Dei grandi del Pianeta i cinesi potrebbero essere gli unici con cui ragionare di fattori culturali mediterranei

La comunicazione della Casa Bianca (esiste qualcuno da quelle parti che si attiene alle regole di tale delicatissima materia dove ormai, lo sanno tutti, si muovono i meccanismi più complessi della sicurezza?) vi chiede di credere “all’Oste che afferma che il vino è buono”. Così vi si rivolge il Capo degli Stati Uniti d’America rassicurandovi che lui (un noto pallonaro) ha chiesto a Putin se aveva interferito o meno nelle elezioni americane e che l’ex KGB (addestrato a mentire per definizione) lo ha rassicurato. E queste storie puerili diventano lanci d’agenzia e annunci delle trombette televisive. Ve lo vedete, viceversa, l’eburneo zar moscovita ammettere ciò che ormai ci si prepara a provare a Washington? In un quadro di straziante pochezza, direi di tenere gli occhi fissi sulle super portaerei pronte a far decollare gli spargitori di morte che mi sembrano argomenti meno coglionanti e sostanza di vera politica estera americana. E questo mentre altri addirittura affermano che il premier libanese è stato rapito e poi costretto da Riad a fare dichiarazioni. Altro che le vostre innocenti, un po’ cazzarone, fake news. Roba da non fare ma, in confronto a quello che questi sanguinari si preparano a raccontare per giustificare lo scatenamento dell’Apocalisse, mi sembrano peccatucci venialissimi.

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Questa è gente che vi ha portato sull’orlo di una complessità che si annuncia imprevedibile nei suoi sviluppi in quanto è una complessità non riconducibile né interpretabile sulla base di modelli lineari (causa-effetto e stimolo-risposta). Si tratta di qualcosa che gentarella come si stanno dimostrando i capi del Mondo (gli è sfuggito di mano il tutto e la scena è dominata solo da fatti emergenziali che epifanicamente si presentano e che i vostri eroi non sembra sappiano affrontare) non sanno più prevedere e per tanto governare. La questione della prevedibilità (dicono quelli che ne capiscono cento volte più di me, non soltanto dei comportamenti umani, sociali, culturali è cruciale e strategica) dipende anche, se non solo, da modelli culturali sconosciuti a quasi tutti quelli che ormai governano il mondo. Bisognerebbe osservare e comprendere i processi e le parti, cosa che, a vedere le sguaiate modalità con cui la diplomazia prova a dire la sua (cioè niente), nessuno sa ormai fare. Per cui non giocano a ping-pong come nel 1972 ma fanno da muro dei giocatori cinesi che invece non hanno mai flesso di un grado dalla loro visione e strategia di conquista del mondo: per quello parlano di globalizzazione, intendendo il dominio del Pianeta che perseguono con forza e coraggio.

I cinesi sono pronti culturalmente alla ipercomplessità sia sul piano dell’innovazione tecnologica sia terreno del controllo del fattore tempo. A questo stanno sempre più aggiungendo la capacità di fare comunicazione. Che non è raccontare solo cazzate in giro per il globo ma saper non solo fare le cose ma saper comunicare come si fanno le cose e, soprattutto, perché si fanno le cose. Tutti gli altri, tranne rare eccezioni, cadono su questo tema del saper comunicare ciò che si sa fare (quando lo si sa fare) cioè cadono sulla formazione dove invece ogni giorno di più si coglie da mille segnali la Cina sta investendo. E così facendo stanno trovando loro (che i superficiali non avrebbero mai detto capaci di farlo)  la strada del saper coniugare conoscenze e competenze, in un unicum tecnologico e umanistico. E questo è dovere nella terra di Leonardo, Michelangelo, Bruno, Galileo. La politica che sarà, riprendendo una tradizione di una diplomazia che abbiamo avuto nei secoli andati (quando eravamo Venezia, Firenze, Roma, Farfa), deve dare risposte alla complessità ricavandoci un ruolo e senza far troppo capire ai grandi ignorantoni del Pianeta che abbiamo scelto di ragionare di cultura e di saperi antichi ed ora contemporanei con i cinesi.

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Se potessi contare qualcosa in questo Paese, così farei, scegliendo di cominciare dal significati, impliciti ed espliciti, del 150° (nel 2019) dell’inaugurazione del Canale di Suez. Significati per il Mediterraneo, di oggi e del futuro prossimo. Celebrazioni che dovrebbero essere pensate e tenute ovviamente con l’Egitto e gli altri Paesi rivieraschi ma anche e soprattutto con i lontanissimi/vicinissimi cinesi colti di Pechino.

Oreste Grani/Leo Rugens