La Diplomazia non è una scienza esatta ma evitiamo di farla praticare dai posteggiatori abusivi

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Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini era ritenuto, per voce popolare e per anni passati a fare solo esercizi di devozione partitocratica, tra i più esperti di cose politiche. E tale, ad una disamina superficiale, poteva apparire nei primi giorni di attività dopo essersi insediato al Viminale.

In realtà, per fare il ministro adeguato alle complessità emergenti, bisogna aver mangiato tanta polenta. Con o senza gli uccelletti.

Salvini, viceversa, alla prova dei fatti (non dei sondaggi) sembra un sempliciotto da fast food, Mac Donald style.

Qualcuno si guadagni lo stipendio e gli definisca le competenze del Viminale facendogli evitare atteggiamenti che in sede internazionale si chiamano, da sempre, da “scolaretti litigiosi”.

L’inaffidabilità italiana, in passato, spesso è dipesa da cose come quelle che stanno avvenendo da alcuni giorni intorno alla evidente ignoranza del fresco ministro di cosa siano accordi internazionali, multilateralismo, geografia politica, intelligenza dello Stato.

Non dico che si debba aver studiato i volumi che, ad esempio, un Enrico Serra, ai suoi tempi ordinario di storia dei trattati e delle relazioni internazionali, ha dedicato al tema,  ma qualcuno che tiri la giacchetta all’esuberante posteggiatore abusivo (così mi appare il nostro Salvini) su un tema delicatissimo come quello dei porti, delle flotte commerciali e militari, del diritto internazionale ci vuole proprio, o tutto sarà perduto.

Così ci vuole qualcuno che aggiorni il signor Ministro di Polizia (italiana e non del Mondo!) sulla delicatezza del dibattito implicito sulla difesa europea. Qualcuno che, si spera, il “Matteo di turno”  ascolti.

A meno che non ci sia già qualcuno che lo dirige e quello a cui assistiamo non sia già un copione scritto e non in Italia. Così, dopo che per decenni erano i Michael Ledeen a dirci cosa dovevamo fare, ora qualcuno, a Mosca, si prende cura di fare casino sulle competenze tra i nostri ministri a proposito di infrastrutture portuali e su chi comanda sulle nostre forze armate. Abile disinformazione e attività di ingerenza più dannose che semplici attentati alle metropolitane.

Il dibattito è ovviamente necessario, dentro e fuori i nostri confini, ma questa è materia delicatissima e uno che, in situazioni normali, viste le frequentazioni – per decenni – di eversivi separatisti non potrebbe avere neanche un COSMIC di sicurezza per andare a pisciare da solo in ambito NATO, bisognerebbe evitare di fargli fare il tuttologo esteri-interni-difesa. Ricordandogli inoltre che esiste materia che si definisce storia dei trattati e che la diplomazia ne deve tassativamente tenere conto in quanto diplomazia è sinonimo di politica estera che, notoriamente, dovrebbe essere fatta dai diplomatici e non dai “despecializzati in tutto” .

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La diplomazia non è una scienza esatta ma non è neanche un luogo mentale dove si può ruttare, fare peti, battere i banali pugni sul tavolo. O comunque anche cose volgari di questo tipo, bisogno saperle fare. Ricostruire l’Europa non è solo una questione economica, ma anche militare, si diceva dopo la fine della seconda guerra mondiale.  Mi sembra che Salvini stia eseguendo il disegno di qualcuno che non ha nessun interesse a che esista una qualche Europa, anche militare. Mi appare in realtà, se non fosse comunque un complimento,  un uomo a libro paga di chi vuole di fatto una Nuova Yalta, allontanando, per altri decenni, la possibilità di dare un senso ad un accordo di sicurezza collettiva europea. E noi aggiungiamo, mediterranea. Comunque è certo che che per Salvini, protagonista di questa fase convulsa e sostenitore di  queste arroganti posizioni, il contributo della Chiesa (e cioè il massimo della capacità diplomatica planetaria) a una geopolitica di pace nel Mediterraneo tende a zero. Per lui, papa Francesco (e lo Stato Vaticano), è un due di picche quando briscola è denari. Per Matteo Il Posteggiatore che il Papa riceva a Bari tutti i vescovi e patriarchi cristiani del Medio Oriente, per una giornata di riflessione (do you know “riflessione”?), è episodio inesistente. Tanto meno per Salvini (il post separatista leghista) il fatto che l’incontro si svolga anche nel nome di San Nicola di Bari significa poco o niente. Ma non è così in quanto San Nicola è personaggio carissimo alla Chiesa Ortodossa a cominciare da quella russa. Cose di non facile comprensione e comunque di competenza strettissima di mondi diplomatici addestrati a questi segnali. Torniamo quindi al gap culturale caratterizzante questo super attivista dei respingimenti che viene additato negli ambienti che contano (esistono questi luoghi a prescindere da cosa pensi l’uomo dei tombini di ghisa come, con sensibilità preveggente, lo appellava Maurizio Crozza) come un vero Attila senza averne la statura drammatica.

Oreste Grani/Leo Rugens