L’atroce verità
Dirò cose scomode. Anzi, di più. È innegabile, direbbero quelli che ne sanno più di me e che sull’ISIS scrivono libri, fanno conferenze retribuite e vanno in televisione (ritengo per un gettone), che la popolarità dello Stato Islamico (ora, viceversa, sembra essere in dissoluzione) è scaturita, in questi anni di crescita esponenziale, dal richiamo esercitato dai suoi straordinari successi militari su una popolazione che si sentiva sconfitta dopo decenni di brutale dominio (non credo che qualcuno possa parlare di regimi democratici) da parte dei leader arabi sostenuti/finanziati dal petrolio e dagli americani, inglesi, francesi, tedeschi, turchi e russi, con modalità e finalità diverse e, se mi dimentico qualcuno, mi scuso. Gente scoraggiata da decenni di corruzione dilagante in organizzazioni pseudo-statali quali l’OLP (non rimuovete mai in che ricchezza ha vissuto ed è morto Yasser Arafat) e Hamas. Popolazione palestinese già lasciata in povertà da queste sanguisughe e costretta a vivere, per decenni, condizionata da conflitti settari, pseudo-religiosi, bombe, sanzioni e veti incrociati. Un casino artatamente messo in piedi e mai risolto per poter schiavizzare persone, anche gentili, colpevoli solo di essere nate in un posto piuttosto che un’altro. Sono cinquant’anni (dico 50 perché sono io la memoria di tutto questo) che nessuno fa qualcosa per la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza di queste persone indifese.
Avrei amato, senza pudori, Israele se avesse scelto di farsi carico di guidare, lei, paradossalmente, forte dei suoi strumenti culturali e della sofferenza da cui veniva, il processo di democraticizzazione di quei territori. Invece, la fabbrica del terrore che ha sempre armato le mani di uni e degli altri, non ha mai smesso di lavorare e alla fine abbiamo anche dovuto veder risorgere un califfato. In mezzo le Torri gemelle e mille altre micce sempre accese. Questo è avvenuto sullo sfondo della guerra civile in Siria (o farnetico?), e di un Iraq completamente controllato dagli americani dalla fine della guerra anti Saddam. Dopo sette anni di guerra contro l’Iran. Oltre a Siria, Iraq, Yemen, Afghanistan, Libia ora stanno per far bollire nel gran minestrone “rosso sangue” anche il Libano che aveva, viceversa, appena adesso, rimosso le ultime macerie e lustrato le ultime maniglie. Gente di Gaza, gente di Tobruk, gente di Palmira, gente di Damasco, gente di Beirut, gente di Kabul, tutti messi in mezzo per alimentare una perenne economia di guerra. Guerra quale unica risposta alle differenze, se pure ce ne fossero. Così, milioni di curdi, rimangono senza terra e senza patria. Da domani, a Roma, Papa Francesco chiama a ragionare non solo di Corea ma anche e soprattutto di terre vicine dove potrebbe accendersi, tra poche ore, una guerra “dagli esiti imprevedibili”, come un tempo si sarebbe detto. L’atroce verità è che nessuno dice neanche più questo: si scivola verso la guerra estesa ulteriormente e nessuno dice nulla, tranne l’Uomo di Roma, in veste bianca, disarmato, senza divisioni e senza missili.
Oreste Grani/Leo Rugens