La vista organo necessario all’intelligenza dello Stato

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Sotto gli occhi sono in qualche modo compresi tutti gli altri sensi; e, nell’uso del linguaggio umano, spesso sentire e vedere sono la stessa cosa.

Il film che ieri ha vinto a Venezia si dice (ovviamente, sia pur ubiquo, non ero al Festival) affermi che l’amore è sguardo. Ed io, che di cinema capisco poco, per un mio bisogno personale, mi lancio in un post audace dedicato, non alla pellicola “The Shape of Water”, ma a quel “viaggio verso la coscienza” che mi sembra, dalle parole mutuate dalle mille interviste fatte agli specialisti, essa voglia rappresentare. Storia dedicata, con sensibilità fantascientifica, all’amore e alla accettazione/attrazione tra diversi quella di Guglielmo Del Toro. I protagonisti hanno, dei vari sensi che ad oggi conosciamo, sostanzialmente che li unisce, soltanto la vista, sperando di non sbagliarmi. Ma se hanno entrambi la vista sono appartenenti certamente alla stessa comunità e sono sostenuti dalla stessa sensibilità ed origine. Perché, in realtà, è di vista e di capacità di vedere che avevo voglia di scrivere quattro stupidaggini. Di vista e del fatto che sotto gli occhi in qualche modo – come ho scritto in esordio – sono compresi tutti gli altri sensi. Che gli scienziati inorridiscano! Un blog esiste anche per consentire ad uno come me di dire fesserie. Tenete conto che per motivi che alla fine si potrebbero anche capire, io non racconto mai di cosa ancora, vecchio e stanco, in realtà, mi interesso. Oggi ispirato da questo film, faccio eccezione. In questi mesi ultimi, ad esempio, mi industrio su come sia possibile dare sostegno a persone straordinariamente intelligenti che vogliono arrivare a dotare tecnologia sottomarina (robot) di occhi, lingua, naso, orecchi artificiali per poter esplorare, senza rischio umano, quei fondali marini che ad oggi conosciamo per una porzione irrisoria. Noi tutti (così pare) iniziamo il nostro viaggio verso la coscienza come un uovo fecondato. Come è notorio, alla nascita, il cervello di un essere umano ha più cellule nervose di quanto ne avrà mai in futuro. Nel giro di pochi anni (quattro, cinque, sei?) l’essere, con il suo cervello, percepirà il mondo, sarà padrone del linguaggio e soprattutto sarà consapevole del passato, del futuro e di se stesso nel presente. Le cellule che daranno luogo al cervello dicono che facciano la loro comparsa circa diciannove/venti  giorni dopo il concepimento e cominciano a moltiplicarsi rapidamente.

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I neuroni si collegano alle vie nervose, e queste con altre vie, formando reti di stupefacente complessità. Gli organi di senso – gli occhi, le orecchie e la moltitudine di altri recettori presenti in tutto il corpo piccolo ma in crescita straordinaria – spingono le loro lunghe fibre, gli assoni, fin dentro il sistema nervoso centrale. Con questo modo di procedere intelligente, la natura mi suggerisce di emularla quando mi diletto ad immaginare sistemi organizzativi di intelligenza dello Stato. Ma questo – come è ovvio – non è il momento di tali altri ragionamenti. Nelle vie sensoriali interne al cervello, lo sviluppo procede a cascata, dall’esterno verso l’interno o centro che dir si voglia. Anche in questo, la bioemulazione mi suggerisce su cosa e come l’Intelligence si debba organizzare (dall’esterno verso l’interno) se vuole essere viva e reattiva al cambiamento permanente a cui viene sottoposta dai fenomeni geopolitici, prevalentemente esterni, appunto. Le fibre sensoriali, sviluppandosi, verso il centro, fanno capo a nuclei di neuroni intercalati lungo il percorso che conduce alla corteccia celebrale. Ovunque arrivino gli assoni, stimolano nella struttura che li accoglie (la metafora e le analogie continuano) una fase di crescita e sviluppo. E qui altro mi sovviene, sempre partendo a cerchi concentrici o grazie al metodo del sasso nello stagno. Una delle più sorprendenti scoperte degli ultimi 40/50 anni è che, molto prima che il bambino venga alla luce, la morte svolge, su larga scala, un ruolo cruciale nello sviluppo del cervello. Alcune settimane prima della nascita (attenti quindi cosa sto dicendo), il nervo ottico che si diparte dall’occhio di un bambino (un tempo avremmo dovuto dire di una scimmia per motivi di limiti nella sperimentazione) contiene milioni di fibre di un numero doppio almeno di quelle che ne avrà l’uomo adulto.

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Via via che queste fibre penetrano nel cervello (spero così di dare ad alcuni amici a cui tengo, primi fra tutti Alberto M., Marco M., Stefania L., Miriam D., Angelo Z., Angelo T., Giuseppe S., Daniele F., Gianfranco M., Pantaleo D., Gianfranco M., Matteo M., Roberto S., Giorgio C., Maurizio M., Fabrizio M., Paolo B., Paolo D., Giuseppe M. Massimo G. ,Massimiliano G., Alessandro C.,  Alessandro N. con cui, per motivi diversi, oggi sono in contatto, uno spunto ulteriore di riflessione su cosa si intenda per Intelligenza dello Stato a cui miro) dirigendosi verso i loro obiettivi, alla ricerca di cellule con le giuste caratteristiche con cui connettersi, la morte spazza la retina eliminando il vasto eccesso di cellule nervose e i loro assoni ormai superflui. In questo caso, dice chi ne sa più di me e a cui mi ispiro per lavorare alla metafora utile a varare una riforma paradigmatica culturale delle strutture/organi destinati alla messa in sicurezza e salvaguardia della Repubblica, il controllo della signora morte cellulare che agisce con sublime sensibilità ed abilità morale,  è certamente influenzato da un battaglia per la conquista dello spazio, che evidentemente si svolge nel cervello fra gruppi di fibre che si dipartono dai due occhi. Anni addietro scienziati dell’autorevole Istituto di anatomia di Losanna scoprirono che molte cellule della corteccia celebrale hanno la capacità di inviare assoni verso bersagli inconsueti (e questo metaforicamente mi fa impazzire e mi suggerisce tutta la metodologia, che spaccio per mia, dell’Intelligence culturale dove, ad esempio, un indice di un libro è lui stesso la strategia di lancio/invio/penetrazione, ma che successivamente, a un determinato stadio di sviluppo, vengono ritirati questi collegamenti neurali e al loro posto ne vengono stabiliti di nuovi senza che le cellule questa volta debbano morire.

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Tutto questo movimento di cellule e assoni è ben lungi dall’essere uno spreco, come potrebbe sembrare ad un approccio ragionieristico e specialistico dell’Intelligence. È invece un abile e semplicissimo “trucco” che la natura ha escogitato per perfezionare la complessa connettività del cervello, modellando la perfetta macchina neurale a partire da una sovrabbondanza (il mio quasi tutti a servizio del tessuto connettivo repubblicano) di cellule e e da un apparente eccesso di interconnessioni. Per tornare al film che tutti quelli che lo hanno visto dicono molto bello, certo che uno sguardo può essere tutto basta che, come nella vista umana, non sia solo velleità magica per afferrare, spogliare, pietrificare, penetrare. Quanti nati, se lo sguardo potesse fecondare. Quanti morti se potesse uccidere. Le strade sarebbero piene di cadaveri e di donne incinte. Estrarre dalla realtà ciò che c’è ma non si vede, è l’abilità che ancora una volta richiama la vista come organo primario. I protagonisti del film si amano grazie alla vista. La guerra che ci stanno portando i fanatici e gli oligarchi despoti che guidano parte dell’Occidente, sostanzialmente e paradossalmente tra loro alleati, per essere vinta, richiede l’attivazione di tutti gli organi sensoriali per informare con completezza e in modo non ingannevole la politica, come gli occhi – da soli – potrebbero tendere a fare. Siamo solo all’inizio di questo ragionamento tra noi, ma da qualche parte dovevo cominciare. E ho scelto un film che certamente è bello come tutti dicono che sia.

Oreste Grani/Leo Rugens