Sembrano volare stracci e la condizione del Paese è che chiamiamo “straccio” anche la Banca d’Italia
La coppia degli ex (?) fidanzatini del Governo a guida di un pezzo (il loro) del PD, ha aperto la vera campagna elettorale dopo aver contato i voti alla Camera per il Rosatellum e sentendo avvicinarsi la “stangata siciliana” che non è certamente un nuovo tipo di dolce. Niente cassata o cannoli per i due diabolici. Se anche amanti o meno, è una maldicenza che non solo non ci intriga ma che cambia poco la sostanza e la gravità dei loro comportamenti alla guida della cosa pubblica. Figurarsi poi se siamo noi di questo marginale e ininfluente blog a prendere le difese di Ignazio Visco, classe 1949, Governatore della Banca d’Italia dal 2011, affiliato alla super loggia massonica intitolata ad Edmud Burke. In Banca d’Italia c’è stato in questi anni Visco ma ci poteva continuare ad essere un altro dei loro o di una loggia contraria: se non era zuppa, era pan bagnato. Che uno si chiami Fabrizio Saccomanni, o Mario Monti, o Pier Carlo Padoan o Domenico Siniscalco o Mario Draghi solo gli addetti ai lavori, farmacisti della scienza latomistica, possono capire le differenze di affiliazione. Comunque di tutti quelli che da decenni trattano la lira prima e le vostre tasche dopo non c’è ne stato uno (e non ci sarà neanche ora nel dopo Visco) che invece di giurare alla Repubblica italiana non abbia dato la propria anima a chi lo ha allevato e protetto a palazzo Koch.
Non limitiamoci a vedere volare gli stracci relativi al mondo della finanza e aspettiamoci una stagione di veleni e di rancori, tipici di queste Super Logge. Quella a cui appartiene Ignazio Visco, la Edmud Burke, ad esempio, è potente abbastanza per farla pagare a chi volesse infrangere lo scudo che viene promesso a chi si affilia. Si chiama Initiatic Shield (scudo iniziatico) ed è un istituto massonico posto a salvaguardia dell’incolumità (e non parlo solo di quella fisica) di un determinato fratello o sorella. Si tratta di un vero e proprio contratto regolato da precise norme, che dovrebbero garantire il beneficiario (uno non vende l’anima e non solo quella senza esigere garanzie) da qualsivoglia attracco da parte di terzi, siano essi massoni o meno. In questo caso l’attacco a Visco viene da un paramassoncello toscano mai affiliato a niente di serio e da una burrosa intraprendente figlia di uno che andava in giro a chiedere scudi massonici a Flavio Carboni. La super loggia a cui chiederà di fare scudo in sua difesa Ignazio Visco, è intitolata a Edmund Burke a sua volta massone ferocemente antidemocratico e oligarchico e nella scelta del nome penso si capisca che aria tiri da quelle parti. Nella Super Loggia fondata nel 1888, sono passati fratelli del calibro Nathan Mayer Rothschild, Jean Pierre Périer, George Boulanger, Louis Renault, Armand Peugeot, Sidney Sonnino. Tanto per fare qualche nome della dinastia massonica che precede l’oggi. Renzi mi sembra che tranne il barbetta di suo padre e la capigliatura bianca stoppacciosa di Denis Verdini non abbia altro dietro. O forse qualcuno si intravede ma in veste di manovratore di marionette e per finalità ulteriormente destabilizzanti della nostra già stanca Italia. E per parlare di destabilizzazione eversiva che precede fatti gravissimi tenete conto che quando parte l’attacco alla Banca di Italia o ai suoi vertici o al suo operato (sia pur con la differenza che quella di oggi di Via Nazionale è ormai l’ombra di quella a cui faccio riferimento) siamo vicini a vedere scorrere il sangue. E non mi limito a esempi metaforici. Direi che il pupazzo Renzi lo stanno usando come miccia di cose complesse tipo “Catalogna”, “insorgenza jihadista”, “tensione sociale in Francia”.
Non so dirvi dove vada a parare il complotto per quanto riguarda la nostra Italia ma leggetevi la cronaca del groviglio intorno alla Banca d’Italia e al saccheggio delle banche/casse negli anni (pochi) che precedono l’assassinio di Aldo Moro e con il suo assassinio la fine della ipotesi di una politica sovrana italiana nel Mediterraneo, e capirete perché nessun sincero democratico deve dormire sereno. Tenete sempre presente che Aldo Moro non era certo un massone, né di destra né di sinistra. Siamo nel novembre 1977 e il direttore del “Corriere della sera”, Franco di Bella (piduista del gruppo dei 17, collega in fratellanza di Maurizio Costanzo), mentre si reca a trovare Moro nel suo ufficio di Roma a via Savoia, viene intercettato da un motociclista in atteggiamento sospetto, ne parla al presidente della DC, che appare preoccupato di un’imminente offensiva del partito armato. Di Bella incontra Moro alcuni mesi dopo che al Corriere si era avuta una svolta intorno al mese di aprile ’77, mese in cui vengono sequestrati (e con questa intimidazione tolti di mezzo) i figli di Francesco De Martino, politico socialista di qualità, e del figlio Rino di Giuseppe Arcaini, democristiano.
Non semplifico la vicenda con un approccio cause ed effetti ma è doveroso ricordare e verificare eventuali analogie con l’attuale attacco alla Banca d’Italia e altro in corso nella vita politica del Paese.
Dalla cronologia di quegli anni risulta:
sulla scena della criminalità campeggia la camorra di Raffaele Cutolo, che dominerà, quattro anni dopo (1981) la scena della trattativa tra Br, servizi segreti e amici di Ciro Cirillo, prigioniero dei brigatisti e liberato dietro riscatto. Questo intreccio è un sintomo dei rapporti dell’Italia sotterranea che in quello stesso mese di aprile 1977 registra un altro episodio analogo quale il sequestro di cui ho accennato, del figlio di Giuseppe Arcaini, il presidente dell’ltalcasse sovvenzionatore per miliardi dei partiti di governo.
Ignoti i mandanti, i due sequestratori saranno processati nell’autunno ’82. Questa la versione esposta al giudice Luciano Infelisi da Mino Pecorelli, secondo il quale «Giuseppe Arcaini non pagò alcuna somma per il riscatto, ma effettuò succesivamente i richiesti finanziamenti. Infelisi consigliò a Pecorelli di stendere una formale denuncia alla Procura della Repubblica. E Pecorelli disse al magistrato: lo farò non appena avrò una prova di cui sono in attesa in questi giorni» (“Panorama”, 19 aprile 1982). Questo colloquio avveniva alle 10.30 del 20 marzo 1979. Alle 20.50 Pecorelli veniva ucciso da ignoti killer. Alla fine del ’77 inizia l’inchiesta sull’Italcasse. Giuseppe Arcaini, latitante, muore nel febbraio ’78. Solo nel giugno ’81 si ha una prima sentenza: 26 prosciolti, 17 nel frattempo deceduti e 37 rinvii a giudizio tra i quali i nomi più noti sono quelIi dei Caltagirone, di Alvaro Marchini, di Alessandro Nezzo, del leader Dc Edoardo Calleri di Sala, di Ezio Riondato, banchiere dell’area cattolica, ferito alle gambe dal partito armato e oggetto di numerose attestazioni di stima. La conclusione della vicenda è prevedibile.
Nel giugno 1977 circolano le prime notizie del sequestro di Rino Arcaini, Guido De Martino viene liberato, si esauriscono le manifestazioni del “movimento”, e il partito armato intensifica il fuoco: dopo l’avv. Croce, vengono feriti alle gambe, oltre a Montanelli, il vicedirettore del “Secolo XIX” e il direttore del Gr2 (aprile-giugno). A luglio viene stipulata un’intesa tra i partiti dell’arco costituzionale che mantengono la “non fiducia” contrattata al governo Andreotti. Intanto quel settore del “movimento” che rifiuta il ritorno alla legalità passa al partito armato, il quale dopo altri ferimenti annuncia di “alzare il tiro”, e infatti uccide a Torino Carlo Casalegno, ferendo subito dopo a Genova un importante dirigente dell’Iri, Castellano, comunista.
Di Bella incontra Moro dopo che al “Corriere” si è avuta una svolta che data anch’essa dall’aprile ’77, il mese dei sequestri De Martino e Arcaini.
Andando un passo indietro siamo al ’75, quando i successi elettorali portano il Pci verso il governo e quando si sostiene che il “Corriere” filocomunista ha agevolato questi successi. Ed è questo il momento in cui entra in scena pubblicamente Gelli. Nel 76, inoltre, proprio mentre il Pci aiuta Andreotti, le banche chiudono i rubinetti al “Corriere”, supposto reo di averlo aiutato.
Poi, come dice Rizzoli, «con Ortolani e Gelli tutto cambiò». Cambiò in primo luogo l’orientamento dei giornali. Nel gennaio ’77 il nuovo direttore dell”’Europeo”, Gianluigi Melega, pubblica un’inchiesta sui beni del Vaticano e ne preannuncia una su Andreotti, possibile uomo di fiducia in Italia della Roche, responsabile dell’inquinamento della diossina a Seveso (luglio 76). Melega viene subito messo in condizioni di presentare le dimissioni dalla carica assunta da pochi mesi. È l’avvio di un riorientamento del gruppo verso buoni rapporti con la Dc, che si tradurrà nella sostituzione di Piero Ottone appunto con Franco Di Bella, non sospetto di simpatie a sinistra. Si saprà solo nella primavera del 1981 che mentre il Pci credeva di essere vicino all’area di governo e tentava di gestire I’insofferenza operaia in fabbrica predicando l’austerità, i boss della P2 si arricchivano a miliardi, con intermediazioni che danno all’establishment il controllo del gruppo Rizzoli.
Nello stesso tempo, insieme al supposto filocomunista “Corriere”, viene messo fuori gioco anche l’altro supposto filocomunista, Francesco De Martino; già sostituito alla segreteria del Psi perché ritenuto subalterno ai comunisti, il rapimento del figlio è certamente un colpo che gli consiglia prudenza, mentre nella nuova dirigenza socialista sta emergendo Bettino Craxi, molto competitivo verso il Pci.
Contemporaneamente, il ricatto ad Accaini prelude all’apertura dell’inchiesta all’Italcasse che dovrebbe colpire il “grande elemosiniere” della Dc e dei partiti di governo, ma che lascerà sostanzialmente indenni benefattori e beneficiati, mentre coinvolgerà il vertice della Banca d’Italia (e qui siamo al punto e all’analogia con i limiti delle analogie), in questo periodo apprezzata dal Pci il quale spera di trovarvi i tecnici che a loro volta apprezzino il senso di responsabilità dei comunisti, i quali fanno pagare la crisi economica non alle clientele dell’economia della corruzione, ma ai lavoratori dell’industria e ai ceti medi, che hanno votato il partito perché liquidasse quelle clientele.
Ricattato (e defunto) Arcaini, avviata, l’inchiesta, si può leggere nell’articolo di fondo di un quotidiano di Roma: «L’Italcasse era dunque la banca segreta della Banca centrale. Era di volta in volta instrumentum regni o propaggine clientelare, potente leva di sottogoverno e comoda istituzione che accettava di assumere in proprio il rischio morale di compiere operazioni nient’affatto ortodosse che però avevano il merito di conservare alla Banca d’Italia l’immagine asettica e prestigiosa di un’autentica casa di vetro.
In una sola botta, a Natale del ’76, quando Baffi era diventato governatore, I’Italcasse fu invitata dal vertice della Banca d’Italia e dal Tesoro a erogare agli enti locali più malati qualcosa come migliaia di miliardi. Su questi massicci finanziamenti guadagnavano però un po’ tutti: l’Italcasse con gli interessi, Arcaini in termini di protezione personale e avallo per altre estrose operazioni, Carli prima e Baffi poi in quanto riuscivano a ingraziarsi i più forti gruppi di potere. Gli ispettori della Vigilanza, lo strapotente servizio che in quel momento è nelle mani del direttore generale della Banca d’Italia Mario Sarcinelli non ritennero doveroso rilevare le occasioni in cui l’Italcasse aveva proceduto su richiesta e su esplicita autorizzazione della Banca centrale, che in quel momento con tutti i mezzi ispira le manovre per dirottare lo scandalo Italcasse in una direzione che non è quella giusta (“Il Fiorino”, 18 febbraio 1979).
Questo quotidiano è diretto da Luigi D’Amato, area Dc, in seguito deputato eletto nelle liste radicali ma il vero direttore era Franco Simeoni, a sua volta primo responsabile giuridico (era il direttore responsabile) di Osservatorio Politico Internazionale, quando Mino Pecorelli ed altri fondano l’agenzia di via Tacito 50 . Il senso è chiaro: scarso è il peso dei pochi miliardi regalati ai partiti (di governo), di fronte alle migliaia elargiti agli enti locali (in molti dei quali il Pci governa, soprattutto nel ’76). È una situazione ben nota, attraverso la quale il maggiore partito di sinistra viene coinvolto nel sistema di potere della Dc, anche se i maggiori dissesti caratterizzano le amministrazioni democristiane. Ma il Pci viene anche blandito. Quando nel 60° anniversario della Rivoluzione rossa (novembre ’77) Berlinguer pronuncia a Mosca un discorso nel quale sottolinea la posizione autonoma dei comunisti italiani, La Malfa lascia capire che il partito è ormai maturo per il governo. Il 2 dicembre sempre del 1977, un’imponente manifestazione dei lavoratori metalmeccanici di tutta Italia porta a Roma l’insoddisfazione diffusa per la politica economica del governo.
Insoddisfatto del governo delle astensioni, il Pci preme per un suo ingresso almeno nella maggioranza, a sostegno di un esecutivo la cui politica economica possa soddisfare il seguito del partito e i sindacati. Le dimissioni di Andreotti aprono la crisi nella quale matura l’affaire più traumatico dell’Italia sotterranea: il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro. Scrivo queste cose per richiamare l’attenzione su analogie che so essere cose che non funzionano fino in fondo per pre-vedere ma sono campanelli d’allarme per occhi e orecchie intelligenti. Se ce ne fossero. Direi quindi di non semplificare la sparata del furbo (e in quanto tale pericolosissimo) contro la Banca d’Italia e la massoneria che tegola le forze in campo dalle parti di via Nazionale. Ieri come oggi.
Oreste Grani/Leo Rugens