Per troppi motivi, l’Italia entrò in Europa come un Paese di serie B
Strana affermazione in una fase storico-politica caratterizzata da una giusta critica (ormai, purtroppo, troppo stereotipata e per niente portatrice di soluzioni neo-visionarie) all’Europa, istituzione che anche in queste ore (la Commissione Europea ci ha sfanculato come raramente era accaduto) si è mostrata matrigna con le genti e utile, viceversa, esclusivamente alle élite finanziarie. Anzi, per non lasciare spazio ad equivoci, certi che saremmo arrivati a questo bordello guerreggiato, in tempo non sospetto, abbiamo scritto post su post relativi alla dittatura europea e a quei tiranni (anche re e regine!) che la manovrano al solo scopo “bancario” di fare soldi. E alle loro condizioni.
Quello che sto per scrivere si chiama in realtà “non rimuovere le gravissime responsabilità di una classe dirigente italiana in sella per decenni e che in parte ancora si aggira nei palazzi del potere”. Più avanti, comunque mi farò meglio intendere.
In queste ore, in occasione del secondo anniversario del terremoto verificatosi, il 24 agosto 2016, con epicentro alcuni comuni della terra laziale-umbro-marchigiana, di sugo alla matriciana. Quel sughetto lo conosco e lo apprezzo da quando l’ho mangiato la prima volta.
Ad un signore anziano quegli avvenimenti drammatici (il sisma), suggeriscono, però, altri ricordi.
Sempre grato comunque alla vita per l’esistenza di chi il guanciale, gli spaghetti, il pecorino, il peperoncino, l’olio extra vergine d’oliva, il vino bianco, sale, pepe e il pomodoro li sa usare e bilanciare fino a farli diventare oro rosso da condimento. Tornado all’anniversario della tragedia, dicevo che mi ricorda altro che tavole imbandite e non ho intenzione di mordermi i polpastrelli con cui scrivo. Mi ricorda, ad esempio, l’Irpiniagate.
La macchina del tempo mi trasferisce in anni (che vengono spesso sottovalutati nelle ricostruzioni dedicate a quanto accaduto precedentemente al mitico 1992, inizio, come ricorderete, di Tangentopoli e del Pool di Mani Pulite) quali il 1988 o 1989.
Se infatti tra il 1987 e il 1988 la tempesta politico-giudiziaria aveva squassato il PSDI non trascurando addirittura l’ex segretario del partito Pietro Longo, a quel punto della marcia di avvicinamento al mariolo Mario Chiesa e il suo cesso inutilmente intasato di mazzette, alla fine del 1988 il ciclone giudiziario si abbatte sulla DC nella persona di uno dei suoi segretari di lunga durata nonché presidente del consiglio dei ministri dell’epoca, Ciriaco De Mita. Per intendersi, quello ancora vivo e per un periodo, anche recente, in rapporto politico con figuri alla Matteo Renzi.
All’origine dello scandalo definito “Irpiniagate” (ecco di cosa vi ho cominciato a parlare) vi è stata un inchiesta di tale Paolo Liguori (quello) che poi, ritengo anche per un complesso gioco di “premi”, diventerà il futuro direttore del Il Sabato, entrando professionalmente in un circuito altro da quello che le sue esperienze politiche giovanili avrebbero fatto ritenere. Quando con grande abilità e tenacia Liguori parte all’attacco di quella DC, lavorava per il Giornale Nuovo, diretto da Indro Montanelli, permaloso giornalista che aveva conti personali da regolare con De Mita a seguito di una querela che lo stesso aveva presentato avendolo Montanelli definito un “padrino”. Certamente l’attacco frontale a De Mita faceva parte di colpi bassi che volavano nella guerra intestina ala DC e in cui, con modalità complesse, si inserisce appunto l’inchiesta di Liguori. Fatto sta che De Mita cade sia come segretario del partito che, dopo pochi mesi, come Presidente del Consiglio dei Ministri.
Rimane il fatto, incontrovertibile, che l’inchiesta prima giornalistica e poi di una apposita commissione parlamentare bicamerale (presidente il DC Oscar Luigi Scalfaro, magistrato e futuro presidente della Repubblica e vice-presidente il senatore del PSI Achille Cutrera) portò alle seguenti conclusioni: (siete seduti?) dei circa 70 mila miliardi stanziati, 50 mila sono “finiti nel nulla”.

Paolo Liguori
Ripeto: su 70 mila, 50 mila se li sono pappati. Di questo orrore politico, amministrativo, etico, morale trattò l’inchiesta giornalistica di Paolo Liguori.
E avevo voglia di ricordarlo a chi non lo sapesse. Ho conosciuto personalmente sia Liguori che, come altre volte ho scritto, il futuro padrino/padrone de il Sabato, Vittorio Sbardella. Cioè il mossiere di quella che più avanti sarà la Compagnia delle Opere. E dico tutto.
Si trattò della più colossale distribuzione (con modalità fraudolente) di denaro pubblico dall’Unità d’Italia. Accaparramento avvenuto su morti feriti distruzioni di massa a seguito del solito provvidenziale terremoto.

Ciriaco De Mita
Il resto sono chiacchiere e il riferimento che mi sono permesso di fare alla Comunità europea in capo al post, deriva dal fatto che tra le somme sperperate durante la ricostruzione post terremoto vi furono quelle provenienti dal Fondo europeo di sviluppo regionale. A tal proposito come pensate che abbia reagito un cittadino medio membro della Comunità europea all’apprendere che un’opera pubblica appaltata per 25 miliardi in Irpinia (Italia), negli anni, raggiunse, in sede di consuntivo, i 400 miliardi? Non 40! Dovete aggiungere uno zero! Se non mi volete credere mettete mano alla rete e datevi da fare. 400 miliardi che si mimetizzavano annegati negli altri 70.000 che era stato necessario trovare per “pagare” i lavori di ricostruzione post sisma in quel territorio circoscritto. Non dovemmo ricostruire tutto lo Stivale ma “solo” una parte consistente dell’Irpinia. La verità e che ci siamo fatti riconoscere spesso come dei ladri e dei corrotti. Senza pensiero strategico politico-culturale (non solo riducendo tutto ad un calcolo contabile come sento per l’ennesima volta fare), ogni riferimento all’Europa ci metterà in un vicolo cieco, vasi di coccio tra Germania, Stati Uniti, Russia e Cina. Ho messo anche Cina perché vorrei suggerire, in coda a questo post composito più di altri, una qualche forma di riflessione su alleanze possibili con i “comunisti colti e intelligenti” che governano a Pechino. Gente seria, appunto, come alcuni imprenditori italiani in queste ore, in visita commerciale, si stanno accorgendo essere i cinesi. La Cina, finalmente, se sapessimo approfondire le modalità di un tale complesso rapporto d’affari e ci decidessimo ad adeguarne la lettura politico-culturale, potrebbe divenire la soluzione. Non solo per l’Italia ma per il nostro bacino naturale di riferimento cioè il Mediterraneo con le sue problematiche e opportunità. Opportunità a cui i cinesi sono ovviamente interessati ma potrebbero essere pronti anche a dare un contributo alla soluzione dei problemi. Cose non da poco a cominciare dall’ulteriore valorizzazione del Canali di Suez e ciò che quell’intuizione/sogno visionario, alla fine realizzata nel 1869, ha innescato.
Oreste Grani/Leo Rugens
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