Il Ministro dell’Interno non dovrebbe mai violare le leggi e … fregarsene

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Il nostro sistema costituzionale (quindi la legge fondamentale della Repubblica) vieta di trattare le persone (tutti gli esseri umani), che siano cittadini italiani o meno, come di fatto vengono “utilizzate” in queste vicende dei respingimenti. Non si può fare, lo ripeto, per obblighi di legge e bisognerebbe che almeno ai livelli di governo di cui stiamo parlando, ci fosse piena consapevolezza di tali dettami/limiti.

Un pasticcio quello a cui assistiamo a Catania, ma poteva accadere in qualunque porto di questo Paese rivierasco. Tra poche ore la città siciliana dovrà misurarsi anche con Forza Nuova, le sue svastiche, la sue proposte violente. Nel futuro prossimo nessuno che non si sappia misurare con il fenomeno dell’andare e del venire delle genti (il processo in essere è complesso ovviamente) potrà dirigere Stati senza mostrare inadeguatezze tragiche. Chi non se la sente – o ritiene che basti fare così come vedo fare – è destinato a innescare ulteriori livelli di violenza e di odii irreversibili. E qui mi fermo passando ad altro.

Ero a Genova, giovinetto, quando la “piazza democratica” (i giovani con le magliette a strisce che menarono le mani erano poco più avanti di me negli anni) fermò Ferdinando Tambroni, in quel momento presidente del Consiglio dopo essere stato, nei gabinetti precedenti, ministro dell’Interno. Era il 1960 e già, in famiglia, avevo sentito parlare di un altro ministro dell’Interno duro “con i sovversivi” come Mario Scelba. Sono cresciuto con il mito/timore dei reparti celeri della Polizia di Stato provenienti da Padova per essere dirottati, se necessario, a sedare le piazze riottose.

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Non vi dico come ho potuto sentire parlare del genovese Emilio Taviani, sempre come ministro di Polizia. Poi ho avuto a che fare, personalmente, con Francesco Cossiga e i suoi comportamenti. Ministro dell’Interno di questo Paese è stato perfino Antonio Gava o la signora Maria Russo-Jervolino. Vincenzo Scotti è stato al Viminale, come Giuliano Amato. Abbiamo visto di tutto, fino alla degenerazione di criminali come Claudio Scajola o di vigliacchi patentati come Angelino Alfano messi a fare il custode delle istituzioni repubblicane. Angelino Alfano lo abbiamo addirittura visto, per la vigliaccata consumata a discapito del suo capo di gabinetto Giuseppe Procaccini nel Caso Shalabayeva-Ablyazov, visto promuovere Ministro degli Esteri. Vi lascio la galleria dei personaggi che si sono misurati con tale delicatissimo incarico con la sfumatura del ricordo che anche Benito Mussolini, nel cursus politico, è stato ministro dell’Interno.

Sono stati, prima di divenire presidenti della Repubblica (attenti a come si “sale”in questo Paese e attraverso quali “tappe”), ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, Carlo Azelio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro, Francesco Cossiga, Antonio Segni. Sono stati reggenti il Viminale anche Giulio Andreotti o, come accennato, Gava, Scotti o Scajola.

Comunque, tranne ovviamente Benito Mussolini, non vedo nessuno in questa ampia e variegata gamma di personaggi assumere un atteggiamento spavaldo alla “me ne frego” che, in queste ore affiora/si impone nel dire e nel fare di Matteo Salvini, attuale ministro dell’Interno.

Non mi dispiace, in linea di massima, un atteggiamento chiaro nei politici, intendendo di facile interpretazione. Con la sola eccezione (in questo è evidente che soffro di condizionamenti culturali e biografici) del Ministro dell’Interno che in nessun modo dovrebbe far intendere ai cittadini che “se ne frega” delle leggi vigenti. Mi ricorda troppo un Mario Borghezio, con annessi e connessi. Comunque, sperando di fare cosa utile alla rete perché si faccia una sua idea, pubblico il testo originale delle strofette che si canticchiavano quando Benito Mussolini se ne fregava delle leggi e andava al sodo. E così torniamo alle uova che hanno colpito la bella e bravissima Daisy Osakue.

Schermata 2018-08-23 a 17.08.07

“Mi volete processare”, è al limite del “me ne frego”. Tenete conto che mie fonti riservatissime ed altamente attendibili, mi confermano che anche il califfaccio Abu Bakr Al-Baghdadi vivo e vegeto, è stato marginalmente informato (sta uscendo ora-ora da un periodo difficile per cui avrebbe ben altre preoccupazioni) della destabilizzazione in atto in Italia e che se proprio si ritiene essere arrivato il tempo di colpirci, ci sono tutte le condizioni ottimali visto le contingenze da “scolaretti litigiosi” (vi ricordate quando girano queste espressioni  denigratorie cosa succede in termini di sicurezza?) che si delineano visto che il “posteggiatore abusivo” (così ho riferito, mesi addietro, qualcuno, di molto in alto in questo Paese, definisce Matteo Salvini) ha ripreso ad attaccare il legittimo inquilino del Quirinale. Perché di questo si tratta. Pertanto, senza tentennamenti, vediamo di darci una calmata.

Continuo a scrivere, fuori dagli scherzi sul califfo, che l’ora è grave e quanto accaduto ieri, magistratura in campo compresa, ci deve determinare alla massima vigilanza. I reati sono reati fino a quando ci sono leggi vigenti. Il Ministro della Repubblica non – non – non – non  può dare il cattivo esempio. O, viceversa, siamo alla vigilia di cose gravissime che neanche la mia fantasia esperta può immaginare. Ma allora mi taccio e faccio le mie scelte.

Oreste Grani/Leo Rugens

Squadrista

Il motto,

spregiudicato e schietto,

fu detto

da un baldo giovinotto…

Fu trovato molto bello,

se ne fece un ritornello

e il ritornello allegro fa così:

“Me ne frego!

Non so se ben mi spiego:

me ne frego:

fo quel che piace a me!”

L’Italia,

che chiede un posto al sole,

non vuole,

non può star sempre a balia;

il linguaggio suo rivela

ch’ella è uscita di tutela,

e a chi si scandalizza può ripetere così:

“Me ne frego!

Non so se ben mi spiego:

me ne frego:

fo quel che piace a me!”

Al mondo

gli affari sono affari;

gli affari

la ruota son del mondo;

ma l’Italia mette i cuori

nella scala dei valori,

e se non è capita può ben dir:

“Me ne frego!

Non so se ben mi spiego:

me ne frego:

fo quel che piace a me!”

Franchezza,

di marca italiana,

non vana

baldanza che disprezza…

Chi sa bene quel che vuole

non può dir tante parole:

per sbrigarsi gli conviene dir così:

“Me ne frego!

Non so se ben mi spiego:

me ne frego:

fo quel che piace a me!”

È strano,

c’è un ascaro che è allegro,

è negro,

ma parla in italiano…

Per provar che parla bene,

proprio come si conviene,

ripete a perdifiato tutto il dì:

“Me ne frego!

Non so se ben mi spiego:

me ne frego:

fo quel che piace a me!”

squadracce

P.S.

Come vedete, nel testo, non mancano neanche i “negri” come li chiamerebbe il massimo teorico di questi pensieri leghisti/razzisti  l’amorale Mario Borghezio.