Ma cosa andò veramente a fare Matteo Salvini in Corea del Nord?

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Il posteggiatore abusivo (così, si dice, venga definito il capo della Lega da chi, in alto luogo, può permettersi di apostrofarlo tale) Matteo Salvini, prudentemente, a poche ore dall’aver scatenato l’inferno con la questione Paolo Savona, si è chiamato, quanto più gli è possibile, fuori dallo scontro con il vertice istituzionale repubblicano. La piazza comunque, non potendo “accannare” del tutto e in questa fase calda Di Maio-Di Battista, sarà convocata a nome di tutte e due le sigle. Vediamo che succede in questo atipico 2 giugno 2018 che si annuncia.

Ma questa mattina la nostra attenzione non è attratta dai danni provocati dalla scaltrezza e spregiudicatezza del posteggiatore abusivo Salvini (ci piace accodarci nell’uso della colorita definizione sentendoci in autorevole compagnia sia della bella Dionisia che di altri) ma da un ricordo dello stesso in visita a Pyongyang capitale della Corea del Nord.

Questo perché,  come sapete, se ci leggete con attenzione, la politica estera è (quasi) tutto per capire un uomo politico, il suo spessore, i legami che eventualmente lo condizionano.

In quel viaggio svolto in uno dei Paesi più complessi dell’attuale panorama geopolitico mondiale, Matteo Salvini viaggiava in delegazione con altri parlamentari italiani. La figura preposta a organizzare quei contatti era il divertentissimo (soprattutto quando viene reinterpretato da Maurizio Crozza) Antonio Razzi.

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Razzi, ciarliero come spesso è, ha raccontato che lui e Salvini avevano fatto grandi cose durante la visita. Grandi cose dove, da decenni, sbattono le corna fior fiore di diplomazie professioniste, non è affermazione da poco.

Continuo ad andare con la memoria a quell’episodio ormai lontano oltre che per il ricordo di come neanche in quella occasione il “posteggiatore abusivo” fosse riuscito a scegliersi un vestito consono (i nord coreani erano tutti rigorosamente in grisaglia scura) e ad allacciarsi, durante la cerimonia e le foto ufficiali, la camicia stingendosi  il nodo della cravatta, anche al fatto che, a viaggio concluso, filtrarono indiscrezioni da parte di chi, lo ritengo possibile, professionalmente e per conto della Repubblica Italiana doveva tenere d’occhio i nostri parlamentari in un Paese dove, notoriamente, in termini di sicurezza personale, ti può succedere di tutto, sul fatto che il provincialotto Matteo Salvini fu perso di vista per oltre 36 ore in una città dove non è certo consigliabile andare a “puttane” o fare acquisti di souvenire senza la dovuta copertura. Da quel viaggio Matteo Salvini – si dice – tornò mutato quasi fosse stato folgorato sulla via di una atipica Damasco.

Seguire le insinuazioni labirintiche del Leone Ruggente è sempre più difficile, soprattutto quando prova a dire la sua sui rizomi che legano gli ambienti massonici internazionali e la nostra bella Italia. Ancora più insinuante quando cerca, quasi fosse un cane da tartufi invece che un Leo Rugens, le tracce di Giancarlo Elia Valori, per cui il sottoscritto ha una vera passione investigativa (forse perfino una fissa eccessiva), convinto di coglierne l’odore quasi fossi un raffinato testatore di essenze di profumi.

Matteo Salvini e Giancarlo Elia Valori, hanno, da quei giorni di visita (con sparizione annessa) del leghista, una comune passione per la Corea del Nord. Da alcune settimane (da quando Giancarlo Giorgetti glielo aveva presentato) Salvini ha deciso che valesse la pena scatenare tutto questo casino per Paolo Savona. Quello stesso Savona che, per decenni, ha rappresentato gli interessi di Giancarlo Elia Valori. Sono alla ricerca di altri indizi per capire quali siano i rapporti tra GEV e il “posteggiatore abusivo”. Uno filo rosso (e nero) tenue l’ho trovato in Calabria proprio  dove Salvini è stato eletto anche dopo un casuale (o provvidenziale?) viaggio culturale di GEV e Nicolò Pollari (quello). GEV&NC si sono incontrati, come ho sempre sostenuto, con esponenti della massoneria influenti nei territori dove il leghista ha raccolto migliaia di voti. Indizi, ancora indizi, sempre indizi. Ma di cosa è fatta un’investigazione se non di indizi? Prima indizi, poi prove.

E gli indizi dicono, ad esempio, che la Corea del Nord, a detta di un signore, Ugo Pecchioli (PCI), responsabile dell’Intelligence del Partito dell’epoca, non era uno stato comunista ma banalmente retto da una famiglia di massoni a cominciare da Kim Il Sung. Di massoni come GEV, per onorare il quale addirittura la dinastia dei dittatori ha fatto erigere una statua a ricordo eterno della genitrice del catto-massone più famoso del Mondo. Sempre stiamo parlando di Giancarlo Elia Valori.

E noi (sentendomi del M5S) dovremmo farcela con gente così gravemente indiziata di essere coinvolte in questi grovigli bituminosi di potere, affari, sangue e feci?

Come dice la appassionata Dionisia è stato salutare che alla fine, dopo aver avuto un coniglio traditore (Angelino Alfano) degli interessi della Patria, al Ministero dell’Interno non c’è andato un posteggiatore abusivo improvvisatosi diplomatico e negoziatore segreto di chissà quali nefandezze paramassoniche.

Vade retro satanassi!

Oreste Grani/Leo Rugens

P.S.

Ma noi del M5S che minchia c’entravamo con Matteo Salvini, ministro dell’Interno?


 

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la Redazione