Il pontificato itinerante di Giovanni Paolo II

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Il post che segue risponde (così mi sembra) alla considerazione che sarebbe stato utile, negli ultimi cinque anni, alzare la qualità dei ragionamenti, dentro e fuori le istituzioni. Anche dalle parti degli amici pentastellati

Uno degli aspetti singolari e peculiari della diplomazia vaticana e dei suoi apparentemente inesistenti servizi segreti (direi di evitare di confonderli con la Gendarmeria e tantomeno con le Guardie svizzere) è costituito dall’azione che essa svolge in certi casi all’interno di altri paesi: un’azione esercitata di solito dagli episcopati locali in situazioni difficili, per mediare tra le comunità civili e la guerriglia e i regimi di potere, o semplicemente perché le comunità e i governi in difficoltà hanno maggiormente avvertito l’utilità di farvi ricorso. Si potrebbe pertanto dire, con una battuta sintetica (abilità che sapete non ha proprio il vostro Leone Ruggente), che non vi è governo al mondo che intervenga tanto nelle situazioni internazionali di altri paesi  quanto la santa Sede. Sto ribadendo quello che da anni sostengo: la politica estera è tutto, ma bisogna saperla fare.

Per lo Stato Vaticano questa “intromissione” è possibile e realizzabile perché esso agisce con una forte formale legittimazione rappresentata da interventi non di potere, come qualunque altro protagonista del Grande Gioco geopolitico, ma umanitari, di pacificazione e di riconciliazione interna ai paesi per cui ci si attiva.

Certo di fronte a queste attività paradiplomatiche ci si potrebbe chiedere quali siano le ragioni specifiche per cui i governi accettano queste “incursioni” e non avendo, come è notorio, la Chiesa divisioni corazzate o, tantomeno, missili balistici intercontinentali quali siano i motivi profondi per cui è possibile, a certe condizioni, intervenire con profitto. Direi, anche se è difficile cogliere la verità di questa affermazione, che l’attività a cui mi riferisco è possibile perché dal Papa (quando è persona autorevole) sprigionano “energie superiori” di natura prettamente spirituale. E poi perché, vivendo la sua Chiesa “dentro” quasi tutti i singoli paesi del mondo,  il suo servizio segreto è certamente tra i più informati. Anzi, un passo indietro: è questo il motivo. Direi quindi di porsi seriamente il problema di come sia fatto, da chi sia diretto, come vengano reclutati, selezionati, formati i suoi appartenenti. Intendendo uomini, donne, religiosi o meno.

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Oltre al “bono a sapesse” ci troviamo di fronte al top della capacità di fare Intelligence culturale, nella sua forma diffusa e partecipata. Forma a cui ormai aspirano in tanti in giro per il mondo e in quel della nostra bella Italia. Con risultati esilaranti. Al massimo si arriva a confondere qualche sgallettata che apostrofa con volgarità l’interlocutore telefonico a sua volta peccatore in toga, con essere ascoltati/stimati  in Vaticano; o si ritiene che dedicarsi a riciclare denaro illecito sia entrare nel merito di cosa sia essere soli o meno nell’Universo; oppure se esista Dio e come passi il suo tempo.

Sono passati oltre cinque anni da quando sotto la volta celeste parlamentare sono comparse altre “cinque stelle” è mai un convegno, un seminario indirizzati a ragionare dei processi formativi necessari per una classe dirigente che doveva saper tenere conto di questa presenza millenaria proprio nel nostro Paese che poterebbe non essere trattato come è trattato se sapesse assumere i giusti atteggiamenti in rapporto a tale complessità geopolitica.   

Una testimonianza importante di come opera la diplomazia vaticana in stretto rapporto con l’intelligence è dato, ad esempio, da quanto accadde a Cuba, prima e durante la visita del 1998. Come osserva lo  scrittore cattolico Weigel, i tentativi per concordare una visita del papa a Cuba continuarono invano per lungo tempo. Ma un certo punto (le informazioni evidentemente da dentro così consigliavano) la visita fu dalla Santa Sede quasi imposta a Castro che acconsentì e fece molte concessioni perché si svolgesse nel miglior modo possibile.

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E nell’ampio colloquio che ebbe con Giovanni Paolo II, Fidel Castro, ancora lucido e in salute, insistette sul concetto che – a differenza di quanto avvenuto altrove –  la rivoluzione cubana non era mai stata anticattolica.

Quell’episodio lo cito tra i tanti possibili ma consiglio di non disgiungerlo da una lettura complessiva dal Pontificato itinerante che caratterizzò quegli anni in cui il Pontefice era Karol Wojtyla.

Leggete un ragionamento che Alceste Santini inserì nel volume (Dizionario dei Papi e del Papato) da lui scritto e la cui edizione ebbi il piacere di favorire, nella forma (lo realizzammo graficamente in Kami) e nella sostanza, presentando ad Alceste lo storico Pompeo De Angelis che giustamente Santini decise di ringraziare per l’aiuto ricevuto dal ternano fatto di libri rarissimi messi a disposizione e di consigli opportuni.

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«Una politica proseguita e ampliata da Giovanni Paolo II, con i suoi viaggi intercontinentali e con le sue iniziative dirompenti sul piano ecumenico e nei rapporti con le diverse culture e le differenti realtà socio-politiche. O con momenti altamente significativi come la Giornata del perdono del 12 marzo del 2000, nella quale Giovanni Paolo II ha voluto compiere un ulteriore e decisivo atto per ricomporre il contrasto tra Vangelo e cultura del mondo contemporaneo, chiedendo autocriticamente perdono per i comportamenti sbagliati di tanti uomini di Chiesa nei confronti di quanti venivano considerati “eretici”.
Il Giubileo del 2000 e il suo pellegrinaggio nei luoghi della salvezza (dal Monte Sinai a Nazareth, Betlemme, Gerico, Gerusalemme), compiuto a febbraio e a marzo del 2000, sono stati infine il punto più alto del suo pontificato, il più lungo del secolo XX, apertosi al terzo millennio. Giovanni Paolo II è stato infatti il secondo papa, dopo Paolo VI che vi si recò nell’Epifania del 1964, a visitare i Luoghi Santi, esprimendo così la volontà di riandare alle fonti del cristianesimo per misurarne il cammino percorso e celebrare il bimillenario della nascita di Cristo. Un viaggio rivelatosi storico per le ragioni indicate e, soprattutto, perché ha chiuso la lunga e tormentata polemica sull’Olocausto, con il discorso tenuto dal papa nel Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme e con il suo omaggio al Muro del Pianto, depositando tra le fessure un foglio con uno scritto significativo in cui veniva ribadito il profondo rammarico della Chiesa cattolica per le offese recate agli ebrei nel corso dei secoli. Un atto storico che ha aperto una nuova stagione di rapporti tra cattolici e ebrei; e ha trovato, al tempo stesso, il modo di far comprendere che la città di Gerusalemme, pur appartenendo a ebrei, cristiani e musulmani, è anche un patrimonio di tutti, perché fa parte della storia dell’intera umanità, e perciò non può essere legata a un territorio o a una nazione proprio per la sua universalità.
Il Dizionario dei Papi e del Papato si propone di ripercorrere attraverso i profili biografici dei pontefici e i cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nelle sue strutture, come sia cambiata la stessa geografia del papato che, liberatosi di tutti i legami politici e gli impacci mondani del passato, è tornato a essere ispirato prevalentemente al Vangelo. Un ritorno alle origini per poter offrire un suo specifico servizio all’umanità, divenendone lievito e speranza. Ecco perché abbiamo visto, per la prima volta nella storia centenaria della manifestazione del 1° Maggio 2000, un papa dalle origini operaie come Giovanni Paolo II che ha voluto far sentire la presenza della Chiesa, nel segno della solidarietà e della difesa della dignità dei lavoratori, affermando che l’ uomo con i suoi valori rimane il soggetto centrale a cui subordinare il processo di globalizzazione, perché i suoi aspetti, pur positivi, non diventino perversi in nome di un liberismo senza regole. Il dialogo della Chiesa con le religioni e con le culture come con le diverse componenti della società, vuole avere questo scopo.

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Quanto al papato, pur essendo incentrato sui papi, comprende però anche la storia della Chiesa di Roma e dei suoi vescovi con le sue articolazioni organizzative e attività, donde la denominazione adottata di Dizionario dei Papi e del Papato. A tal fine, abbiamo chiuso la prima parte dell’opera con gli antipapi e aggiunto nella seconda, tra le tante altre curiosità, un elenco cronologico dei concilii e dei giubilei, le modalità delle riunioni dei conclavi per eleggere il nuovo papa, il ruolo dei segretari di stato e dei sinodi episcopali, e quello della Curia che collabora con il papa con tutti i suoi apparati burocratici.
Si è raccolta inoltre una serie di curiosità, aneddoti, battute famose dei papi, per sottolineare che in fondo anche loro sono esseri umani. Ma, soprattutto, ci si è sforzati di rendere comprensibile una istituzione, quale è la Sede apostolica romana nelle sue evoluzioni e involuzioni storiche rispetto al Vangelo e al di là dei suoi rivestimenti secolari, spinta dalle sue continue aperture a essere sempre più se stessa, oltre che al servizio del mondo in cui vive e opera.
Hanno assunto infatti rilievo, negli ultimi anni, congregazioni come quella per la dottrina della fede e l’elaborazione dei testi dottrinari, o quelle per i vescovi, il clero e la vita consacrata, o ancora per le cause dei santi, dato che con Giovanni Paolo II hanno superato il migliaio gli uomini e le donne elevati agli onori degli altari, introducendo così un nuovo concetto di santità. Hanno poi svolto e svolgono un ruolo del tutto nuovo istituzioni create dopo il Concilio Vaticano II come i pontifici consigli per la promozione dell’unità dei cristiani, il dialogo interreligioso, la famiglia, la giustizia e la pace, la cultura, gli operatori sanitari, i migranti e gli itineranti, le comunicazioni sociali, i laici, come segno dell’impegno della Santa Sede nei diversi ambiti dell’attività umana.
Il risultato del lavoro è la presentazione di una realtà bimillenaria attraversata da un’ansia di aggiornamento e sempre più determinata a tenere il passo con la Storia. Una realtà complessa che, traghettata da Giovanni Paolo II al terzo millennio, deve ora affrontare i problemi per riconciliarsi prima di tutto con le altre Chiese e comunità cristiane, e sviluppare un rapporto sempre più stretto con le altre religioni non cristiane.  Tutte le forze religiose possono, come è nella loro ambizione, essere protagoniste nel riaffermare valori etici in quel mondo globalizzato del XXI secolo che tende a escludere Dio dall’esistenza umana.

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Il senso di una grande eredità

Si spiega così il tentativo di Giovanni Paolo II che, dopo aver cercato con il mea culpa di riconciliare con la modernità e la post-modernità una Chiesa liberata da errori e infedeltà al Vangelo del passato, ha promosso con il suo viaggio a Fatima, la riscoperta e la valorizzazione della religiosità popolare e del modo personale di sentire i rapporti con il divino e il mistero, attraverso la rivelazione del “terzo segreto di Fatima”  con tutti i suoi simbolismi e le sue emozioni. Una risposta forte e universale alle teorie sulla secolarizzazione e sull’“eclisse del sacro” nelle società post-industriali e tecnologiche.
Ecco perché Giovanni Paolo II, nel riproporre a duemila anni dalla sua nascita la figura di Gesù con la formula “ieri, oggi, domani” con l’intento di riaffermarne il perenne insegnamento, ha fatto appello alla ragione con l’enciclica Fides et Ratio, riconoscendo che senza di essa la fede rischia di diventare superstizione. Al tempo stesso però ha fatto anche leva su quel cattolicesimo popolare che per un verso affonda le sue radici nella tradizione e nei sentimenti dei padri, e  per un altro, è forza liberante, specialmente in situazioni di povertà e di bisogno come in America latina, Africa e Asia.
È questa la non facile operazione teologico-culturale che un papa poeta e filosofo come Karol Wojtyla ha cercato di fare nel suo lungo e intenso pontificato, misurandosi, non senza rischi, con la cultura scientifica e tecnologica che tende sempre più a oltrepassare i limiti considerati inviolabili dalla tradizione religiosa. E questa sua grandezza, che tanto fa discutere oggi, peserà molto su chi sarà chiamato a raccoglierne l’eredità.»

In queste ore di toto nomine (ma forse finisce tutto a schifìo) ho voluto intramezzare ragionamenti lontani da tanta pedestre ambizione asinina da cui siamo circondati.

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Oreste Grani/Leo Rugens


 

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la Redazione