Algeriade 10 – Pompeo De Angelis
ll castello dell’Imperatore
Le tre divisioni del generale in capo Bourmont dovevano alzarsi marciare: gli uomini seduti con lo zaino accanto, con il fucile fra le ginocchia, con cappello a tuba munito di visiera e pennacchio, che non proteggeva dal sole, ma faceva sudare il cranio, con lo scomodo giaccone bleu e i pantaloni rossi, aspettavano l’ordine di andare a morire da eroi sotto le mura del castello dell’Imperatore. Un fortilizio dell’anno 1541, padiglione di Carlo V, vestigia di una sfortunata impresa di Andrea Doria, divenuto rocca bastionata ad opera di Uluç Alì Pascià, sovrastava la Casbah da una altura, aggrappato come un granchio sopra la rada di Algeri (Nota 1). La tozza fortezza era considerata imprendibile e nell’accampamento cristiano gli infingardi della truppa diffondevano la voce che sotto quelle mura il dey turco avrebbe sterminato gli infedeli.
Ma nessuno sapeva dove fosse quel maniero. Helas! Dopo la ricognizione spionistica di Boutin i francesi non avevano aggiornato la pianta del territorio di Algeri, mentre il luogo era molto trasformato negli ultimi vent’anni. Intorno al castello si erano costruite le ville di gran parte dei consoli europei, in un paesaggio rosso e verde. I cartografi sciorinavano i disegni del 1808 e sembrò loro facile, puntando l’ago della bussola, tracciare una freccia sulla mappa antica verso il punto dell’Imperatore. Le tre divisioni presero posizioni più avanzate, sotto il tiro degli arabi, che scendevano, saltando nei bianchi burnus, dalle colline, sparavano e sparivano lasciando feriti e morti. Ma gli stranieri erano entrati nel paese più affascinante del mondo. Così lo descrive Rozet: “Case magnifiche coprivano le coste e i fondi delle valli. La più bella vegetazione che si possa vedere si presentava. Ogni casa aveva un recinto di siepi nel quale esistevano fontane e pozzi. Gli aranceti, i fichi, le melagrane, le palme erano mischiate con alberi da frutta europei.” (Nota 2) Queste dovizie erano un invito al saccheggio per i soldati: vennero tagliate le piante dei giardini per far fuoco di notte e demolite le pareti delle case per scoprire qualche nascondiglio di preziosi. Durante una di queste imprese, i saccheggiatori furono sorpresi dai guerriglieri e ci lasciarono una trentina di vittime, tra cui fu ferito anche Amedée de Bourmont, figlio del generale in capo. Moribondo, fu trasportato all’ospedale di Sidi Ferruch. Suo padre inviò un dispaccio al presidente del Consiglio Polignac: “Un solo ufficiale è stato ferito nella battaglia del 24 giugno, assai pericolosamente; è il secondo dei miei quattro figli, che tutti mi hanno seguito in Africa. Spero che vivrà per continuare a servire devotamente il Re e la Patria.”
Lo stato maggiore dispose l’assedio al castello dell’Imperatore, posizionando 5 brigate. Altre 3 costituirono una catena di sorveglianza contro la cavalleria araba che galoppava lungo i quadrati della fanteria. Una brigata della divisione Loverdo era rimasta nella penisola di Sudi Ferruch come guarnigione dell’accampamento. Una delle brigate di rete assicurava la comunicazione con questo campo, il che comportava l’impiego di 82 carri e di 300 muli, per il trasporto di 30.000 razioni di pane e di riso, 15.000 litri di vino, 1.000 litri d’acquavite e 3.000 porzioni di foraggio. L’acqua si trovava abbondante nelle fontane e nei pozzi. Due brigate Loverdo si spostarono fino a quattrocento metri dalle mura, salutate dai cannoni turchi con una tale intensità di fuoco che, dopo due o tre ore di riparo in un burrone, divenne necessario ritirare i soldati immersi nel terreno che franava. Per quattro giorni, sotto il bombardamento, il bersagliamento della fucileria e l’audacia di qualche corpo a corpo, proseguirono i lavori di piazzamento degli uomini e delle batterie, con una perdita di 200 soldati francesi al giorno. Il comando di Bourmont era istallato nelle ville dei consoli di Olanda e di Spagna, e da lì partì un razzo, il 4 luglio all’alba, che ordinò l’aprite il fuoco. I cannonieri del dey tiravano dal forte dell’Imperatore, dal forte Bab Azzun e dalla Casbah.
![Carte_du_nord_de_l'Afrique_[...]Darmet_J_btv1b55011233p](https://leorugens.files.wordpress.com/2018/04/carte_du_nord_de_lafrique_-darmet_j_btv1b55011233p.jpeg?w=620)
Carte du nord de l’Afrique, comprenant les régences de Tunis, d’Alger et de Maroc, pour l’intelligence de l’expédition d’Alger… / par Darmet, 1830
Le batterie francesi eliminavano con precisione, ora per ora, i cannoni del castello dell’Imperatore e si riparavano dagli altri tiri. Nella rada, la squadra da guerra di Duperré manifestava la sua potenza facendo passare davanti al forte della costa, un bastimento alla volta, che scaricava le sue bombe, virava di tribordo e riprendeva il largo. L’ammiraglio dedicò agli abitanti di Algeri, affacciati alle terrazze, una grandinata di quattromila palle per far buchi nell’acqua. Quel giorno c’era da diventare sordi. L’eco delle valli ripeteva il frastuono degli scoppi che nessun temporale poteva eguagliare in intensità. Verso le sette il rumore si attenuò. Le batterie turche non sparavano più e le canne di bronzo erano coperte dal mucchio degli artiglieri morti. Alle 8 il fuoco del castello cessò, ma le bombe francesi seguitarono a demolire le mura fino alle 10, finché una esplosione gigantesca superò l’eruzione di un vulcano. Il castello sparì in una nuvola di fumo e di polvere. Dal cielo ricaddero le pietre e i soldati riuscirono, quando il velo calò, a vedere che la torre principale non esisteva più. Il colonnello Hurel della 3° divisione mandò i suoi uomini nella breccia; lo seguirono i fanti di Lahitte e di Valazé, che andarono a impadronirsi dei cannoni dei vinti. Uno dei soldati, impaziente di vedere la bandiera bianca dei borboni in alto, trovando tutto spianato, la issò in cima a una palma. Si apprese che il khaznadji della fortezza, avendo valutato che la metà dei suoi uomini erano caduti e che le mura crollavano aveva ordinato l’evacuazione e incaricato un suo sergente di accendere la miccia della polveriera, affinché l’esplosivo non cadesse in mano al nemico.
Alle due del pomeriggio, il capitano generale si recò a ispezionare il castello conquistato. I cannoni della Casbah e del forte Bab Azzun seguitavano a eruttare contro le rovine occupate. Bourmont notò una figuretta in abito rosso, accompagnata da un quartetto disarmato, che arrancava sul lastricato della antica strada romana. Fu avvertito che era il segretario del dey, il quale, saliva al castello come ministro plenipotenziario di Algeri per trattare la resa. Mustafà apparve sui mucchi di pietra e di calcinacci e si presentò allo stato maggiore. Era uno scherzo? Così finiva la guerra? In quel momento, una palla sibilò nell’aria e passò sulla testa del gruppo. Mustafà si gettò a terra e il generale Lahitte lo rialzò bruscamente dicendogli: “Parbleu, signore, di che vi preoccupate? Non è a voi che tirano.” (Nota 3) Dovettero tutti mettersi al riparo. La capitolazione di Algeri verrà celebrata come una impresa che non era riuscita neppure a Carlo V. Dopo la vittoria di Staoueli, che verrà considerata importante quanto quella di Austerlitz e dopo il crollo di un castello vetusto, all’ombra di un albero, in una piega del terreno, mentre gli uomini erano rintronati nell’udito, la cerimonia conclusiva avvenne alla sprovvista, priva di emozioni, salvo il ridicolo del segretario del dey, che tremava ancora. Il generale Desprées prese carta e penna e il generale Bourmont dettò: “Il forte della Casbah e tutti gli altri forti che dipendono da Algeri e la porta di questa città saranno rimesse alle truppe francesi il 5 luglio alle ore dieci del mattino (ora francese). Il generale in capo dell’armata francese si impegna verso S. A. il dey di Algeri di lasciarlo in libertà e in possesso delle sue ricchezze personali. Il dey sarà libero con la sua famiglia e le sue ricchezze in un luogo che stabilirà. Finché rimarrà in Algeri sarà, lui e la sua famiglia, sotto la protezione del generale in capo dell’armata francese. Una guardia garantirà la sicurezza della sua persona e quella della sua famiglia. Il generale in capo assicura ai soldati della milizia gli stessi vantaggi e la stessa protezione. L’esercizio della religione maomettana resterà libera; la libertà degli abitanti di tutte le classi, la loro religione, la loro proprietà, il loro commercio, la loro industria non riceverà alcuna limitazione. Le loro donne saranno rispettate; il generale in capo ne prende l’impegno d’onore. Lo scambio di questa convenzione sarà fatto il 5, prima delle ore 10 del mattino. Le truppe francesi entreranno subito dopo nella Casbah e in tutti gli altri forti della città.” (Nota 4)
Una copia del testo per il dey fu affidata a Bracevit, il decano degli interpreti, perché Mustafà aveva completamente perso il senno e sembrava non capire più quello che stava succedendo. Il messo raccontò quel che seguì in una lettera al presidente Polignac: “Essendo in una età molto avanzata, desideravo vivamente terminare la mia carriera in maniera onorevole e dare un segno luminoso alla mia devozione al migliore dei Re; la fortuna mi ha sorriso e mi ha procurato questa felicità. Dopo aver raccomandato la mia famiglia al generale in capo, nel caso in cui fossi vittima della mia devozione sono salito a cavallo alle sei della sera accompagnato solo da un turco e, con questo modesto corteo, sono entrato in Algeri e mi sono presentato al dey, che ho trovato circondato da più di cento dei suoi miliziani. Il momento era critico. Non del dey, ma piuttosto dei giannizzeri, che non ragionano e sono sempre pronti a rivoltarsi, che io avevo una giusta apprensione. Mentre leggevo ad alta voce le condizioni fatali che imponevamo loro, il dey restava impassibile; ma i miliziani non cessavano di lanciarmi degli sguardi spaventosi. Confesso che ci sono stati dei momenti in cui vedevo la mia testa rotolare, insieme a quella del dey stesso. Felicemente la Provvidenza aveva altrimenti ordinato. Dopo la lettura e la spiegazione degli articoli, il dey fece ritirare tutti quanti. Io sono rimasto in conferenza per circa trequarti d’ora, poi, nella notte che piombava, ho raggiunto gli avamposti francesi, che erano felici di rivedermi.” (Nota 5) Nel corso della notte ebbe svolgimento il divano dei turchi. Gli ulema convocarono i giannizzeri in una caserma. Duemila persone parteciparono a questo tumultuoso parlamento. Il gran mufti pose il quesito: arrendersi o tentare una sortita e rifugiarsi nelle terre interne? La maggioranza si pronunciò per la resa, perché bisognava salvaguardare le mogli, i figli e le proprietà che i francesi si erano impegnati a rispettare. Per cui cedettero e si rinchiusero nelle case. Già, perché non rotolò la testa del dey? Perché si ruppe la tradizione secolare dei pascià decapitati dai giannizzeri? Perché cadde senza combattere la città di Algeri? Si ruppe il picciolo e la mela cadde dal ramo per la forza scoperta da Newton. “Dove Carlo aveva fallito, Carlo X è riuscito. Domani, il nobile vessillo della Francia sventolerà sui muri di Algeri, invece della bandiera della pirateria.” Tali erano gli entusiasmi che circolavano nei bivacchi.
Pompeo De Angelis
Note
1. Pompeo De Angelis: “L’impresa di Orazio Nucola ternano nel Mediterraneo dei corsari all’epoca di Carlo V”. Terni 2014.
2. Claude Antoine Rezet: “Relation de la guerre d’Afrique pendant les annèes 1830et 1831” Paris 1834.
3. Claude Antoine Rezet: “Relation de la guerre d’Afrique pendant les annèes 1830 et 1831” Paris 1834
4. Testo riportato da Alfred Nettement in “ Histoire de la conquete d’Alger écrite sur des documents inedits et autentiques.” Lyon 1867.
5. Lettera indirizzata al principe di Polignac ministro degli esteri datata dal quartier generale di Algeri ,il 6 luglio 1830.,in Alfred Nettement: “Histoire de la conquete d’Alger écrite sur des documents …” Paris 1867
![Carte_de_la_Régence_d'Alger_[...]Bonhomme_(18_btv1b8492270h](https://leorugens.files.wordpress.com/2018/04/carte_de_la_recc81gence_dalger_-bonhomme_18_btv1b8492270h.jpeg?w=620)
Carte de la Régence d’Alger 1830. 30 Lieues Marines de 20 au degré [=0m. 046 ; 1 : 3 600 000 environ]. Bonhomme sculpt