Zone d’ombra se non buie: il PCI e le tangenti ENI. Il PCI e la P2. Il PCI/CGIL e il tragico biennio 1977-78

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Un’organismo complesso e burocratizzato come l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) sogno abbia nei suoi archivi segretissimi e chissà dove allocati, i nomi dei destinatari della tangente certamente pagata di 15 miliardi di lire al valore del 1971 quando fu sottoscritto l’accordo per il metano sovietico tra l’Italia e l’URSS. Il 13 giugno 1982, Gianluigi Melega (non certo l’ultimo degli scemi del giornalismo d’inchiesta italiano), sotto il titolo “Scandalo ENI-URSS. Il Miliardo è mio e lo do a chi voglio”, sul settimanale L’Espresso, scrisse: “Su questo argomento, un anno fa il periodico “il Settimanale” aveva cominciato a sollevare i primi sospetti. Accese un riflettore sul metano sovietico: si era proprio sicuri che le tangenti ENI, in questa occasione, non siano finite nelle tasche dei comunisti? La giunta esecutiva dell’ENI (altri tempi ndr) decideva di insediare una commissione d’inchiesta che ha dato risultati sbalorditivi. Diciamo subito che i beneficiari delle tangenti sul metano sovietico (perché di questo in realtà si tratta) non sono stati identificati (e questa è la mia curiosità 46 anni dopo! ndr), neppure in via ipotetica. Ma che ci siano è sicuro. Ed è fuori di ogni ragionevole dubbio che il gruppo Eni, in questa come in altre occasioni analoghe, col denaro pubblico e nonostante le leggi dello Stato, ha fatto cose assolutamente incredibili. Cioè autorizzare a pagare ad un ignoto, in Svizzera, per ragioni ignote, 15 miliardi di lire”.

In realtà il bonifico fu solo di un miliardo di lire.

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Che strana vicenda, che strani numeri, che stranissime proporzioni nel malaffare e nella corruzione: mentre in quel periodo i petrolieri rubavano migliaia di miliardi (ho scritto “migliaia” perché questo si deduce dalle carte processuali), al PCI ne sarebbero destinati solo 15 per un business di grandi proporzioni e delicatezza geopolitica. In realtà, come decenni di storia insegnano, il PCI si accontentava delle porzioni di potere e di prestigio che il sistema politico imperante in Italia (DC ed altri) gli concedeva. Il potentissimo PCI era pago di spiccioli accompagnati però da un’altra moneta di scambio (a più alto valore concentrato) che erano amichevoli/confidenziali incontri con i capi dei nostri servizi segreti. Incontri che i cacciatori delle verità riguardanti gli anni che precedono la tragedia delle BR e della soluzione al “Lodo Moro” con la fucilazione del dirigente democristiano, dovrebbero, sapendolo e potendolo fare, investigare con maggiore attenzione e assenza di pregiudizi. Capisco che una certa miopia è dovuta a stereotipi sull’onestà e sulla questione, a quella data irrisolta, di Yalta. Comunque è certo che tra l’aprile del 1975 e la primavera del 1978 (rapimento e morte di Aldo Moro) Arrigo Boldrini, medaglia d’oro vivente meritata durante la lotta partigiana, esperto per il PCI di questioni militari, incontrava i capi dei servizi segreti italiani (tra gli altri il gen. Gian Adelio Maletti, tessera P2, Roma 499 , a 96 anni ancora oggi latitante in Sudafrica) che poi, come vedremo, non erano certamente degli stinchi di santi, infarciti in modo totale di affiliati alla P2 e organici ai più reazionari disegni. Dico questo perché paradossalmente quando Boldrini volle arrivare a giustificare questi comportamenti ambigui, affermò di averli tenuti per rispondere ad anni di immobilismo culturale dei governi di centro-sinistra nella politica militare. Arrigo Boldrini ed Ugo Pecchioli ritenevano che nelle Forze Armate c’erano già degli elementi di rinnovamento e che fosse urgente sostenerli, isolando i gruppi più reazionari.

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Rimuovevano il dettaglio che loro parlavano, durante sistematici incontri, proprio, paradossalmente, con la parte più reazionaria ed eversiva come il documento che riporto conferma:

  1. “…. situazione politica ed economica dell’Italia;
  2. minaccia del PCI, in accordo con il clericalismo, volta alla conquista del potere;     
  3. carenza di potere delle forze dell’ordine;
  4. mancanza di una classe dirigente e assoluta incapacità del governo nel procedere alle riforme necessarie per lo sviluppo civile e sociale del Paese;
  5. dilagare del malcostume, della sregolatezza e di tutti i più deteriori aspetti della moralità e del civismo;
  6. nostra posizione in caso di ascesa al potere dei clerico-comunisti;
  7. rapporti con lo Stato italiano.”

Se non fosse un verbale ritrovato di una riunione del 5 marzo 1971, potrebbe sembrare un documento artatamente costruito per disinformare. Invece la frequentazione dei “vertici del settore militare del PCI” (Boldrini) avveniva con chi del SID era affiliato alla Loggia (Maletti), ma, in quanto tale, subalterno al Gran Maestro Licio Gelli, collaborazionista con i nazisti, dirigente del fascio del comune di Cattaro, persona informata della fine del tesoro di Stato jugoslavo acquisito dal SIM (Servizio informazioni militari precedessore del SIFAR e del SID) e in quel comune quasi certamente a lungo nascosto. Forse, i comunisti, non prendevano tanti soldi ma a spregiudicatezza e cinismo stavamo come stavamo. Perché che il vertice del PCI sapesse sin da quei tempi chi fosse Licio Gelli, è certo. Negli ultimi anni Settanta (quando esplode la piazza del ’77, la lotta armata e poco dopo viene ucciso Aldo Moro) la potente e “non” segreta Loggia, raccoglieva, come è documentato in modo incontrovertibile, i vertici del potere in Italia. Anche perché – mi è noto personalmente – il PCI aveva un infiltrato nella Loggia P2 (che è ancora vivo) e non poteva non sapere come stessero le cose. Forse più di uno ma certamente un proprio abile agente infiltrato l’aveva. Perché i vertici del PCI avessero interesse a lavorare con questo approccio spregiudicato lo si può capire da una pluralità di fattori/moventi ma certamente perché la P2 (ed è la parte più difficile da investigare) era ramificata anche nel santuario inviolabile dello S.H.A.P.E, il Comando Supremo delle Potenze alleate in Europa a 50 km da Bruxelles. Come vedete ci stiamo avvicinando al terreno di gioco del Grande Gioco per cui in quegli anni (ma anche adesso!) tutto era lecito. In una riunione dedicata al Caso Italia e alla sua lealtà atlantista, tenutasi in ambiente NATO, il 21 maggio 1981, l’accusa fu spietata. Da tener conto comunque che il 17 marzo dello stesso anno, nella villa aretina di Licio Gelli, vengono trovati gli elenchi (parziali) degli affiliati alla Loggia e che il 17 dicembre, sempre del 1981, vien rapito dalle BR a Verona James Lee Dozier, generale americano.

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Alcuni ufficiali del Dipartimento Sicurezza dello S.H.A.P.E ricordarono durante l’inchiesta interna come da almeno tre anni avessero cominciato a sospettare che in Italia operasse una struttura-ombra, gestita operativamente da ambienti militari, ma con forti interessi nei partiti e in gruppi economici, e che praticava una spregiudicata politica di vendita delle armi, soprattutto nei confronti dei Paesi arabi. Come vedete sempre di più stiamo parlando di politica estera e non del Maurizio Costanzo Show. Parliamo di assetti del Pianeta e non delle crisi di identità di Fabrizio Cicchitto. Pur di fare affari, l’inchiesta interna alla NATO, appurò che questa banda di malfattori/doppiogiochisti/spie al soldo di qualunque bandiera, offriva in dono agli acquirenti, come allegati preziosi, documenti top secret della NATO, in piena Guerra Fredda. I sospetti ebbero conferma dal ritrovamento di documenti di notevole importanza strategico-militare intercettati in Iraq (ad esempio!) con i quali l’Italia aveva appena concluso importanti accordi per fornitura di armi. Nella stampigliatura (sono i timbri delle classificazioni che lasciavano  segni indelebili e di impossibile/difficile rimozione) si leggeva chiaramente che i dossier erano passarti attraverso uffici riservati italiani. Leggerezze? Avidità? Cialtronerie? Disinformazione? Il primo rapporto era uno studio sui depositi strategici petroliferi dei comandi Nato in Italia con l’indicazione dei livelli delle scorte e le ipotesi di esaurimento. Pinzillacchere, come potete capire. Il secondo documento classificato riguardava il problema dei missili “Cruise” da installare nella Penisola: le varie località prese in esame, i vantaggi e gli svantaggi delle diverse zone anche in rapporto alla ristrutturazione dell’intera rete radar del Mediterraneo. Ma questi mercanti di morte da chi erano in realtà protetti per arrivare a questi livelli di “tradimento”? Per quale CIA/KGB/MOSSAD/I.S./SDECE lavoravano questi pezzi di merda pronti a tutto? Capite perché detesto le semplificazioni su quegli anni che attribuiscono complotti solo ad alcuni o ad altri e che rimuovono la complessità di giocare ad un gioco che non ha regole e che, anzi, i giocatori più abili le scrivono mentre si gioca? Infine il terzo documento rinvenuto era un progetto sui possibili percorsi standard degli aerei-laboratorio “Awacs” nel centro e nel Sud Europa. Quisquiglie avrebbe detto il principe De Curtis, in arte Totò. Quello che appare più offensivo per la memoria di chi ancora ricorda è che questa banda di malfattori (e ribadisco che questo tra l’altro erano i piduisti), di ricattatori, di mercanti di armi e di droga (non rimuovete il dettaglio) in quegli anni si impadroniscono di interi settori dell’economia della comunicazione, dei media, arruolano killer per mettere a tacere onesti inquirenti o complici riottosi e, come ho detto, cedono documenti riservati di quella Alleanza Atlantica in nome della quale si delegittima il PCI (che come ho ricordato masochisticamente/sadicamente sapeva tutto e si faceva complice sapendo della perversione) mentre in superficie per il popolo dei gaggi si inventano formulette quali “governo della non sfiducia” e “governo delle astensioni” mentre nelle tavole rotonde per altri italiani tonni, si discetta sue originali intuizioni di Proudhon e su gravi errori storici di Lenin e compagni. Pezzi di merda maleodorante al servizio di non si sa chi. Queste quattro cazzate intellettuali (altre tonnellate che non sono degne di nessuna citazione) venivano usate come cortina fumogena mentre un ometto sordido come Licio Gelli quasi capo di un governo-ombra, convocava nel suo appartamento all’Excelsior ministri, segretari di partito, semplici postini come Luigi Zanda, massimi dirigenti di imprese pubbliche, direttori di giornali (sono stato dipendente e operativo, dal 1976 al 1979, alla Direzione centrale del personale Gruppo Rizzoli-Corriere della Sera) per impartire direttive sulla gestione della cosa pubblica, per stabilire tangenti e contributi finanziari ai partiti e a quei dirigenti dei partiti a lui fedeli e funzionali al disegno eversivo. Questo massimamente avviene nel 1976 e nel drammatico 1977, anno che precede la condanna a morte di Aldo Moro (1978) e che vede deflagrare una vera e propria prova generale di guerra civile dove i giovani delle fazioni opposte vengono mandati in campo a massacrarsi. Centinaia di morti che andrebbero tutti, per concorso morale, riportati agli ingenui affiliati alla P2. Altro che “non sapevamo”, quasi fossero stati un circolo di giocatori di bocce. Vedi – CARA LILLI GRUBER, HA RAGIONE GRILLO: LA P2 NON È MORTA E, PER CHI VUOLE VEDERLI, SONO EVIDENTI GLI INTRECCI DEL “COMITATO D’AFFARI”, ANCORA VIVO E VEGETO.

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Mi fermo perché andare a quegli anni con la memoria o rintracciare libri che già hanno sostenuto queste tesi (che appunto non sono solo mie ma che da oggi voglio cominciare a riassumere e ricordare) mi costa fatica e emozioni forti. Perché, come a volte faccio intendere ed altre dico espressamente, io c’ero. E mi è difficile non ricordare Luciano Lama alla Rizzoli, a Crescenzago, a via Civitavecchia 104, Milano, nel gennaio del 1977, pochi giorni prima di quando a Roma scoppia, alla Sapienza, l’inferno dell’assalto al palco del capo della CGIL ad opera degli autonomi. Lama, mi chiedo ancora, che cazzo doveva andare a fare nel covo dei violenti se non per incendiare la prateria degli indiani metropolitani? Anche perché di idiozie sull’austerità bastava Andreotti e il suo monocolore a dirle. Monocolore che si reggeva con la assoluta complicità del PCI e della CGIL.

Oreste Grani/Leo Rugens