Manafort ha tentato di patteggiare nuovamente, ma Mueller non glielo ha consentito

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Ragazzi, siamo negli USA, Paese certamente caratterizzato dalle sue mille e mille contraddizioni ma dove, se non non non ti fanno semplificare la tua situazione giuridica, ci possono solo che essere gravi motivi.  Soprattutto, vuol dire che il signor Procuratore Speciale mira ad altro. E, da quelle parti, i conti da questo punto di vista, se li sanno ben fare.

L’ex capo della campagna elettorale di Donald Trump, dopo il verdetto incassato al Tribunale di Alexandria che lo ha visto condannato per ben otto capi di accusa, prevalentemente ruotanti intorno a cose che negli USA sono cazzutissime (frode fiscale), ora dovrà, ultrarapido squibb, il 17 settembre p.v., affrontare un altro processo, dove, dopo la notizia della rottura degli accordi (materia ovviamente segreta ma che si presume impegnativa per entrambe le parti essendo in gioco non solo la violazione delle leggi ma di fatto indirettamente equilibri geopolitici planetari) le cose si potrebbero mettere malissimo. E se si continuano a mettere malissimo per lui, la marcia di avvicinamento alle elezioni di novembre potrebbe farsi ulteriormente in salita per Trump. Gli USA, tra l’altro, sono anche questo e la democrazia, con alterne vicende, da quelle parti dura da secoli perché si mettono in moto con modalità non sempre di facile lettura i famosi bilanciamenti che nelle dittature sostanziali (in Russia ci sono da secoli solo che assolutismi, prima con gli Zar Romanov e poi con gli zaretti comunisti e post comunisti) non hanno cittadinanza.

Mi sembra per tanto quello a cui stiamo assistendo uno scontro politico-giudiziario di grande fascino e attestante lo stato delle dinamiche interne agli Stati Uniti d’America.

Ci si avvicina a grandi passi ad una stagione infuocata dove, come mi sono permesso di consigliare a chi si è sceso recentemente in politica, quella estera è quasi tutto.

Intendendo ancora una volta dire che avere strumenti di previsione interpretativa sugli scenari possibili consiglierebbe la prudenza opportuna su facili innamoramenti in geopolitica euroasiatica di cui si intravedono alcune semplificazioni anche in queste ore.

Novembre si avvicina e con esso le elezioni di mezzo termine. Pertanto un occhio da quelle parti, ben aperto, lo terrei senza atteggiamenti di subalternità ma neanche come gli ultimi degli sprovveduti.

Se Leo Rugens è tra i pochissimi luoghi telematici che, grazie alla attenta lettura di una fonte aperta di analisi politica e di cose complesse come sono gli scritti di Stefania Limiti,  previde, con largo anticipo (era il 26 gennaio 2016 – STEFANIA LIMITI SEGNALA UN GRAVE PERICOLO IMPLICITO NELLA “RESISTIBILE ASCESA” DI DONALD TRUMP) la vittoria di Donald Trump (e non poche delle conseguenze in atto) questo prudente consiglio della massima attenzione alle vicende statunitensi rispetto non solo alle prestazioni sessuali a vantaggio del Presidente, lo seguirei. Soprattutto non considererei liquidato il groviglio bituminoso del Russiagate.

NATO

Oreste Grani/Leo Rugens l’ultimo dei “Atlantici d’Italia” che non vuol dire essere atlantista a sovranità limitata ma solo banalmente essere stato “qualcosa” e con “qualcuno” a tempo debito.

 

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