Algeriade 11 – Pompeo De Angelis

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La presa di Algeri

All’alba del cinque luglio, gli squilli di tromba ordinarono all’armata la sveglia e l’adunata generale. Ogni reparto mise a posto l’uniforme e alzò le sue insegne. Le tre divisioni, salvo i reparti che custodivano il campo di Sidi Ferruch, si prepararono ad entrare trionfalmente in Algeri. Alle 11, l’esercito si mise in marcia attraverso la campagna coltivata a vigna, a frutteto e a orti, ornata di acacie, di palme, di agavi e di cactus. Vi erano sparse casupole bianche e residenze europee, quest’ultime con giardini. Il cielo era di una limpidezza estrema e un vento del sud scuoteva le chiome degli alberi e i pennacchi dei cappelli a tuba dei soldati. I francesi ammiravano e pensavano: “Bei fondi per i contadini di Bretagna.” Il muro perimetrale della città era di pietra bianca in contrasto con la terra rossa. Alla vista di Algeri, le fanfare delle varie squadre intonarono le canzonette marziali. Il coro cantava: “Ah! Quel plaisir d’étre soldat.” Oppure: “Batelier, dit Lisette, je voudrais passer l’eau.” Algeri la bellicosa cedeva alle trombe, senza combattere. La città aveva cinque porte: due sul fronte del mare, una sul lato est-terra, una sul lato ovest-terra e la quinta, detta Porta Nuova, all’altezza della Casbah. Le guarnigioni dei giannizzeri di guardia agli ingressi erano sparite. Le truppe d’invasione pretesero di entrare nella città affiancate per sei. Arrampicata sulla collina, con le strade strettissime, la antica urbanistica sciolse la parata in una fila di coppie. La popolazione araba appariva inchiodata contro il muro delle case e dei negozi, ogni edificio a porte chiuse. Coricati o seduti sui banchi di pietra gli abitanti non alzavano lo sguardo per vedere le belle divise che sfilavano. Tra le barbe, le bocche succhiavano pipe lunghe più di un metro. Il generale Pellissier mormorò: “I nostri soldati girano lo sguardo avido e curioso dappertutto, e si meravigliano che la loro presenza non meravigli nessuno.” (Nota 1)

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Per prima cosa furono occupate le stazioni della Marina e venne aperta la prigione (un vecchio edificio che era stato una cappella cattolica) liberando quelli che vi pativano. Le brigate si distribuirono nei posti assegnati. Non occuparono case private, ma i fanti stabilirono i loro bivacchi nelle piazze. Quelli fuori mura divennero occasione di commercio di volatili, di legumi, di uova con rivenditori del posto. Saltò presto il controllo di qualsiasi autorità, per cui ebbe luogo il saccheggio. I mori e gli ebrei vuotavano i magazzini del porto e il palazzo del dey alla Casbah. Quando Bourmont si recò con lo stato maggiore al vertice della collina, per stabilirvi il quartier generale, i razziatori fuggirono carichi di tappeti turchi, di cuscini di velluto francese, di stoffe di seta napoletana, di porcellane cinesi, di orologi a pendolo inglesi. Il 6 luglio, il vapore le Sphinx partì per Tolone con la notizia della presa di Algeri.

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Mentre gli ufficiali aspettavano la visita del dey Hussein, sorseggiando la limonata, alcuni ladroni praticavano un buco sul muro della zecca e prelevavano i lingotti delle monete al conio. Un cortigiano moro, che conosceva un po’ il francese e che si era insinuato tra i generali, notata l’incapacità dei nuovi capi francesi di tenere a freno i delinquenti, si permise di fare loro la predica: “Signori generali, sbarazzatevi dei giannizzeri turchi. Abituati a comandare da padroni non potranno mai consentire di vivere nell’ordine e nella sottomissione. I Mori sono timidi e li governerete senza pena, ma non accordate una piena confidenza ai loro discorsi; i buoni trattamenti li affezionano e li rendono docili e devoti; le persecuzioni ve li faranno perdere prontamente, perché si allontaneranno con i greggi portando le loro industrie fino alle più alte montagne, oppure passeranno negli stati di Tunisi. I kabili non hanno mai amato gli stranieri. Si detestano fra di loro: evitate una guerra contro questa popolazione. Non ne trarrete alcun vantaggio. Ma adoperate il piano da me costantemente seguito: divideteli e profittate delle loro liti. Quanto ai governanti delle tre province, cambiateli. Sarebbe, da parte vostra, una grande imprudenza mantenerli. Come turchi e come maomettani non possono che odiarvi. Vi raccomando soprattutto di stare in guardia con il bey di Titteri: è il più furbo e verrà a offrirsi. Vi prometterà di essere fedele, ma vi tradirà alla prima occasione. Il bey di Constantine è meno perfido e meno pericoloso. Il bey di Orano è un uomo onesto. La sua parola è sacra, ma da maomettano rigido, non consentirà a servirvi. È amato nella sua provincia. Il vostro interesse esige che lo allontaniate dal beylik.” (Nota 2)

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Bourmont cercò di dare una amministrazione al dominio e nominò un consiglio municipale composto di mori e di ebrei, presieduto da Ahmed Boudebah, un lestofante che lo aveva abbindolato, girandogli sempre intorno. A giustificazione della debolezza mentale del generale in capo, bisogna dire che il 7 luglio gli era morto suo figlio Amedée e che il dolore aveva distrutto ogni volere del vecchio capo. Quando apprese il lutto cadde svenuto sul pavimento, mentre Charles, il figlio cadetto, riempii la Casbah delle sua urla. Il generale in capo non si riprese più, si mise da canto e lasciò al generale Tholezè, sottocapo di stato maggiore, il governatorato di Algeri, e al cav. d’Aubignac il comando della polizia. Il signor Deval, che aveva vissuto l’ultima avventura africana a bordo del Provence, ottenne il ripristino del titolo e fu di nuovo console di Francia in Algeri.

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Cominciò la caccia al tesoro della Casbah. Con una strana sollecitudine, Deval scese a terra e corse negli appartamenti del viceré. Frugò nella confusione dei mobili e delle cianfrusaglie sparse ovunque, finché trovò un ventaglio. Lo prese e quello fu il suo tesoro, da riportare in Francia come souvenir della Bacriade. Hussein aveva consegnato al generale in capo Bourmont le chiavi dei sotterranei e il generale Tholezé, insieme al signor Dennée, intendente in capo dell’armata e al signor Firino, economo dell’esercito, effettuarono l’inventario delle ricchezze accumulate nei depositi. Risultarono 48.684.527 franchi in moneta metallica; 3.000.000 franchi in tessuti e in derrate alimentari; 4.000.000 franchi in fusti in bronzo d’artiglieria, per un totale di 55.684.427 franchi. I ragionieri calcolarono che le spese dell’armata erano pari a 25.000.000 franchi, che quelle per la marina raggiungevano i 23.500.000 franchi (totale: 48.500.000) per cui il guadagno netto della conquista consisteva in 7.184.527 franchi, a cui aggiungere 800 bocche da fuoco di minore valore, una immensa quantità di proiettili e di polvere da sparo, oltre le proprietà demaniali. La nave ammiraglia Provence decise infine di ancorarsi sotto le mura di Algeri, mentre la flotta incrociava tra la baia e Sidi Ferruch. Il contrammiraglio Deferreé sequestrò le navi che trovò nel porto, cioè sette golette e un gran numero di sciabecchi. Vuotò i magazzini, che contenevano una abbondanza di legname, di tela e di cordame.

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La fregata a vapore la Sphynx impiegò tre giorni a traversare il Mediterraneo e giunse a Tolone l’8 luglio portando la notizia he la Francia aveva una colonia.. Il barone d’Haussez, ministro della Marina, la mattina dopo, chiese udienza al re: “Mi precipitai alle Tuileries e vidi il re che avanzò verso di me tendendomi le braccia. Come mi inchinavo rispettosamente per prendergli la mano e baciarla. Oggi – mi disse – ci si abbraccia. E Sua Maestà mi strinse al suo cuore con effusione. Era, helas, l’ultimo momento di felicità che questo eccellente principe doveva provare.” (Nota 3) Pochi minuti dopo, il cannone degli Invalidi sparò la nuova gloria. Ad Algeri, il dey aveva radunato la sua famiglia e le sue ricchezze Era pronta la fregata Jeanne d’Arc, messa a disposizione da Deferrée, che l’avrebbe portato a Livorno, dove lo aspettavano i Bacri, famiglia di banchieri ebrei, sue vecchie conoscenze. Seguivano Hussein sessanta cortigiani e cinquanta donne, in gran parte nere: “Erano talmente avvolte nei loro veli che bisognava condurle per mano tra gli ostacoli del porto” Questo scrisse il signor di Montrond, capitano d’artiglieria, presente alla partenza, il 10 luglio.. (Nota 4) Il giorno dopo, lasciarono il porto circa tremila giannizzeri espulsi.

Pompeo De Angelis

Note

1. E. Pellissier de Reynaud: “Annales algeriennes”, Paris
2. Alfred Nettement: “Histoire de la conquete d’Alger ècrite sur des documntes inedits et autentiques, “ Paris 1867
3. M. de Mont Rond: Histoire de la conquete de l’Algerie de 1830 à 1847” Paris 1847.
4. Idem

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