A proposito di cambiamenti paradigmatici culturali e processi formativi ormai improcrastinabili

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Dopo decenni di berlusconismo o di governi che solo apparentemente vi si opponevano, se non si vorrà essere storicamente ricordati come coloro che, in fase di ricerca di consenso elettorale hanno dichiarato di voler fare cose e poi ne hanno fatte altre, per primo dovere si dovrà raccogliere e vincere la sfida della complessità e, insieme, dell’etica. Misurarsi con la sfida della complessità e dell’etica, con i compagni di strada che i portavoce del M5S si sono scelti, potrebbe essere cosa di una certa difficoltà.

Essa, infatti, dovrebbe perseguire l’ideale che mette al centro gli interessi superiori dei cittadini e nel farlo dare vita, proprio in Italia che ne vide, secoli addietro, la stagione indimenticabile di un nuovo umanesimo, di una “riforma delle coscienze” quale condizione di trovata stabilità alimentata da una indispensabile equità.

Equità che si ritrova dichiarata, con formulazioni diverse sia nel M5S che nella Lega. Ma l’equità che non sia di facciata o esclusivamente fiscale, è un ideale nutrito dai valori della tolleranza e del rispetto reciproco, della giustizia, del diritto universale alla vita e alla libertà. E qui casca una prima volta l’asino, non sembrandomi che nella Lega la prassi politica, da decine di anni, si conformi a tali valori. In questo gli stereotipi destra e sinistra irrompono e ci devono far riflettere essendo quello che nasce un governo, se letto con schemi tradizionali, decisamente di destra. Di destra come mai si era visto fino al tentativo del luglio del 1960. Che andò a finire, come andò.

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Ci vorrà quindi una compagine governativa capace di ragionare d’etica.

Tuttavia, nessuna etica è possibile senza responsabilità. L’agire etico comporta infatti la possibilità di scegliere, di decidere liberamente tra alternative. E qui cade una seconda volta l’asino perché, ritengo di non sbagliarmi, il decidere liberamente riposa su una conoscenza responsabile, che è tale perché coniuga in un rapporto di reciproco nutrimento la dimensione conoscitiva dell’uomo con i pensieri a cui stiamo facendo cenno. E ancora una volta mi pare che i compagni “d’avventura” a cui il M5S si intende legare mastichino male questi pensieri evoluti. In più mi sembra che mai un governo sia nato (sembra che stia per nascere) tanto condizionato da “fuori”. Fuori dalle forze politiche che si attivano per farlo nascere e da “fuori” del paese dove gli ambienti europei/altri ci stanno mettendo bocca. La preoccupazione che mi attanaglia in queste ore e di capire a quali processi di selezione e formazione di classi dirigenti si siano affidati i due soggetti politici che provano a governare insieme il Paese e quali gradi di contaminazione/aggregazione possibile possano esistere tra loro.

Occorrerebbe ad esempio che almeno si fossero misurati per qualche tempo su come si possano affrontare le complessità emergenti, superando il modello della separazione dei saperi, dello specialismo disciplinare su cui è fondato il sistema educativo e il modo di governare fino ad oggi messo in campo dalle forze politiche che hanno sgovernato gli Italiani.

Lo specialismo produce infatti “delle menti incapaci di legare le conoscenze, di riconoscere i problemi globali e fondamentali, di raccogliere le sfide della complessità. La parcellizzazione, la compartimentazione, l’atomizzazione del sapere rendono incapaci di concepire un tutto i cui elementi siano solidali, e con ciò tendono ad atrofizzare la conoscenza e la coscienza della solidarietà. Rinchiudono l’individuo in un settore compartimentato e con ciò tendono a circoscrivere strettamente la sua responsabilità, quindi ad atrofizzare la sua coscienza della responsabilità. A questi valori si ispira tra l’altro il pensiero del grande vegliardo che in queste ore è stato presente al Salone del Libro di Torino, Edgar Morin.

Il pensiero della complessità è l’unica forma di governo adeguata al “villaggio globale” e il suo paradigma metodologico/educativo – la trandisciplinarità – la sola garanzia di riscatto dalle angustie dello specialismo disciplinare, gravemente limitativo delle facoltà etico-conoscitive dell’uomo.

Il “sapere diviso”, parcellizzato, si costruisce infatti sull’esclusione dell’altro da sé, sull’indifferenza al diverso. Tutti fattori culturali che mi sembrano peculiari del compagni di strada che il M5S si è andato a scegliere. Questa forma di sapere, tuttora imperante, è nient’altro che il frutto di una forzatura soggettiva dello sguardo umano che contempla il mondo, non già un connotato costitutivo della realtà. Sfugge ad esso, per definizione, l’essenza oggettiva del mondo quale è dato a noi, che ha invece il carattere della complessità.

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Ma l’ottica monodisciplinare, proprio in virtù di tali sue caratteristiche, è portatrice altresì di un irrimediabile limite, poiché legittima l’individuo “specializzato” ad affrancarsi da ogni forma di responsabilità verso tutto ciò che esorbita dal proprio specifico alveo conoscitivo.

La “riforma delle coscienze” postula (così nasce il M5S voluto da Giuseppe Grillo da Genova a cui successivamente Gianroberto Casaleggio unisce la sua esperienza di vita) dunque un nesso tra conoscenza e moralità. Il nuovo umanesimo che vagheggiamo va alimentato nelle sedi del pensiero politico nei prossimi decisivi mesi. Il M5S (non possiamo chiederlo alla Lega dei Borghezio e dei Salvini) deve farlo proprio e fondare su di esso la propria azione.

Un nuovo umanesimo può essere postulato ed attuato esclusivamente da una leadership capace di guida in un procedimento decisionale consensuale e condiviso. Elemento peculiare che va rafforzato o la deriva di alcuni uomini soli al comando avrà il sopravvento.

Leadership che si dovrà saper contrapporre da un lato, al caos della miriade di impulsi di volizioni, interessi, proposte che, provenendo da un qualsiasi contesto di forze in contrasto tra loro, non trovano una mediazione e creano disordine e anarchia e una permanente conflittualità. Questo si potrebbe preparare nel MoVimento ora che approda senza aver rafforzato i suoi luoghi di ragionamento a responsabilità di governo, e dall’altro lato si oppone a un’imposizione  autoritaria della volontà, che annulla o deprime la molteplicità delle idee e genera una rigida gerarchia tra “capo” e sottoposti, con tutte le degenerazioni che questa comporta: di conformismo, di ortodossia, di sclerosi del pensiero.

La pratica della democrazia è connaturata al concetto di leadership. Tutte le idee vi trovano libera espressione, senza censure o autocensure, in un confronto aperto che arricchisce di utili apporti l’analisi delle situazioni e la ricerca dei modi di intervento.

Ma da questo dibattito il leader ricava una propria indicazione di guida che trae giustificazione e autorevolezza dall’essere la sintesi di un processo di ricerca collettivo e insieme dal dare a questo processo una risposta motivata. La decisione finale non viene imposta di autorità dal vertice, ma si forma invece attraverso un lavoro in comune, che si conclude tuttavia in una scelta univoca, impegnativa per tutti, scaturita da un metodo di “persuasione”. Per arrivare a far prevalere con metodo persuasivo una decisione ci vuole addestramento e luoghi organizzati deputati.

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Si può pensare a un gruppo dirigente in cui tutti partecipano alla formazione delle scelte e tutti sono corresponsabili della loro attuazione, ma dove proprio questo metodo di coinvolgimento conferisce alla volontà del leader pienamente la sua funzione di guida. Leadership è sinonimo dunque di egemonia, cioè di una preminenza esercitata, nell’ambito di una libera consultazione, sulla base della qualità delle proposte e delle decisioni formulate.

La leadership è essenzialmente laica, nel significato più  ampio del termine.

La dipendenza, nel processo decisionale, da un credo ideologico vanificherebbe infatti inevitabilmente la libera ricerca, prefigurando o condizionando fin dall’origine la formazione delle scelte.

Essere laico in questo caso significa commisurare le decisioni esclusivamente sulla qualità dei fini e sulla congruenza dei mezzi per raggiungerli.

E significa ugualmente disponibilità assoluta alla tolleranza, al dialogo, alla comprensione dell’altro da sé.

Quindi stiamo parlando di un Governo che dovrebbe nascere per misurarsi ed essere valutato dai cittadini che hanno votato M5S e Lega, sulla  “qualità” dei fini.

Direi di chiamare così lotta alla povertà, … Nella “qualità dei fini” entrano molte componenti: accanto alla liceità etica, alla fondatezza scientifica, al progresso tecnologico, rivestono pari importanza la convenienza economica e l’utilità pratica sia a livello del gruppo che ne è promotore, sia a livello dell’interesse generale e della “qualità della vita” della collettività. Per guida laica questo intendiamo. Ripeto: convenienza economica, utilità pratica, progresso tecnologico, fondatezza scientifica, liceità etica.

È una griglia tutto meno che immateriale o venata eccessivamente da un elemento utopico come potrebbe apparire.

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Questo lo scrivo perché la leadership implica per sua natura un elemento utopico,  cioè una prospettiva di cambiamento. Se non mi date almeno questo per ingoiare il rospo di un governo con la Lega, nella marginalità e ininfluenza di questo blog, mezza parola “contro”, da “coscienza critica”, la devo poter dire.

Viceversa la semplice conservazione dello stato delle cose non esigerebbe una capacità di guida; essa richiede tutt’al più un equilibrio (sempre instabile) tra le forze in contrasto, una sorta di accordo diplomatico tra interessi consolidati. Quali siano gli interessi consolidati della Lega, del Caimano e del PD che era nel Braccio della Morte e che è stato – inaspettatamente – graziato, si conoscono. Quelli del M5S dovrebbero coincidere con almeno quelli degli 12 milioni di italiani che hanno votato per il cambiamento. Guidare un gruppo, un’istituzione, un partito, una società significa interpretare il loro divenire, le loro energie emergenti, le loro potenzialità di progresso, finalizzandone il movimento a un disegno ordinato, razionalmente e responsabilmente governato.

Per fare questo è necessario spostare in avanti, in un luogo altro (l’utopia, modello ideale ma realizzabile) la linea del consenso, il che implica sia la critica alle situazioni esistenti sia un positivo orientamento verso forme innovative. Critica alle situazioni esistenti che non dobbiamo vedere stemperare nelle scelte delle donne e degli uomini destinati a guidare il futuro del Paese. Non sono le nomine il problema ma potrebbero esserlo se si decide di conservare.

Come il pensiero laico, anche l’utopia così definita – misurandosi dinamicamente sulla realtà – si contrappone alle ideologie, alla loro tendenziale rigidità e ortodossia.

Non vi accorgete che per anni si è perso tempo dietro alle posizioni di consulenti ascoltati (in alcuni casi anche pagati) che oggi sono in netto disaccordo con le scelte in essere?

La cultura dove va essere il nutrimento essenziale della leadership e non sempre lo è stato. Soltanto le idee, in tutte le loro accezioni (riflessione critica, autoconsapevolezza, responsabilità etica, conoscenza attraverso le arti, espansione del senso positivo della vita e della sua fruizione), possono infatti assicurare la fondatezza e la ragione stessa di un’egemonia.

E possono trasferire la convivenza tra gli uomini a ogni livello, dalla conflittualità quotidiana di interessi particolaristici, a una prospettiva di sviluppo nel futuro, com’è nella natura della mente umana e nelle inarrestabili conquiste della scienza.

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Se come dice la vera B. italiana (intendo Bisignani), oltre due anni addietro, era stato tutto deciso, forse per rispetto ai milioni di elettori e militanti, qualche incontro di confronto culturale (cultura non è una parolaccia che deve far mettere mano alla fondina) in più con gli esponenti della realtà che oggi si immaginano capaci di risolvere i problemi dell’Italia, dell’Europa e noi, nella nostra marginalità e ininfluenza, aggiungiamo, emergenti nel Mediterraneo, andava organizzato. Mediterraneo  dove si giocherà la partita e dove vivono (questo è il nostro Sud una terra tutta immersa nel mare) la quasi totalità degli elettori che sono stati determinanti per il risultato elettorale del M5S.

Parliamo della Sicilia, della Calabria, della Sardegna, della Lucania, della Puglia e di quella Campania da dove è emerso Luigi Di Maio, leader del M5S.

In spirito di stimolo e riflessione.

Oreste Grani/Leo Rugens