In molti si sorprendono del dialogo in essere tra le Coree. Non noi!

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Non certo dalle parti della tana del Leone Ruggente e delle sue leonesse Dionisia, Zlabya e del giovane leone Godot.

Se avete piacere, leggete quanto abbiamo in questi anni scritto, sempre dichiarando che era in essere una sostanziale trattativa tra i veri protagonisti della vicenda e cioè i rappresentanti dei due servizi segreti coreani, nord e sud, che non avevano certo bisogno di interferenze/suggerimenti cinesi, tantomeno statunitensi. E per saperlo bastava chiederlo, con le dovute maniere, a Giancarlo Elia Valori, Antonio Razzi o in ultimo, ma non ultimo, a Leo Rugens. O, banalmente, far funzionare un po’ il cervello e lavorare per analogie e riferimenti di quella che noi, nella nostra semplicità, ininfluenza e marginalità, chiamiamo intelligence culturale.

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La Redazione

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DOSSIER PRE-VISONE SULLA UNIFICAZIONE DELLE DUE COREE. BRAVINO QUESTO LEO RUGENS

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La memoria, troverete scritto in un post di prossima pubblicazione, è un problema centrale nelle ricerche sul cervello (a tal proposito vi chiedo la cortesia di ricordate cosa ebbe a dire, il 23 marzo 2013, nel suo intervento durante il Convegno “Lo Stato intelligente”, Emanuela Bambara, a proposito del cervello, della testa e di chi dovesse guidare/controllare l’Intelligence in un Paese democratico), problema la cui soluzione è indispensabile per spiegare misteri ancor più fitti, come la natura della percezione e del pensiero. “Tutto ciò che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato”, si legge nel testo buddista, il Dhammapadia. Non solo quindi si è i panini di Mac Donald, se quelli si sono mangiati, ma quello che si è letto, studiato, interiorizzato, elaborato in scuole appositamente pensate. Difficile, diversamente, avere un DNA  come quello di Antonio Razzi o, più modestamente, come quello del vostro Leone Ruggente. Che con il 2018 è ormai vittima di un delirio egocentrico. Tipo Marchese del Grillo (non Beppe) dove la sintesi era: io son io e voi non siete un cazzo!

Oreste Grani/Leo Rugens


GUERRE VICINE, GUERRE LONTANE: L’AMATA SIRIA E LA MISTERIOSA COREA!

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Dichiarava, lapidariamente, anni addietro, dalle pagine di Limes, il generale Fabio Mini:

Sessanta anni di confronto militare hanno reso ogni ipotesi di conflitto armato in Corea un gioco a somma zero, senza vinti né vincitori. La geografia degli eserciti e il peso del fattore nucleare vanno in questa direzione“.

A noi interessa, nella nostra semplicità di analisi (noi, ad esempio, a differenza del senatore Antonio Razzi, non siamo mai stati nella “terra dei tre regni”), evitando di considerare semplicisticamente la Corea del Nord l’ultima dittatura stalinista della storia, osservare un luogo dove si coltiva/venera, sia a Nord che a Sud, il nazionalismo. E che nazionalismo! Sia a Nord che a Sud. E questa del nazionalismo che mi appare la cifra più interessante della realtà geopolitica paradossale divisa lungo il 38° parallelo. Per cui, rivendicando di essere stato, con altri intelligentoni (non io, ma loro sì) uno che nel 1979 (dieci anni prima che accadesse) lavorava a cosa sarebbe successo se si fosse riunificata improvvisamente e inaspettatamente la Germania, oggi, basandomi semplicemente sul fatto che ieri, nel pieno di una situazione che chiunque definirebbe tesa, si sono sfidate le nazionali femminili di hockey sul ghiaccio delle due Coree, lancio l’ipotesi che, in realtà, sofisticate diplomazie (esclusivamente e segretamente coreane) stanno lavorando per riunificare la Corea, senza più nord e sud ma semplicemente la Repubblica dei Tre Regni che torna. All’epoca della Germania divisa, noi ci basammo sul fatto che pur di assistere a concerti rock, giovani tedeschi della DDR, uscivano clandestinamente dal paese comunista, rischiando la prigione se non la vita. Qualcuno questa partita di hockey sul ghiaccio (ambiente metaforicamente da sgelare, quindi!), in vista delle Olimpiadi Invernali del 2018, deve pur averla pensata e poi organizzata?

Io mi porrei il problema quindi se non abbia ragione un bizzarro come Razzi piuttosto che un bullo come Trump.

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Entrambi sono ignoranti di molte cose, entrambi hanno delle capigliature che si fanno notare, ma uno (il nostro) si muove con una dose di realismo che nasconde qualcosa di veramente intrigante.

Bisognerebbe sapere se al Sud, in Corea, sono razzisti come lo sono al Nord perché, comunisti, al Nord, non sono mai stati. Razzisti, invece, certamente sì, tanto da ritenere che la razza coreana abbia addirittura, sulle altre, una superiorità morale.

Nella costituzione del Nord non è mai pronunciata la parola comunista. C’era, ma è stata, da molti anni, cancellata. Razzisti/nazionalisti a Nord e potrebbero esserlo anche a Sud.

La questione del benessere (di decine e decine di volte il PIL del Sud supera quello del Nord dove, lo sapete, si vive con la cinghia tiratissima) è certamente un problema, ma ci deve essere un segreto che ci sfugge, se la dittatura nordista riesce a tenere sotto controllo una popolazione di 20 milioni di abitanti con una frontiera lunghissima per essere resa invalicabile.

I lanci di missili non fanno più vittime nel Sud, come facevano un tempo. Appaiono (oltre che dei test tecnologici) solo dei pernacchi (ultra sonori) agli americani e servono a ribadire che è opportuno trattarli da “tigri di carta”. Li trattano, infatti, come se sapessero che, in realtà, gli USA hanno “paura” della Corea del Nord.

Ecco cosa c’è in gioco ora che il manovrabile/suggestionabile Trump ha vinto le elezioni e può, se lo volesse, scatenare l’inferno.

A Nord, in queste ore, dopo l’attacco USA in Siria, si dice semplicemente che l’atomica coreana si giustifica e come.

Meno “autistici” di come – a volte – sembrano. Nazionalisti e non comunisti quindi e pronti a lanciare messaggi di facile lettura ai compatrioti che vivono a Sud. Ai giovani soprattutto.

Vista la pochezza culturale dimostrata in Vietnam, in Afganistan, in Iraq, nei Balcani, in Libia, in Siria, in tutto il Corno d’Africa e ovunque hanno messo il naso o gli stivali, gli americani (scusandomi per la semplificazione), anche nel caso della Corea, farebbero solo danni se attaccassero.

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La Corea del Nord potrebbe anche essere l’esca/miccia di una operazione di vera destabilizzazione di tutto il nord-est asiatico ma per trovare il coraggio politico e militare necessario a questa scelta non basta neanche un “pronto a tutto” come Donald Trump.

L’attacco potrebbe scatenare l’inferno e non sappiamo se dall’Inferno – questa volta – è previsto il ritorno.

La Cina ha una sua agenda, passatemi l’ipotesi catastrofica, per conquistare il mondo e non credo che sia pronta, da domani, al grande passo.

Per cui, per ora, le Coree viaggiano, paradossalmente, verso l’unificazione. Strisciante, a sussulti ma intravedo una possibile deriva unificante per le due Coree che sono connotate, come ho detto, da secoli di patriottismo e da forme di razzismo culturale che, alla fine, potrebbero prevalere su chi trama perché rimangano divise. E in quanto divise, deboli e funzionali al disegno, sia della Cina che degli USA. Ma non di una Russia che fosse veramente ambiziosa.

Comunque, difficile non sbagliare se si sa poco, storicamente e culturalmente, di quelle terre.

Meglio, con prudenza, chiedere ad Antonio Razzi.

Oreste Grani/Leo Rugens


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HA VINTO MOON JAE-IN.

ABBASSO IL 38° PARALLELO E VIVA ANTONIO RAZZI

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In Corea del Sud con la vittoria nettissima di Moon Jae-in, fautore del dialogo con il Nord guerrafondaio, si fa strada l’ipotesi che in solitudine abbiamo provato ad evidenziare dell’unificazione delle due Coree. Altro che bombe atomiche! Vorrei vedere la faccia (e il portafoglio) di molti se scoppiasse la Pace?

Come al solito, chi si loda si imbroda. E questo noi facciamo non essendoci rimasto altro da fare, vecchio e dalla mano tremula come mi avete ridotto.

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Rileggete e dateci una piccola soddisfazione perché la rimozione, dopo 68 anni, di quella stronzata del 38° parallelo, potrebbe essere, improvvisamente, all’ordine del giorno. E siccome, come sapete, la politica estera è tutto …viva Antonio Razzi, che ci vede lungo più di tante rape nostrane. Ma non di noi che lo avevamo cominciato a scrivere.

Oreste Grani/Leo Rugens

LA COREA DEL NORD È CIÒ CHE È! QUELLA DEL SUD POTREBBE ESSERE PEGGIO! UNIFICATE?

GUERRE VICINE, GUERRE LONTANE: L’AMATA SIRIA E LA MISTERIOSA COREA!

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LA COREA DEL NORD È CIÒ CHE È!

QUELLA DEL SUD POTREBBE ESSERE PEGGIO! UNIFICATE?

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Chissà se, richiesto, il vostro beniamino (di alcuni di voi certamente) Donald Trump, sa dire cosa voglia dire Chôson, in coreano? Chissà se prima di radere al suolo il Nord di quella penisola (il Nord storicamente da quelle parti ha sempre avuto peso maggiore del Sud) qualcuno, alla Casa Bianca, è in grado di dire al Presidente che Chôson vuol dire “calmo mattino” e che le città su cui vuole sganciare le super bombe sono state mediamente fondata nel 2300 a.C. e che ad oggi la capitale Pyongyang non solo conta ben 4.350 anni dalla fondazione, ma, come si dice, da quelle parti ha visto passare molta acqua sotto i ponti. Immaginate che i discendenti dei coreani, deportati in Kazakhstan da Stalin (non Trumpino il biondino) nel 1937 perché rompevano il cazzo al dittatore sovietico (scusate la semplificazione), ancora non si sono integrati dalle parti di Astana e, pur non parlando più coreano, non si sentono kazaki manco morti. Gente super tosta che, come mi sono premurato di dire in altro post, è venata da un profondo razzismo etico che li fa ritenere una “razza superiore”.

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Comunque, non siamo di fronte ad una popolazione di indole remissiva. Non si piegheranno. Così come non si piegheranno gli Afghani, soprattutto dopo il super bombone. Così come non si piegarono i vietnamiti che, alla fine, li fecero scappare i superficiali e incolti statunitensi. Cazzuti gli scontri di civiltà in essere su troppi fronti aperti contemporaneamente. E in questi casi è proprio opportuno chiamarli “scontri di civiltà”. Giovane la cultura statunitense (trecento anni, a mala pena, se vogliamo contare proprio tutto) per misurarsi con gli eredi dei Tre Regni, solo attraverso la vetrina contrapposta dello stile di vita che è stato imposto intorno alla città di Seul. Certamente un provincialotto come Leo ne sa troppo poco per aver ragione quando considera fragile la posizione americana, nel medio e lungo termine.  Ma questo penso e questo scrivo.

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Nella Corea del Sud si è passati da una condizione disperante di povertà (parlo del Sud e non del Nord che oggi vive le carestie e la cinghia tiratissima) degli anni ’60 dove la gente viveva con poco più di cento dollari l’anno, ad essere una potenza mondiale. Si dice che sia stato l’assoluto allineamento con gli USA (una vera dependance economica e finanziaria) a favorire questa crescita esponenziale. In Corea del Sud c’è un liberalismo spregiudicato come in nessun paese al mondo (sempre l’ignorantone che parla) tanto che si può essere licenziati dai posti di lavoro non solo senza alcuna giustificazione ma tecnologicamente via sms. A Nord ti possono licenziare dal Governo legandoti sulla bocca di un cannone e poi boom ma a Sud  dilaga lo stress da competizione alimentato da un arrivismo incondizionato; a Sud c’è una diffusa violenza scolastica (non di mini bulli ma di maxi bulloni); sempre a Sud c’è un aumento esponenziale dei suicidi e dei divorzi e di morti in campo produttivo non solo determinati da “banali incidenti” ma da veri e propri schianti da superlavoro; a Sud si arriva all’emigrazione non determinata da bisogni di maggior guadagno ma dalla necessità/volontà di chiamarsi fuori da un vero e proprio girone infernale. Oggi Seul è una delle città più care del mondo; in Corea del Sud le tasse universitarie sono le più alte del Pianeta, alla pari con quelle statunitensi e giapponesi. La Corea del Sud è ricca, ma appare dentro uno strano vicolo cieco che potrebbe divenire un boomerang se la questione della “nazione coreana” dovesse di colpo prevalere su tutto.

Non si sa, quindi, cosa, attaccando il Nord, gli USA stanno evocando. Oltre che lo spettro della guerra fine di mondo.

Oreste Grani/Leo Rugens

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IL DIALOGO TRA LE COREE È CONGELATO?

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Ho voglia di raccontare una storia che forse non dice niente a nessuno o, viceversa, suggerisce a qualcuno dei tanti ferrati analisti geopolitici uno spunto di riflessione e l’opportunità di fare una previsione più unica che rara: alla fine, cioè tra non troppo tempo, la situazione nelle due Coree, quando sembrerà vicina la catastrofe, assumerà una forma di “buon senso” e la riunificazione comincerà a farsi strada. La storia comincia qualche anno addietro (diciamo intorno al 1971) quando la Repubblica popolare democratica coreana (Rpdc) a nord e la Repubblica di Corea (RDC) a sud, appoggiate e spinte a tali comportamenti da garanzie fornite dalle grandi potenze, all’epoca dei fatti, rivali (ed ora?), avevano già tenuto un atteggiamento inalterato di reciproca ostilità, da oltre 25 anni.

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A partire dalla metà del 1971 però, si avvertirono (o meglio solo gli osservatori più attenti e informati se ne accorsero) i primi tentativi sulla strada del disgelo, in quel momento apparentemente favoriti dall’evoluzione delle relazioni diplomatiche cinoamericane, ma soprattutto incoraggiati da considerazioni interne fatte da entrambe le parti. I primi contatti diretti si ebbero nel settembre del 1971 tra la Croce Rossa (che all’epoca esisteva) della Rpdc e quella della Rdc su richiesta di quest’ultima che propose la riunificazione delle famiglie divise. Da una cosa si dice che, sia pur con la lentezza tipica di quelle tradizioni culturali, non abbia mai cessato di nascerne un’altra e un’altra ancora. E questa è la mia tesi, in realtà completamente inventata e senza altra verifica se non quanto deduco dagli ammiccamenti e dalle mezze ammissioni del sen. Antonio Razzi. Mi sembra un po’ poco per darmi retta. La mia tesi giocarellona (anzi, un po’ cazzarona) è che da quando il 2 maggio del 1972 Yi Hu-rak, Direttore del Servizio segreto centrale di Seul e probabilmente all’epoca il personaggio più potente nella Rdc dopo il Presidente Park Chung-hee, si era recato in segreto (e quando dico segreto dico segreto!) a Pyongyang per incontrare Kim Yong-chu, direttore a sua volta del Dipartimento per il coordinamento organizzativo e fratello minore del Presidente Kim Il-sung, il filo rosso della riunificazione, non si è mai realmente spezzato. Dico che di padre in figlio, di zio/nonno in nipote la storia di questi contatti segreti non è mai stata scritta (altrimenti che segreto sarebbe) ma che secondo la mia fantasia non solo non sono mai cessati ma hanno come vero tema il principio della unificazione, improvvisamente ottenuta in modo pacifico ma soprattutto senza ingerenze straniere. Questa questione delle ingerenze straniere è il nodo gordiano da “tagliare” essendo alcune élite delle parti convinte di essere strumentalmente tenute in una condizione di verbale o militare contrapposizione ma in una condizione sostanziale di sudditanza e contro l’interesse del popolo coreano. A Nord come a Sud.

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La mia farneticazione arriva a ritenere che esista un comitato congiunto riservatissimo che, da oltre 45 anni, studia come fare a fare la sorpresa ai tutori/alimentatori di questa ostilità infinita. Se lo conoscessi di persona spingerei – con parole opportune e lusinghe in denaro – Antonio Razzi a dirvi che non mi sbaglio e che, oltre all’ipotesi di un conflitto violento, sono emersi altri equilibri possibili basati sullo sviluppo economico e sociale e su una qualche coesione politica. Soluzione che solo alcuni ambienti illuminati coreani vagheggiano. Esiste un modello di sviluppo economico ipotizzabile dopo la eventuale unificazione che non farebbe dormire sonni tranquilli a non poche realtà capitalistiche giapponesi, statunitensi, russe. Meno quelle cinesi che per osmosi si relazionano con le due Coree. Con tutte e due. Perfino culturalmente. Le due Coree hanno saputo superare prove terribili in questi decenni, messe l’una contro l’altra volutamente. Se si riunificassero con alla base di tale processo culturale un popolo caparbio e “razzista” come pochi l’effetto esponenziale di questa soluzione cambierebbe la geopolitica del Mondo. Una unificazione della Germania “alla seconda”, se non “alla terza”.

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Il bello della rete è che non mi costa nulla sostenere una tesi così fantapolitica. Il divertente, in termini di leggende e pathos spionistico, è che mentre questi contatti avvenivano tale Nyo Shin Sun (alias Li Son Sil), bella quarantenne dirigente del servizio segreto militare Nord Coreano, per disposizione personale di Kim Il Sung si trasferisce nella corea del Sud per arruolare decine di agenti segreti. La signora era talmente importante che alla morte del dittatore viene “adottata” dal figlio Kim Jong. Perché, dovete capirlo, queste cose, da quelle parti, si fanno di padre in figlio o, al massimo, da zio a nipote o da nonno a nipote.  La bella e audace Mata Hari del Sud Est asiatico e la sua “orchestra rossa” fece tremare Seul e quindi gli americani e i giapponesi. Mentre la signora (sia pur non presente a Pyongyang) scala le posizioni della gerarchia comunista della Corea del Nord, a qualcuno questa cosa del doppio livello e del doppio gioco non deve essere piaciuta per cui la rete spionistica di Shin Sun Nyo viene smantellata. Le autorità del Sud, ricevute le giuste soffiate, arrestano decine di agenti segreti. Il direttore dell’Intelligence sud coreana dell’epoca, Jung Hyung Kun conferma che la signora aveva strutturato una rizomica rete di non meno di 400 agenti.  Ma è qui che le cose si fanno ancora più difficili da essere interpretate perché la bella signora riesce a riparare a Nord e la scoperta di una tale rete non si capì mai a chi fosse dovuta. Rimane che troppi non vogliono ciclicamente che le Coree si unificano. E anche queste storie lo confermano. La normalizzazione delle relazioni passa prima di tutto per un clima di reciproca fiducia.

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La signora, pupilla di Kim Il Sung, era del 1922: chissà se è ancora viva e se ha voglia (e la possibilità) di raccontare come andò quella volta.

Storie minori che spesso mi invento di sana pianta ma in modo da sembrare verosimili. Lo faccio, in realtà, per voi, per continuare a farvi esercitare su cose vere, false o autentiche.

Oreste Grani/Leo Rugens

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