“Tutto ciò che è inutile è significativo” soprattutto se si nasconde tra i cespugli
16 novembre 2016 Ancona
Giovanni Spinosa è il nuovo presidente del Tribunale
Molisano, sessantadue anni, arriva da Teramo dove ha ricoperto lo stesso incarico con risultati eccellenti.In magistratura da 25 anni Spinosa, da pubblico ministero a Bologna, si occupò delle indagini sulla Banda della Uno bianca. È stato presidente di sezione penale in Calabria, giudice istruttore penale e componente della Direzione distrettuale antimafia a Bologna. […]
Giovanni Spinosa ha all’attivo vent’anni di servizio negli uffici giudiziari bolognesi, diciassette dei quali da pm, e un incarico come presidente della sezione penale del Tribunale di Paola (Cosenza), dove ha firmato la prima sentenza con cui una cosca di mafia – clan Muto – è stata condannata al risarcimento del danno in favore dello Stato per la lesione della sovranità statale sul territorio oggetto dell’occupazione mafiosa.
In magistratura dall’81, da giudice istruttore prima e da pm dopo, ha diretto le indagini sui sequestri di persona a opera dell’Anonima sarda avvenuti in Emilia Romagna nella seconda metà degli anni Ottanta.
Nelle stesse vesti e in stretta collaborazione con lo storico ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, ha svolto le prime indagini sulle associazioni mafiose legate ai Corleonesi insediatesi a Bologna e in Romagna a partire dal 1984: indagine su Salvatore Rizzuto, uomo d’onore legato a Pippo Calò; passando per il clan Rubino (1987-1988), fino all’inchiesta sulle bische che ha coinvolto Giacomo Riina, zio del più noto Totò, e Livio Collina (1990-1994). Si è inoltre occupato di diverse inchieste sulla ’ndrangheta, sulla stidda, sul doping nel ciclismo e sulla revoca della scorta a Marco Biagi, assassinato nel 2002 dalle Brigate rosse.
È stato titolare dell’indagine sui crimini della Uno bianca, consumati in Emilia Romagna tra il 1987 e il 1994. Nel 2012, ha pubblicato per Chiarelettere “L’Italia della Uno bianca“.
La storia della “Uno bianca” è uno dei misteri italiani, o meglio è una storia che non si vuole raccontare, come dimostra ampiamente Giovanni Spinosa nel suo saggio dedicato alla vicenda.
Non volendo né potendo entrare nel merito, da lettori e da curiosi, vogliamo evidenziare per i nostri lettori alcuni particolari che ci hanno colpito nella ricostruzione della vicenda.
L’autore, a nostro avviso molto intelligentemente, per fare luce sulla complessità dei delitti a fronte delle sentenze a suo parere incongruenti rispetto alla mole di riscontri e di bugie dei protagonisti o di semplici comparse, ricorre alla teoria evoluzionistica elaborata da Ernst Mayr che concentra l’attenzione dei biologi sulla speciazione allopatrica, meccanismo secondo cui “nuove specie hanno origine per isolamento di piccole popolazioni locali situate verso i margini dell’area di distribuzione geografica della specie” (G. Pinna, Paleontologia ed evoluzione), teoria elaborata successivamente da Niles Eldredge e Stephen Jay Gould, risalente al 1972, i quali parlavano di “equilibri punteggiati”.
L’evoluzione criminale della Uno bianca
L’evoluzione delle specie viventi, che è il più grande spettacolo del creato, e l’evoluzione della «banda Savi», che è la più inimmaginabile manifestazione dalla malvagità umana, non hanno nulla in comune fra loro. Tuttavia, la conoscenza delle teorie evoluzionistiche aiuta a capire i percorsi attraverso i quali ciò che esiste si trasforma e, dopo un periodo più o meno lungo, diviene qualcosa di uguale e contemporaneamente diverso da ciò che era prima. Il lettore mi consenta per questo una breve digressione sui modelli evoluzionisti. Quando nei libri di scuola si iniziò a parlare di evoluzionismo s’insegnava un percorso lineare che, partendo dalle scimmie antropomorfe, arrivava all’homo sapiens e, quindi, all’homo sapiens sapiens. Gli studiosi hanno approfondito le ricerche e hanno scoperto che sono esistite varie specie di australopitecine, varie specie di ominidi e varie specie di homo sapiens.
Questo nuovo modello evolutivo, definito a intermittenza, è simboleggiato dal cespuglio che sta a indicare come, da un lontano tronco comune, si siano formati vari arbusti.
Nel modello evolutivo lineare ogni specie adegua alle necessità ambientali le caratteristiche genetiche della precedente e la sostituisce. Secondo il modello evolutivo a intermittenza la nuova specie si forma in base a processi che gli studiosi chiamano di deriva genetica, determinati da fattori genetici fortuiti, ambientali o di contaminazione con altre specie, che riguardano solo una parte della popolazione della specie.
Nel modello evolutivo lineare la nuova specie comincia a esistere dal momento in cui la precedente cessa di farlo. Nel modello evolutivo a intermittenza le varie specie convivono e, per periodi più o meno lunghi, seguono linee evolutive parallele.
Dai caselli autostradali alle rapine in banca: modello evolutivo lineare?
Le prime 11 imprese criminali dei fratelli Savi, fino al 5 settembre 1987, sono tutte rapine ai caselli autostradali; le ultime 20, a cominciare dal 25 novembre 1991, sono tutte rapine in banca. Nessuna rapina in banca è stata commessa prima del 25 novembre 1991 e nessun delitto diverso è stato commesso dopo. Gli stessi omicidi e ferimenti che sono stati consumati dopo il 25 novembre 1991 sono stati commessi in occasione di rapine in banca.
Se fermassimo qui la nostra attenzione non potremmo avere molti dubbi sulla tipologia di evoluzione della banda Savi e parleremmo senza alcun dubbio di un modello evolutivo lineare.
D’altra parte, le rapine ai caselli autostradali non cessarono il 5 settembre 1987, ma continuarono fino al 25 aprile 1991, ovvero fino a pochi mesi prima del debutto dei Savi nella nuova specializzazione criminale.
L’evoluzione secondo il modello evolutivo lineare è coerente con il concetto di «impresa criminale a natura familiare». L’ottimizzazione delle caratteristiche della banda Savi rispetto alle proprie finalità imprenditoriali è evidente. Il fine ultimo di ogni impresa è il profitto, e i Savi hanno sempre detto di aver agito solo per motivi di lucro.
È sufficiente una rapida addizione delle somme rapinate. In 20 rapine in banca, i Savi si sono impossessati della complessiva somma di 1.410.891.041 di lire con una media di 70.544.552 di lire per rapina; nelle precedenti 62 vicende criminali avevano rapinato la somma di 517.180.800 di lire, con una media di 8.341.625 di lire per vicenda criminosa.
Tutto sembrerebbe, quindi, dare ragione al modello evolutivo lineare e con esso alla logica dell’«impresa criminale a natura familiare», in cui la specie (ovvero la banda Savi) adegua le proprie caratteristiche genetiche (affina le proprie capacità operative) alle finalità di lucro connaturate alla sua stessa attività imprenditoriale.
Violenza immotivata
La reiterata e smodata violenza, spesso sfociata in omicidi e ferimenti, rappresenta il carattere genetico nuovo entrato nel Dna dei Savi rapinatori di banche. Era un carattere assente nei Savi rapinatori di caselli autostradali.
Tuttavia, nel modello evolutivo lineare, le mutazioni genetiche (le modifiche delle modalità operative) sono sempre funzionali allo scopo (non sono mai fortuite, come, viceversa, può accadere nel modello evolutivo a intermittenza). Nel modello evolutivo lineare si acquisiscono caratteristiche genetiche utili e si perdono quelle superflue.
La violenza usata dai Savi nel corso delle rapine in banca non era funzionale allo scopo. Era gratuita e, come tale, nella cinica ottica della funzionalità evolutiva, era inutile. Gli omicidi venivano commessi in occasione delle rapine e non in funzione o in conseguenza delle stesse.
Nel brutale linguaggio di polizia, quando si analizza una rapina o l’imputato confessa una rapina in cui è stata ammazzata una persona presente, il gergo utilizzato è più o meno il seguente: «Facevano la rapina e c’è scappato il morto».
Questa rappresentazione dei fatti, pur nel suo cinismo, ha il pregio di fotografare quello che normalmente avviene nelle rapine in cui i rapinatori sparano e ammazzano.
Nel caso dei banditi della Uno bianca, non è un linguaggio adeguato; venivano uccise persone occasionalmente capitate sulla loro strada; talvolta, addirittura, cercate.
Non si tratta quindi di un orrido affinamento delle tecniche delinquenziali nell’esecuzione della rapina (acquisizione di nuovi caratteri genetici funzionali alla linea evolutiva). Sono caratteristiche criminali che prescindono dalla finalità della specie: il lucro, inteso come finalità fisiologicamente connessa con l’impresa criminale.
Sono state acquisite dai Savi solo nel corso degli anni; nelle prime nove imprese criminali (tutte rapine ai caselli) i Savi non avevano mai sparato.
Rapine ai distributori di benzina e sparatorie gratuite
Le rapine ai distributori di benzina (da non confondersi con le rapine ai caselli autostradali) costituiscono il prodromo genetico delle rapine in banca con eventi omicidiari.
L’omicidio Pasqui (27 dicembre 1990), l’omicidio Bonfiglioli (20 aprile 1991), l’omicidio Mirri (19 giugno 1991) furono tutti consumati in occasione (e si ribadisce «in occasione» in luogo dei termini «in funzione» o «in conseguenza») di rapine ai distributori di benzina.
La stagione delle rapine ai distributori di benzina (11 agosto 1990-25 giugno 1991) si differenzia da quella della stagione delle rapine in banca, perché contemporaneamente alle prime venivano commesse altre tipologie di delitti.
La banda Savi ha continuato a rapinare, in modo incruento, dei caselli autostradali; sono state accertate giudizialmente due rapine ai caselli che seguono (o precedono) di pochi giorni altrettante rapine a distributori di benzina con esiti cruenti (9 agosto 1990-11 agosto 1990 e 25 aprile 1991-20 aprile 1991).
Nello stesso periodo i Savi hanno rapinato tabaccherie (con il drammatico omicidio di Primo Zecchi), uffici postali (clamoroso l’episodio delle poste di via Emilia Levante, a Bologna, con 57 feriti), ma hanno commesso anche delitti incruenti ai danni di altri uffici postali, altri distributori di benzina e supermercati. In concomitanza di attentati ai danni di persone inermi i Savi non hanno nemmeno usato lo schermo della rapina come occasione.
Dal 2 gennaio 1990 al 18 agosto 1991 vi sono stati otto episodi,50 senza tener conto dell’eccidio del Pilastro, dell’attacco ai carabinieri a Miramare e del duplice omicidio dell’armeria, in cui i Savi (o, se si preferisce, le armi dei Savi) hanno sparato, ferito e ucciso persone inermi al di fuori di ogni schermo criminale.
Non esiste e non può esistere una motivazione individuale per ciascuno di essi, che pure, inseguendo le menzogne dei Savi, verrà in seguito analizzata per completezza di dimostrazione. Esiste una motivazione collettiva che unisce questi episodi con gli altri omicidi in cui l’esecuzione di una rapina è stata solo l’occasione per dare sfogo al nuovo carattere genetico entrato, quantomeno dal 2 gennaio 1990 (ferimento di Driss Akesbi),51 nel Dna della banda della Uno bianca.
Questi otto episodi tolgono ogni velo al tentativo di collegare gli omicidi (o ferimenti) commessi in occasione delle rapine alle rapine stesse (siano esse rapine ai distributori di benzina, o rapine in banca). Dimostrano che la violenza gratuita e senza finalità di lucro è diventata una componente del Dna della banda Savi e accomuna in modo irreversibile fatti apparentemente lontani fra loro. L’omicidio Poli (rapina alla Cassa di Risparmio di Riale) o l’omicidio Mirri (tentata rapina al distributore di benzina di Cesena) si alimentano delle stesse pulsioni e delle stesse giustificazioni criminali che hanno comportato l’assalto al campo nomadi di via Gobetti o l’omicidio dei senegalesi.
Inoltre, la lettura unitaria di tutti gli episodi di gratuita violenza esclude la possibilità di procedere a una lettura razzista di alcuni omicidi, ben più di quanto si potrebbe dedurre dal legame affettivo fra Roberto Savi e una ragazza nigeriana.
I dati oggettivi
I fatti hanno un nome.
La natura terroristica degli atti di gratuita violenza, sia nel corso di alcune rapine, sia nel corso di alcuni episodi autonomi, è nei fatti. Sono da evitare conclusioni affrettate su piste o matrici eversive che, viceversa, vanno ipotizzate e documentate nella loro concretezza, e non con acrobatiche intuizioni che hanno l’unico risultato di allontanare la verità.
Vi è un dato oggettivo. Nel periodo 2 gennaio 1990-18 agosto 1991 la banda della Uno bianca si è resa responsabile di due tipologie di attività delittuose. Una con connotati terroristici, un’altra con connotati criminali classici.
Vi sono, dunque, due fattori rilevanti per interpretare la linea evolutiva della banda Savi: la presenza di una caratteristica criminale di natura terroristica assente nella fase iniziale (solo rapine con finalità di lucro-rapine ai caselli autostradali) e, soprattutto, la coesistenza di due diverse tipologie di attività delittuosa. Ci si allontana, dunque, dal modello evolutivo lineare e ci si avvicina al modello evolutivo a intermittenza.” (da “L’Italia della Uno bianca: Una storia politica e di mafia ancora tutta da raccontare” di Giovanni Spinosa)
L’utilizzo di una teoria così sofisticata per denunciare l’inconsistenza della tesi che fa dei fratelli Savi una banda a conduzione famigliare e non, piuttosto, la foglia di fico di una vicenda inconfessabile (uno scontro interno alle istituzioni con la partecipazione della malavita organizzata) è il perno di tutto il libro. Essa ci aiuta a comprendere immediatamente la irrealtà delle sentenze grazie alla sua schematica semplicità, meglio ancora essa diviene strumento di interpretazione dei fatti e non solo metafora.
Che i fatti descritti nel libro possiedano una complessità descrivibile perfettamente ricorrendo alla teoria degli equilibri punteggiati o “modello evolutivo a intermittenza” ci obbliga a riflettere sulla necessità che la formazione di un “investigatore” o operatore di intelligence culturale debba necessariamente passare attraverso il confronto con i metodi investigativi di tutte le scienze o discipline esistenti, dalla fisica alla filologia, dalla biologia alla storia per non dire della medicina, un’arte vera e propria.
Spinosa, nel prosieguo del libro, ricorre poi al gioco degli scacchi per ragionare dell’arresto “fortuito”, straordinariamente fortuito, dei Savi e non trova metafora più azzeccata di quella del “sacrificio” di un pezzo, laddove, una volta arrestati, i Savi o un “Io pensante”, gettano lo scompiglio nello schieramento dell’avversario (gli investigatori e i magistrati) spingendoli alla sconfitta. “Un evento naturale non può essere generato da circostanze fortuite”, vale a dire che l’arresto nulla ha avuto di fortuito alla luce del castello di menzogne che i Savi hanno potuto riversare sul tavolo intorbidendo le acque.
Sintesi della stratificazione delle letture cui Spinosa ricorre per dimostrare la inconsistenza della tesi di una vicenda famigliare è una citazione su cui dovrebbe reggersi ogni indagine della complessità delle vicende umane, laddove, a meno di trovarsi di fronte all’opera di un pazzo, quando si osserva un’azione umana che appare inutile, come inutile fu la violenza spropositata dei Savi, quel qualcosa di inutile deve essere preso come estremamente significativo. La citazione di Ferdinand de Saussure, “tutto ciò che è inutile è significativo”, ci deve far riflettere sul fatto che l’opera del linguista francese è il punto di partenza di tutte le teorie linguistiche e semiotiche moderne, pro o contro che siano. Cos’è in fondo una sentenza se non l’interpretazione della lettura di migliaia o milioni di pagine di un’indagine?
Nello scusarmi per la prolissità, chiudo con la segnalazione di un interessante botta e risposta (La versione di Spinosa) tra Mauro Zani, deputato del P.C.I., e il suo compagno di liceo Giovanni Spinosa del quale riporto un frammento della risposta a un giudizio frettoloso di Zani:
qualunque sia il nome, rivendico con orgoglio, l’indagine passata alle cronache come Quinta Mafia. Perdonami la brutalità: è del tutto evidente che non la conosci abbastanza. Vennero arrestati e condannati centinaia di pregiudicati, fra cui alcuni organici delle cosche più torbide della criminalità italiana: i clan Vottari, Mammoliti, Romeo, Strangio, Gumari, Menzo, Covelli, Di Giacomo, etc. Per la prima volta, nell’ambito di una indagine, un pentito ha parlato dei gradi c.d. massonici nella ‘ndrangheta. Un altro pentito, oltre a un omicidio avvenuto a Modena, ha dato un colpo mortale alla stidda confessando oltre 20 omicidi avvenuti a Gela. Sullo sfondo un traffico di stupefacenti che coinvolgeva il quartiere Pilastro. Non riscriverò, ora, tutta l’indagine, di cui, visto che ne parli, è importante capirne il senso. Ha documentato la sistematicità dei rapporti fra pregiudicati appartenenti a storiche famiglie criminali e soggetti del territorio emiliano romagnolo. Fra gli altri, Marco Medda e personaggi del quartiere Pilastro. Questo profilo supportò l’indagine della Digos nella contestualizzazione di Marco Medda al Pilastro, la sera dell’eccidio dei carabinieri Moneta, Mitilini e Stefanini. Le interferenze fra le due indagini finiscono qui. L’assoluzione degli imputati dal reato di cui all’art. 416 bis cp non ha snervato la sostanza storica dei fatti documentati in quei processi.
f. La mia critica alle teorie delle schegge impazzite non vuol dire che ignori la totale compenetrazione di pezzi dello Stato nelle stagioni dello stragismo golpista, prima, ed in quelle dello stragismo mafioso, dopo. Lo dimostrano le mie indagini sulla figura di Marco Medda o sulla banda delle COOP. E’ incredibile, che nessuno si sia mai preso la briga di ricordare che, in quest’ultima indagine, avevo, senza enfasi, ma con metodo e consapevolezza, delineato il quadro in cui si muovevano quelle rapine. Se qualcuno si fosse preso la briga di leggere i documenti, avrebbe, ad esempio, ritrovato ambigui figuri già condannati per il depistaggio dell’Italicus. Inutile dire che, grazie al … tana, liberi tutti, seguito all’arresto dei Savi, anche costoro furono assolti, dopo che erano stati già condannati sia in primo che in secondo grado.
Critico con forza, tuttavia, la teoria delle schegge impazzite, perché se i fatti vengono estrapolati dal contesto criminale ed eversivo in cui avvengono, diventano il miglior alibi per le teorie minimaliste. Ed, infatti, è quello che è successo nella lettura della vicenda dei fratelli Savi.
E anche da qui si aprono scenari investigativi davvero interessanti.
Dionisia
Alcuni ci stanno aiutando, altri rimangono indifferenti.
Per scelte personali (la condizione economica in cui vivo), culturali, politiche e di natura organizzativa, ho deciso di ricorrere all’aiuto del mercato chiedendo ai lettori di Leo Rugens un contributo (cifre semplici) per assicurare la sopravvivenza e l’indipendenza del blog.
Mi sono affidato a PayPal ma ho anche la possibilità, se me lo chiedete, di indicarvi un IBAN relativo ad un normale conto corrente.
Trovate quindi – a piede dei post – una novità rappresentata dalla richiesta, sistematicamente ripetuta, di sostegno con il possibile l’invio di piccole cifre.
Ci sarà tempo per chiedervi altro. Fuori dagli scherzi, grazie anticipatamente.
Per le piccole cifre abbiamo deciso di prendere soldi da chiunque con le ormai semplici modalità del versamento sul circuito PayPal usando il nostro indirizzo e-mail: leorugens2013@gmail.com
la Redazione