Marcello Dell’Utri non solo mafia, non solo Opus Dei

berlu dell'utri

La mafiosità nuovamente dimostrata di Marcello Dell’Utri mi suggerisce necessariamente una riflessione sulla natura dell’altro mondo di riferimento valoriale dell’ideatore, organizzatore e dirigente primario di quella Publitalia, struttura affaristico imprenditoriale vera idrovora finanziaria  che ha consentito prima la nascita di Forza Italia e poi, per responsabilità degli uomini e delle donne organizzatesi in questa dimensione relazionale e associativa (questo è stata Forza Italia non avendo mai avuto le caratteristiche di un luogo di discussione culturale e politica), in oltre 25 anni, è accaduto in questo Paese. Mi riferisco all’Opus Dei di cui Marcello Dell’Utri è stato personaggio organico e alle sue prassi comportamentali utili al rapporto di tale organizzazione con il mondo del potere politico e finanziario.

Non solo quindi di una sola mafia (coppola e lupara annessesi sia pure in forme evolute) si tratta quando si parla di queste persone ma è doveroso approfondire i meccanismi segreti delle altre realtà a cui hanno scelto di appartenere. Mafia quindi ed Opus Dei nel caso di Marcello Dell’Utri. Per Berlusconi, a prova logica rafforzata anche dalla sentenza di ieri, Mafia e Massoneria.

Opusdei

Colgo l’occasione per ribadire che mai mi interesserei di in che cosa uno crede o meno, su questa terra o nell’aldilà, se queste persone, con una determinazione assoluta, non interferissero continuamente e parassitariamente negli affari dello Stato.

Gli uomini della Mafia tendono a governare a loro piacimento e per le loro finalità la Repubblica e in modo similare  i membri dell’Opus Dei tendono a condizionare le istituzioni repubblicane.

Nell’Opus Dei si percepisce, dicono quelli che l’hanno frequentata, ne sono stati affascinati ma ne sono usciti (e chi si dovrebbe ascoltare se non i dissociati o i disertori?) la scarsa comunicazione come prassi. Questo è stato per decenni, almeno fino a quando, pressati da questa violenta critica, i vertici non si sono piegati ad istituire un apposito ufficio. L’assenza di comunicazione ha alimentato per decenni l’alone di segretezza.

Come sapete in questo blog (in realtà  non solo quando facciamo i bloggers) abbiamo la massima attenzione per le fonti aperte, per la oro catalogazione e attendibilità. Non ci beviamo tutto quello che viene scritto ma certo, se i numeri sono quelli che trovate di seguito, un po’ di attenzione il fenomeno se lo merita. Parlo della segretezza.  La LexisNexis era un tempo (oggi non si usano questi livelli di specializzazione artigianale) la più completa fonte di dati in rete per quanto riguarda i quotidiani, le riviste e le agenzie di stampa di lingua inglese. Una ricerca in rete che combinò i termini “Opus Dei” e “segretezza”, circoscritta al periodo 2000 al 2004, fornì un totale di 575 voci, e ciò significò che un articolo ogni due giorni e mezzo, in un modo o nell’altro, contribuì a suscitare nell’opinione pubblica la certezza che  di un concetto di “segretezza”  collegato all’Opus Dei. Questo lo ripeto per quanto riguardava le sole pubblicazioni in inglese. Se si fosse potuto all’epoca aggiungere una ricerca attenta con dati per la stampa in francese, tedesco, spagnolo, italiano, portoghese non ci sarebbe stato giorno in cui nel mondo non si parlasse della “segretezza” dell’Opus. In un quadriennio (!), in qualunque parte del mondo qualcuno tacciò l’Opus di essere un’organizzazione segreta.Direi che non si tratta solo di cattiva immagine. Tornando al parallelismo con mafia non era responsabilità di una cattiva stampa o cinematografia se si parlava male della nostra Sicilia in cui i mafiosi comandavano. Vi ho parlato del periodo 2000-2004 ma per essere definitivo avrei dovuto fare cenno al fatto che per la prima volta al mondo che si parla in modo diffuso dell’Organizzazione ecclesiale, in lingua inglese, è sulla rivista Time che il 18 marzo 1957 (!!!!), dopo che tre membri dell’Opera erano diventati ministri del governo spagnolo del generale Francisco Franco, dedica un servizione. Il pezzo inaugura (1957) la definizione di massoni bianchi riferendosi ai membri dell’organizzazione. Questo negli USA terra dove non si da a qualcuno del massone per insultarlo.

Tornando a ciò che percepiscono quelli che l’hanno frequentata senza superficialità, l’allarme scatta anche nell’ascolto delle conversazioni che intercorrevano tra profani e affiliati per il riscontro dell’enfasi zelante su quello che rendeva diversa l’Opus Dei dal resto della Chiesa e del Mondo, tanto da suggerire l’idea di una “Chiesa dentro la Chiesa”, rimuovendo del tutto quello che univa. La percezione di una organizzazione settaria era/è data inoltre da una devozione al messaggio del fondatore Josémarìa Escrivà de Balaguer sulla santificazione del lavoro e della filiazione di tale attività addirittura facendola risalire a Dio stesso, facendo apparire i membri certamente associati come dei dogmatici ipovedenti se non ciechi. Questi comportamenti da soldati ubbidienti si accompagna sempre a una difesa reazionaria a qualunque evoluzione pensata della Chiesa e delle sue guide spirituali. Quasi un tradizionalismo organizzato ad oltranza perché nulla cambi nella gestione del sentire profondo e dubbioso dell’uomo, lasciato tutto a interessarsi del potere che deriva dal lavoro e dall’arricchimento smodato che alcuni lavori/professioni producono. Questa passione per il lavoro tanto forte da divenire lei stessa un fine mi hanno sempre dato la netta sensazione di trovarmi di fronte ad una ricerca permanente di ricchezze mondane (e di potere) e non di amore per il prossimo, lasciato scientemente ultimo. Un po’ (quando ci fosse) di ipocrita elemosina e viceversa potere, potere, potere.

Tutto nell’Opus tende a farla l’anello di congiunzione con le istituzioni repubblicane (dove c’è la Repubblica) fino a divenire lei stessa il Potere. Mondano e finanziario soprattutto. Come avviene per una certa massoneria e negli intendimenti delle mafie.

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Queste sottolineature per evitare di perdere memoria quando le sentenze come tali dovrebbero servire al fine opposto: il quadro sinottico (avvenimenti e persone) devono accompagnarci nella consapevole comprensione dei moventi e nella individuazione dei personaggi che agiscono contro gli interessi della comunità a cui alcuni formalmente hanno anche giurato. Quando si ha modo di assistere (o ascoltare o leggere verbali di ascolti ottenuti tecnologicamente) a conversazioni  inerenti il potere e la spartizione dei posti dove bulli e pupe ritengono un proprio diritto arricchirsi e arrogantemente appropriarsi come “cosa propria” di ciò che è vostro, è straziante, da parte degli addetti ai lavori (alcuni millantano ma altri sanno bene come stanno le cose), continuamente sentire fare riferimento a quella o a quell’altra banda di appartenenza, conventicola, loggia, mafia senza mai sentire fare riferimento allo Stato Repubblicano.

Quando si ragiona di classe dirigente o di come si possa mettere mano ad un reale avvicendamento per favorire la fine di tutto questo schifo troppo spesso (se non sempre) si sente ridurre tutto ad uno sconfortante “questo è dell’Opus, questo è legato ai calabresi ‘ndraghetisti, quell’altro è di CL, quello pippa, quello gioca, a quell’altro piace la tale perversione sessuale”. Tagliare i fili con l’illecito e con le troppe ipotesi divergenti dagli interessi della comunità, è cosa da specialisti ma a cui si deve mettere mano con la spinta del nuovo Parlamento o le appassionate ed anche oneste dichiarazioni di volontà di cambiamento potrebbero finire nel nulla. Usando come esempio l’anello di congiunzione della figura ormai stereotipata (ma reale e paradigmatica) di Marcello Dell’Utri, vediamo di mettere le mani, con robuste cesoie, al taglio dei rizomi segreti che alla fine dissanguano la Repubblica, non solo in termini di risorse finanziarie. Oggi abbiamo fatto, come promesso in altra sede, un primo accenno all’OPUS ma è nostra intenzione nella marginalità di cui siamo consapevoli, proseguire su questo “cammino” oggi intrapreso.

Oreste Grani/Leo Rugens

 

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la Redazione