Le convenzioni di Ginevra

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Un porto può (e non sempre) definirsi sicuro quando almeno si parla delle procedure di sicurezza portuale, del tipo di procedure in essere e di quelle che si devono adottare per poter definire un porto “sicuro”. Pertanto si parla fondamentalmente della gestione della sicurezza basata sul rischio, che risulta essere la “probabilità moltiplicata per le conseguenze”. Si esamina la probabilità che si verifichi un fatto, si esaminano le conseguenze e si ha un quadro del rischio e delle condizioni di sicurezza del porto.
Ed è su queste basi che l’International Marittime Organization (I.M.O.), istituto specializzato nella sicurezza della navigazione, ha prontamente elaborato una serie di norme intese a migliorare la sicurezza delle navi, dei passeggeri, del carico relativamente al profilo della prevenzione da attacchi terroristici, introducendo un nuovo concetto di sicurezza improntato sulla protezione.
Vengono pertanto adottate un insieme di misure di sicurezza attive e passive, articolate in tre livelli, la cui attuazione concreta è correlata all’analisi dei rischi:

  • “Livello di security 1 o livello normale”: è il minimo livello di security corrispondente al funzionamento normale di navi e impianti portuali;
  • “Livello di security 2 o livello elevato”: applicabile fintantoché persiste un rischio maggiore di incidente per la security;
  • “Livello di security 3 o livello eccezionale”: livello di security applicabile per il lasso di tempo durante il quale il rischio di incidente per la security è molto probabile o imminente.

Le principali procedure di sicurezza da attivare in caso di minaccia da incidente di security, stabilite dall’ISPF Code riguardano: l’allarme generale per richiedere assistenza delle forze dell’ordine/vigili del fuoco/soccorso sanitario; il controllo e la verifica delle aree di banchina e tombini; l’evacuazione dell’impianto portuale e delle navi all’ormeggio nel caso di esplosione/incendio/terroristico in genere/disastro naturale; la limitazione dei danni e l’azione di contrasto al dirottamento o sequestro della nave all’ormeggio e delle persone a bordo; la prevenzione del contrabbando di armi/dotazioni/equipaggiamenti, comprese le armi di distruzione di massa; l’impedimento dell’utilizzo della nave come arma o mezzo per causare danni e distruzione; l’impedimento dell’utilizzo della nave per bloccare l’entrata del porto.

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Questo è un brano tratto dal post pubblicato il 14 luglio ultimo scorso (A PROPOSITO DI PORTI E DELL’ANDARE E DEL VENIRE DELLE MERCI E DELLE PERSONE) e di cui mi assumo la responsabilità dell’averlo “censurato” per alcuni anni.

Figurarsi se possano essere considerati sicuri i porti “libici”.

Non solo, ma tutta la Libia (continuate a chiamarla così e vedremo che la questione non si aggiusterà per almeno altri cento anni!)  non è una terra sicura e nessuno, sano di mente o onesto nella sua attività di analista geopolitico, può dire quando quelle terre troveranno pace.

Pace e sicurezza penso che anche per gli scemi nostrani siano parole in stretto rapporto sinergico. Sicurezza è, terra-terra, almeno aver firmato le “Convenzioni di Ginevra”.

Convenzioni di Ginevra? Ma come è antiquato questo Leone Ruggente che pensa a cose dei primi anni ’50. In realtà i miei pensieri vano a valori umanitari che riguardano tra l’altro anche e non solo la Croce Rossa e la Mezza Luna Rossa che sono, ritengo, lette insieme, ancora oggi, la più grande organizzazione umanitaria del Mondo.

Leo Rugens, ci pensa, le cita e vi ricorda che quel bieco individuo di Gheddafi non volle mai firmare la Convenzione di Ginevra. Così la famiglia di re Idris che lo precedette. Così come nessuno dei boss che attualmente fanno e disfanno la vita sociale e politica di quelle terre. Chiunque abbia fatto affari o abbia firmato accordi con uno Stato che si è sottratto all’ABC della legalità, dovrebbe essere chiamato a rispondere della situazione attuale. Torno a sottolineare che voi Juventini, ad esempio, avete avuto nel capitale sociale della vostra amatissima squadra (quella ora di Ronaldo!) gente che non si sognava di firmare quell’accordo e il cui denaro invece veniva considerato non non non grondante sangue umano. Prima e non adesso e lo ricordo perché, come noi sappiamo, prima è prima e dopo è dopo. Eppure quando mi interessavo di IRA (quella) le armi a quei gentiluomini un po’ stragisti, tra gli altri, li forniva proprio il non non non firmatore della Convenzione di Ginevra. Pensate che i morti inglesi possano essere dimenticati da “patrioti” come quelli che servono la Regina? Ma dove avete studiato, ma a quali documentari su FOCUS avete assistito? La Libia non non non mi risulta firmataria della Convenzione di Ginevra. Lo sapeva il binomio Berlusconi-Frattini quando baciava mani. Così come quello più recente Renzi-Minniti. Dettagli che non denotavano nulla di buono  e che avrebbero dovuto dire qualcosa agli amiconi della famiglia Gheddafi all’epoca e ai sanguinari despoti oggi di Bengasi, Tripoli, Tobruk. O Misurata.

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Per non parlare dell’attuale Unicredit che qualche stipendiuccio a qualche impiegatuccio con i soldini immessi dal dittatore sanguinario dell’epoca, lo ha pagato. Per anni.

Più affini gli ambienti di FINMECCANICA che, come è ovvio, accettava più serenamente i capitali libici.

Ma mentre si fanno affari con il diavolo, bisogna sapersi pre-parare al dopo e alle conseguenze delle invidie geopolitiche che su quella area geografica durano dalla sguainata spada dell’ISLAM di buona memoria mussoliniana.   

Politica estera quindi che ruota anche intorno a trattati firmati o non firmati, a convenzioni sottoscritte o meno.

Politica estera con i suoi  cento nodi gordiani da sciogliere e dove la politica degli annunci e delle muscolature figlie di anabolizzanti possono poco.  Senza flotte vere, senza aviazione vera, senza eserciti all’altezza e, viceversa, segnati da mille ricordi di episodi corruttivi e di attività compiacenti attuate con i complici/avversari di un tempo, è difficile fare politica estera. La sovranità parte o dalla moralità delle classi dirigenti o dalla loro statura criminale. Noi siamo guidati da troppi anni da personaggi che difficilmente possano ricordare stature del genere. Nel bene e nel male.

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Quando è stato ucciso Moro, ho scritto in altro post INTERFERIRE NELLE QUESTIONI DI POLITICA ESTERA NON È COSA FACILE, vigeva alla guida di Gladio-NATO, un direttorio costituito da alti ufficiali e dirigenti dei Servizi segreti provenienti dalla Germania Federale, dalla Francia, dalla GranBretagna. La fine di Gheddafi (e l’inizio di tutto questo bordello), spero di non doverlo ancora dire, è stata decisa in alcune capitali europee ma non certo a Roma. Così l’abbattimento del DC 9 su Ustica, non è avvenuto né per una bomba esplosa a bordo né, tantomeno, per la scelta autolesionista del pilota che aveva pene d’amore.  Per non parlare di Bologna, della sua stazione e della tragica strage. Potrei elencare decine e decine di episodi e tutti sono riconducibili a dinamiche dentro-fuori i confini che quasi sempre raccontano inadeguatezza di classi dirigenti impreparate in politica estera e di Servizi Segreti nostrani condizionati da trattati sottoscritti e da affarismo imperante. Anche in Libia. Anche all’interno delle nostre istituzioni. Così almeno mormorano i costruttori di fake news.  Rimuovere l’esistenza di accordi è lo sport nazionale insopportabile già nel mondo privato imprenditoriale ma pericolosissimo per chi volesse ritenere carta straccia quanto firmato con il sangue. Ci vuole ben altro che l’ex separatista comunista per far saltare i chiavistelli delle prigioni tecnico-giuridico-finanziarie edificate per controllarci. Velleitarismi e tentativi di evasione maldestri, porteranno lutti. Oggi così la vedo. Anzi ritengo che i provocatori/sabotatori abbiano già cominciato a lavorare per fare anche dell’Italia un luogo di macerie dopo essere stata, come si diceva un tempo, il Giardino d’Europa. Anche la Siria, se non lo sapete, era un meraviglioso orto dove crescevano le più grandi e gustose zucche del Pianeta. Zucche ed altri ortaggi rigogliosi ma prima che qualcuno decidesse che doveva fare la fine che ha fatto.

Oreste Grani/Leo Rugens