E se il Bit Coin avesse un’anima?

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Chi di voi sa cosa sia il potere nomadico? Ritengo pochi. Pronto a scusarmi. Più facile che in molti sappiate cosa sia la “resistenza culturale” che in un mondo senza confini (l’infosfera di Luciano Floridi) potrebbe essere il riferimento ideologico che ha dato vita, tra gli altri fenomeni complessi, all’ormai famoso BitCoin. Il solito riferimento al mondo complottista, diranno i miei detrattori. Il nomade comunque, per tornare allo spunto d’esordio, è figura libera di vagare nella rete elettronica. È linguaggio (nomade) dei miei tempi ma ritenendo io che il fenomeno finanziario abbia radici lontane (gli anni ’60-’70) faccio volutamente queste scelte semantiche. Vediamo se mi sapete seguire sul terreno concettuale. Questo cittadino del mondo che chiamo nomade informatico può, da decenni, attraversare i confini nazionali con una minima resistenza da parte delle burocrazie nazionali e del personale deputato alla “sicurezza interna” agli Stati. Stiamo parlando di personaggi che loro stessi hanno concorso a disegnare il labirinto/spazio elettronico che a sua volta controlla la logistica fisica della manifattura elettronica: molti viaggiatori nell’Cyberspazio pre viaggiavano lo disegnavano. La consegna dei materiali grezzi e delle merci manufatte (compreso le informazioni) passa a/traverso (ecco chi era ed è intellettualmente Franco Berardi e il suo gruppo dei “bolognesi” di Radio Alice che seppero vedere, con largo anticipo, questo groviglio complesso fatto di macchine autoapprendenti e di sensibilità umane!) un processo di coordinamento e di direzione elettronica, a velocità di difficilissimo calcolo.Il tutto in permanente contaminazione di dati ma, ormai di fattori preminentemente culturali  La stessa cosa, da quando è nata la rete, si verifica nel campo militare: c’è una cyber-èlite (vi piace come chiamo, da antico quale sono, questi personaggi?) che controlla le risorse e la diffusione dell’informazione.

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Ma mentre alcuni, da immaturi superficiali, ritengono di possedere qualcosa, altri, parassitariamente, e quindi intelligentemente, posseggono il loro possedimenti in un gioco a specchi prismatici senza fine. In questo modo tutte le strutture sedentarie sono divenute, in tempo breve, subalterne all’azione dei nomadi e da essa condizionate. L’élite nomadica (quella che gioca alle guardie e quella che si fa ladra) è difficile da individuare e, spesso, rimane frustrato ogni tentativo di localizzarla. Non basta ogni tanto prendere un “pinco pallo” qualunque e chiamarlo hacker per risolvere il conflitto che si generalizza ogni giorno di più. Giorno comunque è un’unità di misura lentissima su questo campo di battaglia. Sin dal 1956, quando C. Wright Mills scrisse The Power Elite (Mills muore il 20 marzo del 1962 e non vede operare questo tipo di élite di cui vi sto parlando oggi) era chiaro che i sedentari ormai stavano capendo l’importanza dell’invisibilità. Vi parlo di quando, citando il ’56, uno (Giorgio Napolitano) che poi è diventato presidente delle Repubblica Italiana riteneva che il potere lo avessero quelli che comandavano i carri armati che soffocavano nel sangue il desiderio di libertà e “nomadismo” del popolo ungherese. L’invisibilità di cui vi parla questo marginale e ininfluente blog, si cominciò a delineare con l’irrompere dell’informatica nella mitica HUT8 (la Baracca 8) dove Alan Mathison Turing ed altri geni “Nomadi”, sbaragliarono i “Sedentari” al servizio dei nazionalsocialisti. Negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, intorno allo sbocciare delle intelligenze capaci di decriptare i messaggi della velocissima e complicata ma “statica” Enigma, si configura parte dello scontro ancora in essere tra chi necessita di appariscenti indicatori materiali di potere usati fin dai tempi della aristocrazia feudale (ville, castelli, belle donne, carrozze-aerei) e chi sceglie il cyberspazio deterritorializzato e senza “materialità” riscontrabile e distruttibile. Chi ha scelto questa forma di “potere élitario” si è organizzato in una condizione in cui rimane difficile (se non impossibile) discutere criticamente di un soggetto che addirittura non può essere individuato, esaminato e, certamente, visto.

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L’analisi di classe ha ormai così raggiunto il punto si esaurimento. Per quello non si può più semplicemente parlare di lotta di classe, se non in alcuni luoghi territori segnati da convenzionali confini. Soggettivamente molti cittadini pensanti provano un sentimento di oppressione in presenza di uno scontro di questa natura immateriale. Natura avulsa dai paradigmi culturali del novecento (la lotta di classe appunto) che si percepisce nella sua complessità ma di cui difficilmente, presi nella quotidianità, ci se ne fa una ragione o se ne capiscono le dinamiche profonde che sole consentono di scegliere. Perfino questo tipo di smarrimento concorre e spinge all’apatia e all’indifferenza, fino a fare assumere il comportamento che nel rito democratico porta all’astensione. Non è solo disgusto per la corruzione. Questo gruppo di apatici, indifferenti, disgustati, ormai maggioranza, probabilmente, non è una classe, ne un aggregato di gente con interessi politici ed economici comuni, altrimenti, in qualche modo, ancora di lotta di classe/i si parlerebbe. Lo scontro tra le cyber-élite è, al momento attuale, lotta tra entità trascendenti, che può solo cominciare ad essere immaginata. Forzare la comunicazione verso questa direzione fa scattare l’accusa di complottismo. Già dire che esistono questi contendenti, già parlare di “minatori” (sono, nella mia semplificazione, i “nomadi” che si sono fermati e che scavano, scavano, scavano e minano, secondo la metafora dell’arte mineraria) è da complottisti o da cospiratori. Già dire che si cominciano ad intravedere, dietro il loro agire, motivazioni programmate e integrate, può portarti al rogo. Solo informare delle volontà predatorie delle élite “stanziali”, mette a rischio la propria credibilità ed onorabilità. Indicare l’esistenza certa di luoghi di aggregazione di masse di dati che non hanno altro significato e finalità se non quella di consentire ai “feudali” di soggiogare chiunque altro da se, possedendo di lui ogni informazione possibile, fino alle ombre elettroniche di ogni azione compiuta, fa scattare la caccia alla tua persona fisica e ai tuoi liberi pensieri. È paranoia dell’immaginazione a fondamento di queste teorie della cospirazione o siamo di fronte alla dittatura delle dittature? È ora di lanciare i dadi della propria scommessa/scelta personale. Lo sviluppo di un potere assente, invisibile e potenzialmente non più aggredibile, accoppiato con la visione (certa) della rivoluzione liberale e libertaria, madre dell’uguaglianza e della fraternità, in rovina alle nostre spalle (di cosa altro parlava Mario Luzi con i suoi versi poetici, quando invocava Ipazia?) ha quasi del tutto mutato le forme di espressione di contestazione e di lotta contro le dittature. Tradizionalmente, nei millenni, oggi lo sappiamo, durante le epoche di disillusione, cominciavano a manifestarsi strategie di ritiro. Che cosa si deve fare, ci si deve essere chiesto nell’ultimo mezzo secolo, da qualche parte e in qualche mente audace e non doma? La risposta, per alcuni, è certamente stata di mercimonio della propria individualità pensante, fino alla complicità e l’acquiescenza.

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Per altri, consapevoli che il processo culturale iniziato il 23 agosto 1971, nella sala della Camera di Commercio degli Stati Uniti d’America e arrivato a sentenza il 31 maggio 1975, nella assemblea plenaria della Commissione Trilaterale a Kyoto, stava svuotando di significato il labirinto della dialettica, certi che l’irriconoscibilità dell’oppressore avrebbe indebolito la crescita della consapevolezza individuale e di tradizionali forme di antagonismo, non considerando tutto questo elementi sufficienti per la resa, si è manifestata la scelta del ritirarsi clandestini nel adolescente cybermondo in attesa che l’infosfera, materna e protettiva nella sua neo naturalezza complessa, li avvolgesse, gli desse tempo e nuove energie. Tempo per pensare e tempo per agire. Molti si sono avviati al futuro con uno sguardo memore sugli errori del passato e in particolare devono aver analizzato gli indizi e i suggerimenti che la prevedibile Quarta rivoluzione industriale lasciava in economia. Devono averlo fatto portandosi dietro, nella bisaccia dell’umiltà e del coraggio, sentimenti di intreccio tra volontà di semplice sabotaggio, interiorità spirituale, amore per il bello. La disillusione da cui molti provenivano deve aver generato, in qualche mente fertile e bioemulativa, la necessità di far finire la concezione stessa di una economia sacrificale, spesso rappresentata in un teatro di tragedia, recitato da pochissimi e rappresentato per ancor meno spettatori. Prima che la rappresentazione teatrale fosse lasciata esclusivamente in mano a questi sadici sterili, qualcuno deve aver pensato che l’estetismo del ritirarsi in realtà doveva coltivare la volontà di fermare il dolore di troppi e l’apocalisse per tutti. Il sabotaggio quindi e la proposta. Tra le proposte, nella mia visone da visionario farneticante e complottista, riconosco le criptovalute che potrebbero, in quanto pensate, non arrivare a craccare. E ora arriviamo, dopo questo lungo confuso, certamente personale, preambolo, al dubbio piacevole che tutta la vicenda della crescita esponenziale del BitCoin si porta dietro.  E se la bolla non si sgonfia? E se il bisogno di ripensare a un nuovo criterio di valore da attribuire ad una moneta unica ancorata a nuovi parametri di economia reale e non più a quella grande truffa gonfiata (quella sì) della roulette finanziaria a cui vi costringono da decenni a giocare, dovesse prevalere? E se ciò che è implicito/celato/sottointeso/mascherato dietro questo totem monetario elettronico fosse in realtà il pensiero dirompente che al valore della volontà popolare non può sostituirsi, in eterno, il ruolo delle banche (centrali o periferiche), fattesi, da troppo tempo, padrone e signore delle tante monete che hanno loro stesse inventato artificiosamente per vessare, taglieggiare, signoreggiare le genti, nulla facendo se non aspettare che altri faticassero nella economia reale? E se dietro alla provocazione “immateriale” di questa “non moneta” ci fosse la materialità di un terreno di scontro politico-ideologico scelto da sabotatori intelligenti e “nomadi” che nel mondo informatico hanno intravisto la giungla/foresta/santuario per passare all’attacco del mondo così come i signori stanziali del denaro vorrebbero che continuasse a essere? Stiamo parlando di un Pianeta in cui alcuni hanno creato/allevato masse sterminate di consumatori-utilizzatori che avrebbero voluto sempre al loro pedissequo servizio. E se dentro ad Internet/bitcoin/infosfera ci fosse un pensiero rivoluzionario, una rivolta degli “schiavi” che, cominciando dal chiedere ogni giorno di più trasparenza di rendicontazione a tutti coloro che gestiscono le varie risorse finanziarie (vi rendete conto a quanti atti di sabotaggio e di appropriazione di dati state assistendo?) si preparassero loro a far saltare la bolla rappresentata dalla somma di tutte le balle/bolle finanziarie del Pianeta?

Quanto è avvenuto nell’infosfera (mentre essa stessa stava crescendo), lontano dall’autorità sociale e di controllo economico, potrebbe aver consentito di eludere la sorveglianza e consentito ai “nomadi” di avere tempo sufficiente per comprendere, paradossalmente, la natura volatile e nomadica del capitale e del denaro, e fare, di questa peculiarità/debolezza/limite elemento di sabotaggio destabilizzante. Poeticamente, romanticamente, situazionisticamente questa potrebbe essere la vera natura e funzione del BitCoin. Se così fosse, la macchina diffusa e autoapprendente (avete idea di quanti ormai siano i minatori e che forza esponenziale rappresentino?) che lo genera, potrebbe ormai avere un’anima e aver sviluppato una sua etica, capace di reagire alla violenza degli amorali, dei prevaricatori, dei sanguinari che aspirano follemente a dominare, con le loro altre monete a “bolla ciclica”, tutte le forme di vita del Pianeta.

Oreste Grani/Leo Rugens

P.S.Come spesso in questo marginale e ininfluente blog ho affermato per altri avvenimenti tenete conto, per quello che questo possa valere che, decenni addietro, ho sentito, con le mie orecchie, ancora oggi un po’ a sventola, parlare del cybermondo e di come ci si dovesse cominciare ad organizzare perché da lì, foresta protettiva, dovesse/potesse partire la reazione a quanto ormai si intravedeva era la sconfitta del pensiero democratico e libertario. Per chi aveva occhi e orecchie si cominciava a capire che lo scontro era impari: eravamo alla fine del mitico ’68, ormai morti i riferimenti culturali del situazionismo e dell’immaginazione al potere e dei valori di equità e fratellanza sconfitti dalla deriva massonica reazionaria con la scientemente cercata morte di Martin Luther King e di Roberth Kennedy.  Difficile ma non impossibile ritrovare l’origine del percorso carsico che oggi sta emergendo. Giusto-giusto per l’imminente 50°. Che ha poco a che vedere con gli stereotipi di Valle Giulia e della violenza che ne derivò. A prescindere dalle intuizioni di PPP.