Calamandrei (qualcuno intellettualmente e politicamente), pubblicava una serie di scritti sulla “crisi della resistenza” e sulla restaurazione conservatrice che da quella crisi sarebbe scaturita. Se nel campo politico-istituzionale, osservava Calamandrei, l’abbattimento della monarchia aveva spezzato la continuità con il vecchio Stato, al livello economico e sociale nessuna delle grandi speranze aperte dalla guerra partigiana si era realizzata. La grande borghesia industriale (questo era il linguaggio per definire chi di fatto comandava) e agraria, in stretto connubi con i “nostalgici”, alzava barriere sostanziali contro ogni iniziativa autenticamente riformatrice. Se uno non ha chiaro chi comanda e come comanda, anche oggi è difficile prendere il potere e mettersi a fare meglio o peggio di chi c’era prima. I migliori democratici che si potesse sperare avesse l’Italia post fascista furono messi da parte e la “resistenza” fu tradita.
Questioni solo apparentemente lontane dall’oggi ma temo, per quanto riguarda occasioni che potrebbero essere mancate, molto attuali. La sconfitta/dispersione sostanziale dell’effetto benefico del vento di rinnovamento portato finalmente dal M5S nella stagnazione putrescente partitocratica, potrebbe, con le dovute proporzioni storiche, rivelare un’incapacità dei politici pentastellati di porsi su un terreno di effettivo governo dello Stato. Questa affermazione non-non-non ha implicita nessuna sfumatura di supporto alla conservazione dell’oligarchia di mascalzoni che usurpa attualmente la democrazia e il governo della Nazione ma vuole solo ricordare che anche persone come gli azionisti, furono alla fine vanificate nelle loro capacità politiche e culturali. Personaggi che direi di assoluto valore rispetto ad alcuni che oggi rappresentano l’ossatura elaborativa intellettuale del MoVimento. Non sono considerazioni offensive per nessuno ma non dobbiamo neanche nasconderci la dimensione del gap di cui siamo costretti a prendere atto. Non basta avere un interesse profondo alla costruzione dello Stato di domani per riuscite ad instaurarlo e, a cose accadute, proteggerlo nelle sue forme quotidiane. Mi chiedo come si possa, in assenza di confronto sulla prospettiva storica nel MoVimento su quanto ci si può aspettare dalla eventuale vittoria e soprattutto, vedi Roma, sul dopo, elevato all’ennesima potenza, come si possa andare avanti fiduciosi. Senza una correlazione chiara, dichiarata, discussa democraticamente tra gli istituti creati durante la lunga marcia di avvicinamento alla presa del potere (che nessuno inorridisca dell’espressione che ha un significato prettamente realistico e politico) da parte del MoVimento e l’assetto politico del nuovo Stato repubblicano, la confusione potrebbe essere grande e foriera di processi restaurativi e sin anche reazionari. Il clima che già si respira in non pochi strati del vecchio MoVimento (non badate ai numeri relativi che danno il M5S in percentuale tra il primo e il secondo posto rispetto al blocco berlusconiano) segnalano un clima da “rivoluzione culturale politica mancata se non tradita”. Ed è così in giro per tutta l’Italia e chi lo nega, o è uno sprovveduto di flussi e di numeri assoluti (alcuni milioni di persone che sono andate a votare Cinque Stelle non voteranno proprio!), o, peggio, un burocratino cretino (potrebbero già esserci), in mala fede. L’azione “rivoluzionaria” (così poteva essere interpretata) messa in atto nei dieci anni trascorsi a seguire dal Vaffa Day, potrebbe rivelarsi solo l’inizio di un percorso (tutto da inventare), che si potrebbe dimostrare molto-molto-molto più complesso, in fin dei conti, di questa marcia di avvicinamento al potere. Qualunque movimento storico (qualunque e quindi anche il M5S) deve avere una sua direzione fatta di donne e uomini che elaborano ed interpretavano una visione del futuro. Le questioni poste ad Ivrea sono troppo poca cosa per appoggiarvi la rivoluzione culturale che viene promessa nei momenti elettorali. Un po’ meglio i programmi proposti sulla piattaforma telematica ma mancano sia il dibattito e la passione, dal vivo, intorno alle tesi. Si ha sentore di scazzi, ma di bassa qualità. O su cose che potrebbero suonare gravi (la questione delle plurime dimissioni nel XII Municipio a Roma, ad esempio) se si avesse tempo per approfondirle, visti gli atipici protagonisti di quella storia, per chi sa qualcosa delle vicende complesse e riservate del nostro Paese. Anzi, se ci si dovesse basare su scazzi e storie come quelle del Municipio Romano, la preoccupazione aumenterebbe.
Vediamo a Rimini, tra pochi giorni. Se la proposta si dovesse dimostrare inadeguata alla candidatura (“noi guideremo il Paese nell’era della guerra tra la gente”, qualcuno, senza sapere cosa stia dicendo si prepara ad affermarlo), la Repubblica sarebbe in pericolo. Ma chi sono io per scrivere di queste cose serie e drammatiche con questi toni riduttivi e cacadubbiosi?
Soprattutto, chi sono io per interessarmi del XII Municipio di Roma?
Oreste Grani/Leo Rugens