Non va bene che l’Arma sia turbata da episodi che non le fanno onore, falsi, autentici o pompati che siano

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Per non rischiarmela troppo (sono diventato vecchio e mi vorrei godere la vecchiaia che è la stagione più bella della vita) invece di parlare dell’oggi vi porto indietro nel tempo e vi trattengo a riflettere su cosa si è riusciti a far accadere nel vostro Paese solo alcuni anni addietro. Non dico che oggi altrettanto possano accadere cose tanto gravi e misteriose, ma dico solo che sono accadute. Sono cose che riguardavano certamente gli avvenimenti politici complessi in essere ma sicuramente anche la lotta per chi dovesse divenire il Comandante in capo dell’Arma dei Carabinieri. E a proposito di questo tipo di guerra senza esclusione di colpi, vi riporto a quando a legnarsi ai vertici della Benemerita, erano, da una parte il gen. Enrico Mino, dall’altra il suo capo di Stato maggiore gen. Arnaldo Ferrara. Mino, per semplificare al massimo e contestualizzare la lotta furibonda, in piena insorgenza del fenomeno terroristico era propenso a non estendere soverchiamente il settore d’intervento dell’Arma e Ferrara, viceversa, avrebbe voluto far svolgere ai carabinieri una funzione di punta anche nei settori spettanti al SID.

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È nell’ambito di questa divergenza di opinioni (cosa non da poco a cui si aggiungevano ambizioni e disistime personali) che viene costituito un primo nucleo speciale antiterrorismo che sotto la guida di Dalla Chiesa opera sin al periodo del rapimento del giudice Sossi (maggio 1974) con i primi significativi successi (arresto di Curcio Franceschini, Ognibene e la morte di Mara Cagol, moglie di Renato Curcio), nel biennio 1974-1975. Dalla Chiesa propose di rafforzare questo suo primo nucleo che mostrava abilità e metodologia che oggi chiameremmo di intelligence culturale (i giovani carabinieri sottufficiali che venivano selezionati erano tutti particolarmente duttili intellettualmente e capaci di infiltrarsi ed investigare in ambienti ad alto tasso di scolarità) in un centro nazionale unificato, con grande autonomia amministrativa e finanziaria. Il Comando generale modificò la proposta con la creazione di tre (i soliti tre!) nuclei nell’àmbito delle tre (le solite tre!) divisioni dell’Arma (Palestro al Nord, Podgora al Centro, Ogaden al Sud), sottraendo così di fatto a Dalla Chiesa la direzione coordinata (e quindi con una visione di insieme assolutamente necessaria ad una lotta tanto articolata e sofisticata culturalmente) delle operazioni. Centralizzazione che gli verrà data a ormai “babbo/Moro morto”. 

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Da una parte quindi l’Arma è spettatrice della crescita esponenziale del fenomeno della lotta armata in quanto le tensioni della gioventù coinvolta nel movimento del ’77 portano a nuovi arruolamenti di gente che vuole prendere le armi, dall’altra (e questa è l’oggetto del post), i carabinieri si trovano coinvolti in una fase connotata tragicamente da tensioni che vedono sullo sfondo il problema del vertice da designare poiché per effetto dei millesimi anagrafici Mino doveva lasciare il comando nella primavera del ’78 e Ferrara dopo poco, cioè nell’estate dello stesso anno. Si avvia allora una catena di drammatici eventi che sarebbe opportuno ricordare che non sono accaduti nella terra del “non so come si chiama” ma nella vostra Italia. Mino nei primi giorni dell’agosto 1977 presenta le dimissioni che vengono respinte e esce rafforzato da questo gesto. Mentre si presume si stesse dedicando alla scelta di un successore, uno dei possibili candidati il generale di Corpo d’Armata Antonino Anzà, muore inaspettatamente, il 12 agosto.  La versione ufficiale è suicidio. Da varie parti si mette in dubbio la ricostruzione e il compito di fare luce viene dato al col. Antonio Varisco (sarà ucciso sul Lungotevere dalle B.R. tempo dopo), potentissimo carabiniere della polizia giudiziaria. Insieme a Varisco, in casa del suicida Anzà, arriva il gen. Jucci del SID. Non si fa a tempo a cominciare a capire qualcosa che a Ferragosto scappa dall’Ospedale militare Celio il criminale nazista Kappler (quello delle Fosse Ardeatine e fucilatore – tra gli altri – di Manfredi Talamo e Umberto Grani), sfuggendo alla sorveglianza proprio di militi del’Arma.  Mino trasferisce (e quindi punisce) il comandante della brigata, della legione di Roma e tutti gli ufficiali responsabili per catena di comando del gravissimo avvenimento. Il gen. Ferrara, viceversa, prende le difese dei carabinieri puniti. Non male come lacerazione. Per Mino sono giorni di fuoco e non solo per la canicola estiva. Prima della morte sospetta di Anzà c’è stato il suicidio del col. Giansante, comandante dei carabinieri di Messina, assai legato al generale morto come detto il 12 agosto. Pochi giorni dopo (che filotto incredibile!) viene assassinato il col. Russo a Palermo. Mino per superare questa sequenza nerissima si butta, come tutti ricordano, in un attivismo che vien stroncato il 1° novembre del1977, a seguito di una oscura sciagura aerea in Calabria, nel corso di una ispezione.

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Nell’elicottero viaggiavano i comandanti dei reparti maggiormente impegnati in Calabria nel contrasto alla criminalità. In pochi mesi il vertice dell’Arma a Roma, in Calabria e in Sicilia è azzerato. In quello stesso mese di novembre Aldo Moro, con una dichiarazione alla stampa, denuncia le sue preoccupazioni su come questa situazione di sbandamento possa creare difficoltà alla lotta al terrorismo. Dico questo perché a tale condizione di scoramento e di possibile ritardo, si deve aggiungere un gravissimo oggettivo condizionamento che è quello dato dalla tentacolare presenza della P2 nei ranghi dell’Arma. Quel gaglioffo di Licio Gelli, in quei momenti che precedono la fine della sovranità repubblicana (questo è la morte di Aldo Moro) si poteva vantare di avere affiliati decine di ufficiali dell’Arma, vera e pericolosa spina dorsale della criminale loggia a cominciare da Giovanni Allavena, successore di De Lorenzo alla guida del SIFAR, passando per Franco Picchiotti, Giovan Battista Palumbo, Igino Missori, Giulio Grassini, Giuseppe Siracusano, Luigi Bittoni, Pietro Musumeci, Antonio Calabrese, Michele Schettino, Giuseppe Montanaro, Antonio Cornacchia.  Enrico Mino non risultò mai nell’elenco degli iscritti alla P2 ma è accertato in sede giudiziaria, con testimonianza dei generali Picchiotti e Palumbo, che appena fu compilato il rapporto sulle fuga di Kappler non si preoccupò di consegnarlo subito alla Magistratura o al governo, ma si precipitò da Gelli per farlo eventualmente correggere.

I due generali citati erano presenti quando arrivò Mino, a “rapporto”, da Gelli. E questo dovettero confessarlo ai magistrati inquirenti confermando che il Comandante dell’Arma tirò fuori dalla borsa l’incartamento “Fuga Kappler”, davanti a loro. Così era ridotta l’Arma.

I magistrati chiesero perché i due generali fossero da Gelli e loro, candidamente, risposero che il materassaio di Pistoia/Frosinone/Arezzo li aveva convocati. Ripeto: così era ridotta l’Arma, pochi mesi prima del rapimento Moro.

La stampa non era da meno, pochi giorni prima del fatidico 16 marzo 1978. Infatti, sarebbe interessante, in emeroteca, rintracciare il nome del giornalista che riaprì la questione di chi fosse l’antilope dell’Affare Lockeed, insinuando che le pseudonimo fosse a copertura di Moro.

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Io, onestamente, non lo ricordo questo nome del pennivendolo ma certamente qualcuno meno stanco e tardo di me potrebbe rintracciarlo questo galantuomo da mangiare per il solo piacere di poterlo vomitare. Perché non mi dite che non sarebbe stato opportuno mangiarsi quei generali e quei giornalisti al solo fine di sputarli dopo averli ruminati opportunamente. Ieri come oggi, siamo di fronte a cose di inaudita pericolosità e nessuno le sa raccontare? Vogliamo aspettare che anni dopo vengano scritti libri che fanno luce su quel momento drammatico? Una volta tanto chi ha l’autorevolezza in quanto scrittore, giornalista, politico, carabiniere, magistrato, parli prima della degenerazione prevedibile.  L’altra sera da Lilli Gruber, l’anziano ma esperto Gianpaolo Pansa ha evocato il pericolo che venga allo scoperto la carsica guerra civile che in Italia non si è mai risolta. Ad alcuni poteva sembrare eccessivo. Non a me.

Oreste Grani/Leo Rugens