Se lutto nazionale deve essere che lutto nazionale sia

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Avevamo scritto, in parte speranzosi (non ci piace in realtà cosa potrebbe accadere di ancora più ampio intorno alla tragedia di Genova e alla famiglia Benetton), che i dirigenti della Autostrade per L’Italia, non non non avrebbero dovuto provare a dire mezza parola per giustificarsi e ammischiare le responsabilità. Invece, lo hanno fatto e l’avidità e i soldi, hanno condizionato tutto. In modo ancora più osceno di quanto si potesse lontanamente immaginare. Sarà uno scontro di civiltà? Saranno valori che si preparano a contrapporsi? Saranno guerre di stereotipi che avveleneranno ancora di più la vita politica e culturale già tanto provata della Repubblica? Dopo aver dovuto ascoltare, per mesi, luoghi comuni sui neri africani, adesso ci dovremo sorbire anche mille volgarità sui legami della Famiglia Benetton con la finanza (e non solo) ebraica rappresentata da Giancarlo Elia Valori a sua volta ebreo, massone un po’ cattolico, certamente omosessuale, legato a situazioni spesso riconducibili ai servizi segreti di mezzo mondo. Che palle, che palle, che palle! In un istante azzerati mille e mille sforzi di ragionamenti pacati e nemici degli stereotipi.

Tempi duri si delineano e non solo per David Parenzo che l’altra sera, a strage avvenuta, in diretta alla LA 7, ha dovuto smentire di possedere azioni Autostrade o altre. In realtà, con quelle affermazioni (ripeto, in diretta), il giornalista stava rispondendo alla campagna di odio che era partita nella rete dove immagino di cosa lo stessero accusando. Certamente di difese d’ufficio dei Benetton e implicitamente di Elia Valori. Pasticci su pasticci. Violenza su violenza. Capri espiatori dietro l’angolo. L’Europa sta per precipitare e alcun ne faranno le spese ed io sono pronto a raccogliere scommesse (è il colmo!) su chi saranno i capri espiatori.

Ho sentito il bisogno, sofferto, di lasciare scritto, che quanto è accaduto  nella conferenza stampa non non non doveva accadere: chiamare “benzina sul fuoco” della guerra che si delinea, è un eufemismo.

È necessario, viceversa, che la nostra Genova, sia esempio di come i comuni (le comunità quindi di bambini, donne e uomini in carne ed ossa) possano divenire il cuore strategico del nuovo Stato sovrano (ecco la prova da dare) su ciò che gli compete: il bene dei cittadini e la loro difesa dai nemici, interni ed esterni.

Ai ladri di verità e di ricchezze, si risponde con estrema durezza e le biografie di ogni imprenditore/dirigente, di oggi e di ieri, di queste aziende concessionarie devono essere esaminate senza alcuna indulgenza o perdita di memoria. Solo così si capirà come ha funzionato “l’esproprio aristocratico” di una dei tanti beni (la rete autostradale) che gli italiani si erano sudati e come mostri parassitari si siano cuccati con la complicità, appunto, di lestofanti, camuffati da manager, strateghi, spingitori, suggeritori, tessitori di trame occulte, quasi sempre paramassoniche il cespito.

Su questa vicenda, in questo momento, il linguaggio triviale ce lo assumiamo noi che abbiamo “visto Genova” e che la ameremo per sempre, dopo ieri (i primi giorni lo choc poteva giustificare l’atteggiamento) sti’ cazzi, a qualunque richiesta degli assassini finalizzata ad attenuare le responsabilità oggettive e soggettive in questa emblematica storia.

Che il Governo vigili sulle entità e sulle modalità di intervento a favore delle vittime.

Gli avidi siano colpiti, anche, in quanto hanno di più caro: nei soldi.

NIENTE ELEMOSINE QUINDI, MA CHE NON SIA UN ENUNCIATO MA UN PUNTO D’ARRIVO/PARTENZA.

Che il Governo non tolleri i soliti atteggiamenti che conosciamo troppo bene che cominciano con il Vajont e finiscono con Amatrice.

Chiunque dovesse decidere di trattare con i nemici della verità, sarà doverosamente considerato collaborazionista. Che la tragedia annunciata serva alla resa dei conti con alcuni che da troppi anni si aggirano eburnei a disporre del vostro futuro.

Individui amorali specializzati in spargimento di sangue e in sfruttamento del lavoro altrui.

Una resa dei conti dicevo (perché di  questo si tratta) essendo,  anche quello a cui avete assistito (il crollo del ponte), un “affare di Stato”.

E come un affare di Stato (cosa vuol dire – ad esempio – che ci siano parti di documenti “segrete” in queste vicende pubbliche?), uno dei mille altri, come vedrete, anche in questo che riguarda la Famiglia Benetton-Giancarlo Elia Valori, risulterà imbottito di intrighi, poteri occulti, politica corrotta e di malavita organizzata, in un perverso intreccio tra l’Italia ciclicamente ufficiale ed un’altra sotterranea. Che piaccia o meno allo “storico” Paolo Mieli, il mondo così ancora va. Per “serie di complotti”, più o meno ben riusciti. Rimuovere l’esistenza dell’Istituzione massonica nelle sue complesse articolazioni e trasformazioni permanenti potrebbe essere da dilettanti o, peggio.

Che palle, che palle, che palle dover scrivere sempre le stesse cose! Ma quale capitalismo? Queste sono tutte storie di appropriazioni truffaldine spacciate come attività,  geniali, messe in piedi da gente di qualità.

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Vi avevo annunciato turpiloquio, e che turpiloquio sia. I signori dei pedaggi, come in altre situazioni, hanno fatto semplicemente i froci con il vostro culo ma per non essere tacciato di omofobia aggiungo che qualcuno di loro ha fatto anche la puttana, ma sempre con i vostri orifizi. Scandali petroliferi, scandali per le ferrovie, scandali per le autostrade, scandali urbanistici, scandali per le forniture di armi, scandali per le carceri d’oro e per le lenzuola d’oro dopo quelli per le mine d’oro. Alternati (chissà perché?) sempre da scandali nei servizi segreti.

Ecco lo spartiacque degli applausi di ieri. La gente sa come sono andate le cose nei decenni ma scordatevi che gli applausi siano generosamente e unilateralmente elargiti. Quelli sì che sono una concessione, un contratto. E a tempo determinato. Il popolo sovrano ha detta la sua e in modo sacro, a prescindere da Bagnasco che certo non era lui che poteva rappresentare la sacralità e la solennità del momento. Starei “in campana” e ve lo dice chi a Genova ci ha vissuto. Gli austriaci ci dovettero fare i conti con le pietre xenesi. I tedeschi, quelli, dovettero fare i conti  con la determinazione di questa gente. La Volante Rossa ebbe a proprio a Genova non pochi episodi. Il luglio del ’60, non andrebbe mai rimosso. Per non parlare di cosa dovettero fare i carabinieri per poter immaginare di sconfiggere veramente le BR. A prescindere da Guido Rossa. Dire il G8 è altra cosa ancora ma anch’essa da non dimenticare.

Città simbolo e amata da quasi tutti gli italiani che non doveva essere offesa come invece i Benetton, in un atteggiamento arrogante e al tempo autolesionistico, hanno ritenuto di poter fare.

Consiglio chi ci governa quindi a non far precipitare questa vicenda nell’interminabile elenco delle scandalose incapacità a trovare colpevoli che siano gli assassini di Aldo Moro piuttosto che gli stragisti di Piazza Fontana, dell’Italicus, di Piazza della Loggia, di Bologna.

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In realtà la situazione è ancora peggiore: si trovano anche i responsabili ma è bene che non sia mai chiaro come è andata. Mai che in una sede politica credibile, e per tanto autorevole, chiunque possa capire bene chi ha fatto cosa e con che finalità. Un giorno gli italiani che avevano smazzato per decenni per avere delle Autostrade, delle stazioni di servizio dove essere riforniti di carburante o prendersi un caffè dopo aver fatto pipì, hanno dovuto prendere atto che un pregiudicato, giudiziariamente o, semplicemente umanamente, in quanto ripetutamente trovato a architettare il male, in Italia e nel Mondo, quale Giancarlo Elia Valori, prendeva il bene strategico e produttore di ricchezza e lo consegnava ai vari Marcellino Gavio, Gilberto Benetton. Questi signori hanno costruito un impero (per se e per altri) senza veri rischi d’impresa in quanto le concessioni sono state tutte organizzate da menti raffinatissime (vedete l’espressione che torna?) facendo leva esclusivamente sui flussi di cassa dei caselli e degli autogrill. Per Gavio, ad esempio, tutto è cominciato nel 1995 con la SATAP che gestiva la Torino -Piacenza. Voi pensate che non possano passare clienti da quelle parti e ben costretti a pagare il pedaggio? A far da socio a Gavio un nome che in pochissimi ricorderanno (ma non Leo Rugens): Vito Bonsignore, ex sottosegretario DC, dimissionario all’epoca per una tangente sull’Ospedale di Asti e in quanto tale a spasso. Fuori dal governo ma non dalla politica perché Bonsignore comincia il giro delle possibili allocazioni politiche e dopo essere stato doroteo, diventa andreottiano, poi UDC e, in fine (come ti puoi sbagliare?), alla Casa della Libertà con quelli liberi di fare come cazzo gli pare. Negli anni successivi questo Vito Bonsignore (e ditemi che in pochi sapevate chi cazzo fosse!) mentre si fa mantenere dall’Europarlamento (cioè sempre da voi) diventa il titolare del terzo polo autostradale d’Italia  (primo i Benetton-Valori), secondo i Gavio) perché Gavio, per toglierselo di mezzo, gli versa 287 miliardi di lire   per farlo uscire dalla SATAP e consentirgli di fondare la SILEC. Bonsignore diventa a sua volta un colosso quando vince appalti per miliardi con le concessioni della Ragusa-Catania e la Termoli-San Vittore.

Con la liquidità e la capacità di credito illimitato della SATAP (proprio come voi!), oltre a liquidare Bonsignore, Gavio acquista l’ASTM che gestisce la Torino-Milano, e via via con il cash flow (come voi!) di quel pezzetto di strada poco trafficata e dove clienti riottosi a pagare verrebbero inseguiti per mari e per monti), ha comprato il resto.

Poi per fortuna vostra è anche morto. Ottimo amico a suo tempo di Franco Nicolazzi, il ministro dei Lavori Pubblici (non posso crederci!) socialdemocratico, detto il “nonno di Tangentopoli”  per quante ne aveva combinate, si lega anche (e non solo ) al successore di Nicolazzi, tale democristiano Gianni Prandini detto, a sua volta, “Prendini”. Mi sembra che abbia fatto anche un po’ di latitanza questo Gavio e un assaggio di prigione prima di essere assolto (vedete che la giustizia funziona!) per … prescrizione! Che avevate capito? Dopo l’assaggio (finito bene come vi abbiamo anticipato) Marcellino “Pane e Vino” Gavio, si acchiappa la Serravalle che gli costò un’altro processo per corruzione e tangenti pagate a Bettino Craxi (quello ormai diventato per tutti uno statista e per di più onesto), al democristiano Gianstefano Frigerio (quello, ancora una volta quello), democristiano, e, udite udite, a Primo Greganti (quello, ancora una volta quello) come collettore del PCI. A parlare di Gavio e delle sue malefatte facciamo notte soprattutto se qualcuno dei miei lettori, attento e informato dei fatti, comincia a scrivermi spero divertito di queste mie “alzate sotto rete”. Il mistero di quella vicenda (eppure bisogna continuare ad avere fiducia) e che Gavio e tale Bruno Binasco si salvarono mentre la povera signora Enza Tomaselli (faceva la segretaria di Craxi, quello di cui sopra) si beccò più di due anni per aver aperto la porta di un’ufficio e ritirato, ciclicamente, delle buste marroncine che contenevano 250 milioni di lire alla volta. I grandi imprenditori di stò cazzo! Vi ho detto che il turpiloquio questa volta lo assumiamo noi in attesa di fare altri racconti per altre concessioni e d altre tratte. Chiudiamo con pagine lapidarie sulla Salerno-Reggio Calabria che non è un zuppa di pesce ma un tratto autostradale e lo facciamo a monito conclusivo di questa prima puntata sui “signori delle concessioni autostradali”.

Oreste Grani/Leo Rugens

P.S.

Come abbiamo già scritto, i Benetton avrebbero dovuto assumere altro atteggiamento. E che abbiano gravemente sbagliato (forma e sostanza) è confermato dalla campagna di odio contro i loro punti vendita che nella rete ha preso subito forma. Cosa che non doveva accadere perché l’odio si indirizzerà contro di loro e quella comunità che li ha fatti diventare ciò che sono e che li protegge.

Per le piccole cifre abbiamo deciso di prendere soldi da chiunque con le ormai semplici modalità del versamento sul circuito PayPal usando il nostro indirizzo e-mail:  leorugens2013@gmail.com

oppure un bonifico a Oreste Grani – IBAN  IT98Q0760103200001043168739


 

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