Divagazioni sull’uranio impoverito. E non solo – U238

A settembre 2018 viene dato alle stampe un libro di Meo Ponte, giornalista di guerra, dedicato ai soldati italiani che hanno operato in alcune “missioni di pace”.

L’autore non fa soverchie polemiche, si limita a constatare che il Paese non ha coscienza né memoria delle gesta dei propri soldati. Perché? Ai lettori l’ardua sentenza.

Noi ci accontentiamo di rubare una lunga citazione e di incollarla a cappello di un ragionamento sullo stesso tema: l’U238, affrontato senza giri di parole da Raimondo Caria alcuni mesi prima, in questo blog si intende.

Se il Corso di Formazione alla Polis si potesse avvalere anche della sua esperienza e della sua memoria e della sua conoscenza, credo che il Paese e noi tutti ne avremmo un immenso giovamento.

Buona e amara lettura delle parole dell’ufficiale medico Francesco Papadia, ex ufficiale, poiché malato di U238.

Da quel giorno invece i rapporti tra l’ufficiale medico italiano [Francesco Papadia] e i colleghi britannici diventano ancora più stretti. «Un giorno mi invitarono a fare un giro in elicottero sulle zone limitrofe a Pristina. Dall’alto mi mostrarono le aree bombardate e quelle che, secondo i loro comandi, erano ancora completamente seminate di mine. Appena arrivato alla base italiana, d’altronde, mi avevano messo in guardia circa i terreni minati e mi avevano insegnato una regola fondamentale: camminare sempre in zone battute e possibilmente cementate. I miei colleghi britannici mi accompagnarono poi a vedere un gigantesco container che, con malcelato orgoglio, mi descrissero come un impianto di filtraggio dell’acqua che usavano. Ero stupito che avessero portato un tale impianto sin dall’Inghilterra quando noi italiani ci approvvigionavamo per il nostro bisogno di acqua dalla rete idrica locale. Glielo dissi e loro, inorriditi, mi spiegarono che l’acqua la depuravano tramite il gigantesco filtro che mi avevano appena fatto vedere. Ammisero però di non poter competere con gli americani. Come al solito i loro ricchi ’cugini’ potevano contare su una gran dovizia di mezzi. Al punto da far giungere direttamente dagli Stati Uniti con aerei cargo l’acqua utilizzata nelle loro basi non solo per bere o cucinare, ma anche per le docce e gli scarichi dei gabinetti. Una rivelazione che, oltre a sorprendermi, mi riportò alla memoria quelle voci sull’uranio impoverito sentite alla caserma Vannucci.» Che gli americani fossero consapevoli del pericolo rappresentato dalla presenza di uranio impoverito è confermato anche dal diario di Gianluca Danise, un incursore dell’Aeronautica, un «falco blu», veterano di molte missioni all’estero: dal Kosovo all’Albania e dall’Afghanistan all’Iraq. Danise, che è scomparso nel dicembre del 2015, annota al ritorno dal Kosovo: «Vedevamo gli americani e ci chiedevamo perché girassero bardati a quel modo. Sembravano marziani, sembravano personaggi di quei film tipo Virus. Avevano attrezzature per maneggiare i materiali di cui noi non disponevamo. Non ci siamo mai domandati perché loro fossero così equipaggiati, e pensavamo che esagerassero. Dopo il Kosovo, al rientro dalla seconda missione che ho svolto in Eritrea, cominciai a leggere i giornali e mi si gelò il sangue. Era l’epoca in cui si iniziava a parlare dell’uranio impoverito. Speravo di non essere tra gli sfortunati. Invece nel 2010 è toccato a me. È partito tutto da un mal d’orecchie…» Il malessere all’orecchio si rivela un tumore alla rinofaringe, probabilmente originato dalle particelle velenose respirate in Kosovo. Danise, che nel novembre del 2003 a Nassiriya aveva ricomposto i resti dei soldati uccisi dall’attentato alla base Maestrale, è stato un eroe anche quando la malattia lo ha sopraffatto. Le sue ultime volontà sono state quelle di essere sepolto in divisa, con appuntati i nastrini delle diverse missioni fatte e avvolto nella bandiera italiana. […]

Da anni, pur non essendo più andato in missione, Francesco Papadia combatte una guerra interminabile. Che non è però solo sua. «Chi per atti di eroismo o semplicemente per essere ligio al suo dovere ha subito menomazioni o chi, come me, ha subito un indubbio danno fisico in missione, quando è tornato in Italia ha dovuto combattere una guerra molto più dura di quelle che si combattono al fronte. Una guerra inaspettata e dolorosa. Una guerra per spingere le diverse istituzioni a riconoscere il danno fisico direttamente o indirettamente causato e a risarcirlo. La definisco una guerra dolorosa perché mai uno come me che ha giurato fedeltà perenne all’Arma dei carabinieri e alla Costituzione della Repubblica, mai si sarebbe aspettato di trovarsi di fronte a tanta indifferenza. Con la malattia ho scoperto di essere rimasto improvvisamente solo e che il sacrificio compiuto, come quelli ancor più estremi fatti da altri, veniva dimenticato nella più completa indifferenza. Ho dovuto affrontare non solo il calvario degli interventi ma anche le costosissime spese delle cure mentre contemporaneamente venivo privato del mio grado e della mia carriera militare. Ho perso la famiglia e il lavoro che amavo e ho dovuto, per far valere i miei diritti, inoltrarmi in una giungla di leggi e regolamenti che paiono studiati appositamente per insabbiare ogni richiesta di risarcimento. Ho potuto però capire che ero e sono davvero un combattente che non si dà mai per vinto. Che si può cadere, ma ci si può rialzare e rimettersi in piedi. Sono certo che qualunque cosa mi accada resterò in piedi per sostenere lo scontro sino alla fine. Ho conosciuto anche dei veri eroi. Come gli avvocati e i medici legali che si battono per il riconoscimento dei danni subiti. E soprattutto come quegli uomini che sono partiti un giorno per portare pace e sicurezza in Paesi che hanno avvelenato i loro corpi. Uomini che però non hanno mai rinnegato le loro scelte né i loro valori».

Meo Ponte, Eroi di una guerra segreta: Le scomode verità delle “missioni di pace” italiane, Longanesi, 2018

Massari3

 

14 febbraio 2018

Le “divagazioni” che potrete leggere di seguito, frutto di anni di studio, di esperienza e di sofferta partecipazione a eventi bellici e politici che hanno segnato oltre cinquant’anni di vita del Paese e non solo, sono la puntuale conferma a un tema che affiora prepotentemente tra le righe ovvero il difficile rapporto tra mondo militare / intelligence e politica.

Scrive Christopher Andrew nel maggio del 2001, nel saggio L’intelligence nel XXI secolo, in “Per Aspera ad Veritatem”, rivista del SISDE: “Il vero problema per l’intelligence dei nostri tempi non è la raccolta informativa, non è l’analisi, non sono i rapporti con le altre comunità di intelligence, è il rapporto con il livello politico“.

Vero per il mondo intero ma non del tutto per l’Italia dove, da troppi anni, la criticità di cui parla Andrew quasi non si pone perché una vera attività di raccolta informativa, di analisi, di rapporto con le altre comunità di intelligence che sia all’altezza della ipercomplessità determinata dalla somma della globalizzazione e dell’infosfera sono ristrette a pochi silenziosi, capaci e inascoltati funzionari. Nel Paese sono quasi del tutto cessate le relazioni con il livello politico perché non esiste più, o quasi, la politica, cui corrisponde, di necessità, una grave crisi dell’intelligence. I rapporti tra questi due mondi sono troppo spesso circoscritti a questioni di tipo affaristico e raramente a sinergie finalizzate a difendere la Costituzione e gli interessi tangibili dei cittadini italiani.

Comprendere la realtà dei fatti richiede una altissima esperienza e specializzazione, poterla esprimere, fatto salvo il principio della riservatezza, richiede una totale libertà da condizionamenti di qualsivoglia natura, soprattutto dall’inclinazione ad auto censurarsi, oltre a un costante esercizio di analisi scevra da qualsivoglia interesse.

Se il dovere di chi guida una comunità, civile o militare che sia, è anche salvaguardarne la integrità, ne deriva che i temi della sicurezza debbano essere pensati e svolti nella più assoluta serenità di giudizio che solo la libertà e una professionalità costruita sul merito e con criteri adeguati alla complessità degli eventi possono fornire.

Alberto Massari

Uranio-impoverito-la-storia-infinita

DIVAGAZIONI SULL’URANIO IMPOVERITO

Il caso dell’uranio impoverito ha messo ancora in evidenza la grottesca combinazione dello spregiudicato imperialismo USA e del tragico servilismo e criminale negazionismo italico.

Da una parte la pericolosità per l’uomo – dell’impiego, tecnicamente redditizio, dell’uranio impoverito nei proiettili perforanti – è riconosciuta dagli USA che, che da anni, preparano e proteggono i loro soldati.

Dall’altra, un’italica genuflessa irresponsabilità negazionista ha portato all’improvvisazione dell’impiego delle nostre Forze Armate in terreni contaminati, prive di adeguate protezioni ed addestramento; con conseguenze letali non solo per la salute del Personale, ma anche per le ricadute sul morale della Nazione e, quindi, sul consenso dei Cittadini, senza e con le Stellete, nella loro classe politica, la quale non avrebbe avuto necessità di continuare a squalificarsi.

Quanto sopra a prescindere dal dissennato impiego di tali proiettili in regioni europee popolate!

Importante aspetto inoltre, forse meno valutato, è la caduta di dignità e valore dell’Italia nel ruolo di “NATO Allied” – causata dall’adesione servile ed acritica dello sciagurato impiego delle nostre Forze Armate su terreni contaminati – non solo agli occhi degli USA, ma di tutti gli altri paesi, Alleati e non. Con perdita di prestigio surrogata da feroci cadute in campo diplomatico, come gli indecenti casi Gheddafi, Marò, Shalabayeva illuminano e l’ultima inutile grottesca visita di un nostro Primo Ministro a Berlino evidenzia.

Sull’Europa e sull’Italia, in particolare, civiltà e vocazione umanitaria imporrebbero un più incisivo ruolo etico nel flemmatizzare la violenza della diffusione di potere  USA – peraltro imposta da interessi finanziari, indotta e favorita dalla specifica struttura identitaria imperialista, rigogliosa sull’humus del wild West – anche per tentare di estendere, oltre la caduta della contrapposizione al comunismo, la credibilità dell’Occidente e della NATO, unico organismo politico internazionale dotato potenzialità militare, di struttura di comando e controllo collaudata, regole standardizzate e linguaggio comune, quindi insostituibile ancora, a livello globale, in assenza di una auspicabile concreta espressione di forza, almeno in ruolo di deterrenza, da parte delle Nazioni Unite.

Ostruznica_Highway_Bridge

990601-O-9999M-004 Post-strike bomb damage assessment photograph of the Ostruznica Highway Bridge, Serbia, used by Joint Staff Vice Director for Strategic Plans and Policy Maj. Gen. Charles F. Wald, U.S. Air Force, during a press briefing on NATO Operation Allied Force in the Pentagon on June 1, 1999. DoD photo. (Released)

Senza avere la presunzione di entrare nel merito delle scelte politiche politico-militari USA, si potrebbe però considerare che le stesse difficilmente trovino consenso unanime nei funzionari del Pentagono e dei Servizi di Intelligence, specie quando siano dettate da prevalenti interessi dell’inquilino della casa Bianca e degli amici che lo hanno sostenuto per abbordarla. Come, ad esempio, dimostra il caso clamoroso delle dimissioni del Generale Eric Shinseki, Chief of Staff US Army (https://en.wikipedia.org/wiki/Eric_Shinseki ), esploso per il suo forte disaccordo con Bush e Rumsfeld sulle modalità dell’intervento in Iraq nel 2003. Shinseki – orgoglioso hawaiano proveniente dalla Cavalleria, con alle spalle delicati compiti in Europa e nei Balcani ed una gamba spezzata via da una mina antiuomo durante la sua seconda missione in Vietnam – era considerato, in ambito nazionale e NATO, Soldato di assoluta eccellenza ed onestà intellettuale.

Si potrebbe inoltre considerare che l’esaltazione  degli interessi egoistici del gruppo di potere e del fattore Tempo (esaltazione influenzata in campo militare dalla spregiudicata accelerazione del potere  tecnologico-finanziario e dell’ultradinamica new-economy,  a discapito del fattore Politico) induca i decisori ad avventate precarie operazioni, di immediato dirompente successo sul piano tattico  ed eventualmente strategico, nel breve periodo, e politicamente catastrofiche e destabilizzanti a posteriori.

I più preparati ed intellettualmente onesti Ufficiali USArmy, pur usando una certa cautela, non si fanno problemi ad esprimere il loro dissenso; luminoso segno di contraddizione, maturità civica e democratica. Nel 1999 Ufficiali USArmy in servizio a SHAPE, a Casteau (Mons) si rammaricavano dell’indecente decisione di Bill Clinton di bombardare Belgrado ed i ponti sul Danubio. Operazioni inutili, strategicamente e politicamente dannose, tecnicamente assurde, umanamente inaccettabili.

Defense.gov_News_Photo_990430-O-9999M-004

I ponti, tra l’altro, l’arte della guerra vuole si abbattano solo in caso di operazioni in ritirata, quando si considera con certezza che non potranno essere riconquistati almeno per tutta la durata del ciclo operativo in essere. Le operazioni offensive, al contrario, esigono la loro salvaguardia nell’auspicabile ipotesi del loro prossimo impiego.

Altri segni di forte dissenso emergono negli Ufficiali USArmy a Bagdad i quali, nell’agosto 2004, non si fanno remore nell’esprimere la loro indignazione per la decisione di George W. Bush di destabilizzare l’Iraq, anche per gli interessi della sua casta nella gestione del supporto logistico (sostegno completo ad almeno 125.000 Soldati e ad un numero smisurato di veicoli e velivoli)  e di sicurezza, con l’impiego di società private (almeno 25.000 contractors, nella sola Bagdad, retribuiti con almeno 5.000 $/mese = 125.000.000 $/mese di soli stipendi); interessi trattati direttamente dalla Casa Bianca che aveva completamente cortocircuitato il Pentagono nella gestione delle relative gare d’appalto.

Defense.gov_News_Photo_990601-O-9999M-003

Defense.gov_News_Photo_990430-O-9999M-005

Alla caduta etica, paesi sempre meno democratici tentano di porre rimedio con l’intensificazione paranoica di strategie indirette a supporto dalla loro pseudo-verità, veicolate da un poderoso sistema mediatico capace di influenzare capillarmente – ma, grazie al Web, solo temporaneamente – le masse interne e dei paesi interessati; mettendo particolare cura ed intensità nella propaganda verso le proprie Truppe. Fino all’asfissiante metodo USA di ossessiva interruzione dei programmi televisivi per le Truppe fuori area, con esaltanti ed iperbolici spot “superman-patriottici” ai quali nessuno crede; a dimostrare che in assenza di valori, il Soldato completamente disumanizzato – oramai vulnerabile automa psicologico-pneumatico – prima di morire in guerra avrebbe bisogno di essere sostenuto dai monitors, per non sgonfiarsi.

Raimondo Caria

novisadmost

Novi_Sad,_Štrand,_pohled_na_Most_Slobode

Nota

Per gli approfondimenti tecnici si suggerisce la lettura del sito dell’Università di Trento, ricco di informazioni dettagliate sull’urano impoverito, delle quali si riporta per comodità uno stralcio:

. Radioattività: L’uranio impoverito è un materiale a bassa attività specifica (low specific activity LSA) ed emette radiazioni alfa beta e gamma. La radiazione alfa è la più insignificante come radiazione esterna, in quanto basta lo strato epidermico per fermare le particelle alfa. Il problema però si verifica quando quantità anche piccolissime di uranio impoverito vengono ingerite o inalate, in quanto dato che sono altamente ionizzanti a breve raggio, risultano potenzialmente più pericolose delle particelle beta o gamma.

. Tossicità: L’uranio impoverito, come il piombo, è un metallo pesante tossico che, se assorbiti in quantità sufficienti (in polvere o fumi), può avere effetti letali. Il fatto che sia radioattivo comporta però una maggiore facilità nell’individuarlo rispetto ad altri metalli non radioattivi quali il piombo, il tungsteno o il tantalio.

. Piroforicità: È il fenomeno per cui si ha una rapida ossidazione in aria del materiale in considerazione. L’uranio impoverito risulta piroforico solo se viene finemente diviso in particelle. Nel caso contrario, se si ha un pezzo compatto, la reazione di ossidazione sarà più lenta e si potrà passare in pochi giorni da un colore marroncino “the” fino al nero. I maggiori problemi si hanno quindi nelle lavorazioni meccaniche, quali tornitura, fresatura, finitura ecc in quanto si raggiungono temperature che possono innescare in truciolo. Per questi motivi durante la lavorazione si usano dei refrigeranti e il truciolo viene isolato dal contatto con l’ossigeno tramite oli minerali. Nel caso che, in queste particolari situazioni, l’uranio impoverito si incendi, si procede ad isolarlo dall’ossigeno ricoprendolo con della polvere di graffite e delle polveri chimiche estinguenti. L’acqua non deve essere mai utilizzata su incendi che coinvolgono l’uranio in quanto reagirebbe con il metallo caldo producendo idrogeno che esacerberebbe la combustione.

. L’Uranio impoverito fu scelto definitivamente per la sua grande disponibilità, del la sua alta densità e per la sua piroforicità. Il tungsteno presenta inoltre i problemi di essere importato per il 50% dalla Cina e di avere alta temperatura di fusione (3410ºC) rispetto all’Uranio impoverito metallico (1132ºC)

. La superficie del penetratore all’Uranio impoverito si incendia all’impatto (specialmente con l’acciaio) e si fonde parzialmente a causa dell’alta temperatura che si genera nell’impatto e questo porta ad una grandissima efficienza di perforazione anche nelle corazze di ultima generazione.

. Quando un penetratore di Uranio impoverito impatta contro l’armatura di un obiettivo, il 18 – 70% dello stelo del penetratore brucia e/o si ossida in polvere di colore nero con riflessi che vanno dall’oro al verde. Dei 2 tipi di ossido di Uranio, l’UO2 non è solubile nell’acqua, mentre l’UO3 che è solubile nell’acqua formerà ioni (UO2)2+. L’aerosol di ossido di Uranio impoverito che si forma durante l’impatto ha il 50 – 96% di particelle respirabili (con diametro minore di 10 µm) e il 17 – 48% di queste particelle sono solubili in acqua. Mentre le particelle più pesanti che non sono respirabili decadono a terra in poco tempo, l’aerosol respirabile di Uranio impoverito rimane presente in aria per ore.

. La solubilità delle particelle determina la velocità con la quale l’Uranio impoverito si trasferisce dal sito di interiorizzazione (polmoni per l’inalazione, il tratto gastrointestinale per l’ingestione e le ferite per la contaminazione da lacerazione) al flusso sanguigno. Circa il 70% dell’Uranio impoverito solubile viene espulso con le urine entro le 24 ora dalla contaminazione senza depositarsi in tessuti organi o ossa. Il rene è l’organo più sensibile alla tossicità dell’Uranio impoverito. Quando vengono respirate particelle di Uranio impoverito circa il 25% di queste vengono intrappolate nei polmoni dove le particelle insolubili possono rimanervi per anni.