Le radici dell’aggressività: Mitra e il pericolo iraniano

Aion mitraico
L’anno 307 in un solenne convegno a Carnunto sul Danubio, Diocleziano, con Galerio e Licinio, consacravano un santuario a Mitra fautori imperii, propiziatore del loro dominio. Un secolo prima Commodo (oggi mi è presa così) si era fatto iniziare ai mysteri di Mitra. Nel corso di quei cento anni il culto di Mitra s’era grandemente propagato; e quando Costantino fece mettere sulle armi dei soldati il monogramma del Cristo, non v’era religione, se si eccettua la cristianità, che avesse tanto numero di fedeli e tanto credito quanto il mitraismo. Il mitraismo era arrivato tra i Latini quasi ultimo dei culti orientali che Roma aveva accolto. Veniva dalla Persia, da quel regno dei Parti che tanto da ancora al mondo intero da “tribolare”. E scusate la semplificazione. Roma si era impegnata contro di loro e spesso era dovuta venire a patti. I culto di Mitra, meno ellenizzato era comunque difficile da “romanizzare”. Le sue cerimonie, erano sempre celebrate negli antri e nelle cripte, in segreto e nel buio. I suoi comandamenti di sincerità, di lealtà e di solidarietà, si direbbe oggi, trovava ascolto nel profondo dell’anima di molti. I credenti in Mitra erano inoltre prodi e in questo “valore coraggioso” i romani li sentivano vicini. Erano persone che non si tiravano certo indietro in anni difficilissimi dove le “forze armate” avevano riconquistato un’importanza primaria. Ma a dividere il mitraismo dalla romanità genuina e dalle radici antiche stava un fatto: Mitra, ente o persona, apparteneva al mito, non alla storia. Inoltre, la dottrina insegnata dai sacerdoti di Mitra offendeva l’esperienza di Roma. La diade mitraica o iraniana infatti era violenta: vale a dire contrapponeva deificate la potenza del bene e la potenza del male, Ormuzd e Arìmane. Zoroastro chiamava, secondo Plutarco, Ormuzd il dèmone buono e Arimane il maligno. In mezzo tra i due era Mitra che i Persiani/Iraniani chiamavano anche il Mediatore, “Mesite”. La mediazione mitraica pertanto non era riparazione del male, non riscatto dall’odio e dal dolore ma un’arte di patteggiare col bene e insieme col male per attirare l’uno e stornare l’altro, trattando quello e questo alla stessa stregua. In attesa del giorno futuro della grande catastrofe quando Ormuzd avrebbe sconfitto Arimane.
Una guerra a lungo preparata, tutta improntata all’odio, ma che certamente nulla aveva della fortitudine che sa amare e che il cristianesimo della prima ora provò ad insegnare. Mitra quindi lontano dallo spirito della diade romana che aveva saputo unire e pareggiare curia e plebe, cittadino e “socio”, italico e provinciale in una scelta alla fine non violenta. Alla luce di questa visione il Romano era stato educato (e il Cristianesimo lo aveva rafforzato in questi modi) a vedere nel nemico un amico futuro, nel minore una speranza e in questa cultura lungimirante, vivere la continua intuizione d’una realtà possibile dietro ad ogni realtà presente. Questa era l’intelligenza della Repubblica romana: valore bellico e sapienza politica. Laddove il bellicoso dualismo iraniano conosceva il debellare superbos ma ignorava il parcere subiectis. Nel pensiero mitraico iraniano il contrasto duale di luce e d’ombra, di giorno e di notte, di stagione fruttifera e di stagione infeconda perdeva il valore/significato di un semplice vicenda di fasi naturali, diveniva un dramma cosmico, un conflitto implacabile. E se questo sentire nel profondo fosse aleggiante nell’Iran di oggi, sarebbe il vero pericolo camuffato/rafforzato dal pensiero scita. I persiani/iraniani accettavano della natura solamente la parte gradevole, dall’altra si difendevano con i riti catartici. Oggi, sento pericolose queste radici fanatiche se non si trova modo di frapporre ragione tra la politica pragmatica di Israele che cerca alleati tra i nemici dei suoi nemici, e questa miscela esplosiva di antichi credi asiatici e di islamismo più recente ma non meno estremo nelle sue scelte “operative”. Un mare di stupidaggini, mal dette, da un profano ignorante come pochi in materia di quintessenza dei moventi religiosi.
Oreste Grani/Leo Rugens