In totale i votanti sono stati 62.378 su 185.661 iscritti: al M5S sono andati 37.500!

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Vediamo di non spacciare per una vittoria quello che è successo ad Ostia. Si chiama “scampato pericolo”. I numeri testimoniano che è stato un pericolo scampato e da quello che dicono i numeri bisogna partire o i voti che usciranno a primavera prossima al Nord, vanificheranno definitivamente il sogno di libertà, onestà, equità che nove milioni di Italiani avevano entusiasticamente affidato, nel 2013, a Giuseppe Grillo da Genova e a Gianroberto Casaleggio, all’epoca vivo. Arrotondando, ad Ostia, nel ballottaggio, è andato a votare il 34% degli aventi diritto: 62.378 su 185.661. Su questo 34%, fatto cento, il M5S ha raccolto, in uno scontro a due con il peggiore volto della destra italiana (intorno alla Meloni, Salvini, Berlusconi niente della tradizione liberale che, in parte, si dovrebbe riscontrare in un tale schieramento accorpato è presente) il 60% cioè, sempre per arrotondare e in numeri assoluti, un pugno di cittadini: 37.500 su 62.378 ti hanno riconosciuto quale forza politica onesta e capace. Senza offesa per i coraggiosi e testardi cittadini, in altra sede, si direbbe un “pugno di mosche”. Ora, scampato il pericolo, questa vicenda del fiume Tevere che unisce e da cui dovrebbe partire il rilancio di Roma va certamente perseguita, sia pur non sopravvalutata come soluzione di tutti i guai in cui la Capitale si ritrova. Mai direi che questi guai sono colpa di Virginia Raggi. Dirò solo che, oltre al Tevere, bisognerebbe capire quale visione abbia la Sindaca di questa Città che è eterna come lo è il fiume che la bagna, dividendola o unendola, come sento dire nelle dichiarazioni che la Raggi ha indirizzato in risposta alle intelligenti sollecitazioni di Antonio Padellaro, preoccupato, come molti, di troppa inerzia o di una eccessiva (se non totale) assenza di una strategia per portare finalmente Roma a ritrovare/avere un’identità. Ma senza visone, lo diciamo nella nostra semplicità, difficile scegliere strategie coerenti e pervenire quindi al fine per cui 770.000 cittadini, 18 mesi addietro, hanno scelto il M5S, cioè quello di ridare una identità a Roma.

Se proprio dovessimo dare un consiglio (escludiamo che qualcuno ci dia questa opportunità ma a noi non costa niente affidare una bottiglia nel mare internettiano con questo messaggio “interessato” ma gratuito) alla nostra Sindaca di prepararsi (è un po’ tardi ma sorvoliamo su questa responsabilità rincuorati, dopo lo scampato pericolo che potevamo correre in riva al mare dove sfocia il Tevere) ad una riflessione sul concetto di emergenza ed immaginarsi capace di convivere con questa condizione considerando emergenze le qualità o proprietà del sistema che si concorre  a determinare e che, per missione, si deve gestire con profitto economico e valoriale. Emergenza quindi come opportunità condizione permanente di attenzione al divenire delle “cose”. Emergenza, quindi, passatemi il termine, come “privilegio”. Così andava affrontata, prendendola per le orecchie la Lupa Romana, mentre la Appendino, a Torino, doveva prendere il Toro per le corna. Roma doveva dal primo momento (anzi, molto prima della vittoria certa) essere studiata come un sistema ipercomplesso dove le qualità saranno sempre qualità emergenti determinante dalle associazioni di più comportamenti e da più combinazioni delle stesse. Roma andava affrontata, lei per prima, come un ecosistema, costituito non solo da fiumi, parchi, zone bagnate dal mare ma da concetti, principi, teorie dottrine che ne fanno, da secoli, un’astrazione della vita, una metafora permanente di un luogo inclusivo per eccellenza (tutte le strade portano a Roma se ci si vuole andare) ma che mai, consigliamo, dovrà assumere comportamenti autoreferenziali che, a nostro giudizio, corrisponderebbero alla sua non-vita. Vediamo di cominciare a fare cose basilari che non sta a questo marginale blogger dire come monnezza, buche, trasporti e lasciamogli la peculiarità di essere una città unica al mondo nota per la sua emergenzialità.

Bisogna saper fare teoria così, considerandola, la faremo di fatto “emergere” dove nell’idea stessa di emergenza ci sono strettamente connesse la qualità e il prodotto poiché l’emergenza è prodotta dall’organizzazione del sistema. Roma è (e sarà sempre di più) un luogo di globalità e di novità poiché l’emergenza è una qualità nuova in riferimento alle qualità precedenti dei singoli elementi. Roma deve aspirare allo “statuto di evento permanente”, scegliendo/favorendo gli eventi ed evitando i flop che consentono alle Arene dei Giletti di fare trasmissioni urlate. Se farà la scelta di essere lei stessa un evento permanente (anche trovando creativamente risposte alla viabilità, alla raccolta dei rifiuti, alle buche, alla povertà di decine di migliaia di ultimi, alla salute trascurata dei suoi cives) sorgerà e si imporrà come luogo discontinuo una volta che il nuovo sistema si sia finalmente costituito e avviato con la consapevolezza che suggeriamo.

Pazzo più del solito questo blogger.

Oreste Grani/Leo Rugens