Paul Celan e la raffinatezza intellettuale di Dario Borso, anche nel tradurre e curare

Dario-Borso

Da ignorantone di quasi tutto, come mi ritengo essere, ho imparato ad amare Italo Calvino quando scoprii che era il traduttore/curatore dei “I fiori blu” di Raymond Queneau. Sono partito da lì per capire la dimensione di Calvino, a riprova che ognuno segue un proprio percorso per formarsi. Soprattutto gli autodidatti come sostanzialmente sono, non avendo alcuna istruzione universitaria o accademica.

Potete immaginare la fierezza che provo nel mettere in rete questo post. Perché, se non ve lo ricordate voi ci penso io, Dario Borso è anche uno dei conversatori del primo Corso di Formazione alla Polis che ora sta per iniziare.

Se oggi, proprio oggi, alle 15:00, non dovessi andare ad una riunione per mettere a punto gli ultimi particolari dell’inizio del Corso, me ne sarei andato (ho una tessera che mi da forti sconti sui treni) a Bologna ad assistere alla cerimonia di premiazione per congratularmi personalmente con Borso.

L’Ubiquità che teorizzo nell’Intelligence (è altra cosa infatti) non mi consente di essere nelle due città e il dovere verso la “creatura corso”, mi inchioda a Roma.

Celan, oltre che grande poeta figlio della sofferenza infinita provocata dai nazisti persecutori e sterminatori della sua famiglia, fu anche accuratissimo traduttore e mi immagino l’impegno che ci sarà voluto per “tradurre un traduttore”. Impegno e rischio. Amo Borso, tra l’altro, per questo suo accettare i rischi. Come è quello di venire a tenere conversazioni alla nostra marginale e ininfluente scuola di Necessaria Intelligenza dello Stato.

Buon pomeriggio bolognese.

Oreste Grani/Leo Rugens

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P.S.

Tenete conto, tra l’altro, che “Celan” e anagramma di “Ancel”, suo vero cognome.

E voglio aggiungere che Celan/Ancel si uccide in un fatale “ultimo aprile”, mese caro ai suicidi. In un “14 aprile” si uccise infatti anche il gigante Majakovchij. Il 15 aprile del 1986 fu la volta di Genet. Il giorno di Celan fu il 20. E così altri.

Perché di aprile, è questione irrisolta. Si dice legata – forse – alla fine dell’inverno (nel nostro emisfero) e al rifiorire della speranza primaverile. D’inverno si tiene duro e a primavera si cede? In primavera avanzata infatti “statisticamente” (e mi scuso per la semplificazione) aumentano i suicidi. Soprattutto fra le persone ad alto tasso di sensibilità ed intelligenza. Forse i delusi, i traditi. Forse indotti al gesto dall’indifferenza o da altro. Certamente la Mauser (matricola 312045) con cui si sparò Majakovskij gliela aveva regalata, anni prima, tale Jakov Agranov, un membro non da poco della vecchia OGPU, la mamma del KGB. E nel regalargliela aveva aggiunto: “Vediamo se hai fegato”. Ai funerali del poeta russo andarono 100.000 persone. A quello di Agranov, un numero non pervenuto.

Mi andava di ricordare cosa, tra l’altro, può accadere d’aprile.

E mi va di ricordare (come i cavoli a merenda?) che sul suicidio di Majakoskij scrisse un romanzo Francesco Berardi, detto Bifo. Bolognese come a Bologna oggi si tiene la premiazione di cui ho voluto lasciare traccia nel blog. Era il giugno del 1977 e da poco erano state vissute giornate insanguinate soprattutto a Bologna. Meno di un anno dopo veniva ucciso Aldo Moro, sostanzialmente nell’ultima primavera italiana. La stagione dei suicidi.

Oggi il Teatro della Memoria mi gioca brutti scherzi.

Forse (anzi così certamente) sono state le libagioni di un astemio a cui mi sono sottoposto, nelle ultime ore di festeggiamenti, in compagnia degli amici rimastimi.