Oltre che insegnante ed ostile agli avvocati in Parlamento scopro il sen. Morra “melomane kalergiano”

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Come certamente avete capito, provo a seguire, con la doverosa attenzione, quanto il senatore del M5S, Nicola Morra, genovese trapiantato in Calabria, dice e fa. Questo da quando, in particolare, ho appreso che il mio MoVimento lo considera “l’uomo giusto al posto giusto”, candidandolo al vertice della Commissione Antimafia. E non in modo unanime. Ora leggo che ama l’Inno alla Gioia di Beethoven. E chi non ama quella musica sublime?

Eviterei, comunque, di considerare quella musica l’inno per una patria europea in quanto ritengo, ma certamente mi sbaglio, che gli inni, per essere elemento di unificazione, debbano essere anche cantabili. Se non canticchiabili, ricordandoci le parole. In questo caso entro in difficoltà perché non ricordo il testo di tale inno con le parole emotivamente forti che possano essere cantate. Mentre non riesco a ricordare le parole dell’Inno alla Gioia della Nona Sinfonia di Beethoven, sono certo che questo brano sia stato adottato come inno europeo dopo molti ripensamenti (poi, mi sembra, ma io comincio ad essere vecchio e tardo – come direbbe Mario Luzi – anche formalmente abbandonato) su indicazione di tale Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi il quale, essendo austriaco e abitando a Vienna, l’aveva già fatto eseguire in apertura del convegno organizzato nella sua città per il lancio di Paneuropa, nel 1926. Paneuropea quella. Ho scritto Coudenhove-Kalergi, cioè il massone che ha ispirato quasi tutti i passi che – pedissequamente – in molti ancora seguono senza riuscire ad elaborare un proprio pensiero autonomo d’Europa.

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Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi

Il professore di filosofia Morra, evidentemente anche melomane, mi cade su uno degli inciamponi può delicati in questa storia dell’Europa che, come è notorio, si prepara a fallire: l’Inno.

La Nona (lo dico da ignorantone in materia) è uno dei brani musicali più tragici che siano mai stati scritti. Mi dicono che sia anche il primo testo sinfonico in cui siano state inserite le voci come strumenti, un testo non affrontabile, per l’estrema difficoltà, se non dai più esperti cantanti e direttori d’orchestra, tanto che a Beethoven amici ammiratori e allievi avevano chiesto, senza ottenerlo, di eliminare qualche passaggio troppo rischioso. In pratica è stato necessario, per far conoscere e apprezzare la Nona, dopo la prima esecuzione avvenuta con la direzione dello stesso Beethoven nell’aprile del 1823 alla fine della quale il genio stesso svenne, l’impegno dei più grandi musicisti del tempo quali Moscheles, Berlioz e Wagner, tanto per fare dei nomi. Wagner decise di ridurre (mi scuso dei miei termini impropri) la Nona per solo pianoforte al fine di renderne più agevole la comprensione e l’ascolto da parte di un pubblico meno preparato. Fu sempre difficilissima l’esecuzione della Nona. Come si potesse pensare alla Nona come inno patriottico è uno dei misteri massonici più impenetrabili. Ma a questo aveva pensato il “nazionalista” (l’inno come si sarebbe dovuto cantare se non in tedesco?), falso “internazionalista” Coudenhove-Kalergi, sognatore di un’Europa modellata sulla tedeschità (si può dire?). Chi scelse l’Inno alla Gioia pensava, già all’ora, ad un’Europa segnata dalla genialità austro-tedesca, partorita a Vienna. Ma la difficoltà di dare soluzione e omogenizzazione (a questo siamo) a tali scelte di complessità è che si devono fare in un continente dove le “culle del genio” sono tante e difficilmente riconducibili ad una cifra semplificante e unificante. Salvo che riconducendola ad una sola economia, moneta artificiosa, mercato, banche come, appunto, applicando il credo massonico/finanziario, si sta facendo.

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Non è la geniale Nona, sia pur ridotta al Preludio, che potrà fare l’Europa unita. Se fossi un insegnante, ad esempio, come è il sen. Nicola Morra, mi porrei il problema della lingua.

E poi della Bandiera con le sue dodici stelle. Dodici perché, professore? Nessuno lo sa. Come nessuno conosce il nome di chi abbia proposto originariamente quella bandiera. Che mi pare (ma mi poterei sbagliare come molte delle cose che dico) non è neanche più simbolo formale dell’Unione Europea, dopo Lisbona. Ma nessuno lo dice. Ma forse non lo si dice perché è una cazzata che sto inventando, seduta stante.

Prudenza quindi quando si parla di quel “cesto di vipere” che è l’Europa. Così come è opportuno essere prudenti quando si ritiene di poter affrontare la criminalità (lei sì organizzata) senza organizzazione. Anche mentale.

Comunque, durante la due giorni al Circo Massimo, mi sarei aspettato un ragionamento articolato, oltre a tanto “futuro” piacevolmente valoriale e visionario, sotto la Tenda di Rousseau (su cui torno con la dovuta attenzione in altro post), che ho apprezzato moltissimo, su quello che diventerà, a breve, il suo compito primario: guidare la Commissione Antimafia.

Invece la scopro, in una visibile intervista al solito pronto Formiche, nella veste di melomane ed europeista kalergiano.

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Musica e massoneria, direbbe un lettore superficiale di questo blog.  Non mi passa per l’anticamera del cervello una così semplicistica e riduttiva lettura dei suoi interessi o delle sue eventuali appartenenze. Sono preoccupato da altro. E di questo altro, con lealtà assoluta nei confronti della Repubblica e del mio MoVimento, ho cominciato a scrivere in altri post a lei dedicati. Intenzionato a non smettere.

E lo faccio da marginale e ininfluente prima della sua eventuale nomina e in spirito di servizio. Tutte le altre autorevoli redazioni delle super testate dei giornaloni d’Italia (più qualcuna internazionale)rimangono in attesa del “passo falso” della sua discutibile nomina per sbranare lei, la sua famiglia e, cosa più grave, la credibilità del MoVimento, preso “in castagna”, ancora una volta.

E a me questo mettere volutamente la testa sotto la mannaia per antipatie, simpatie, cordate, legami rizomici trattando le questioni della Repubblica come cose proprie, mi comincia a stare molto, molto, molto sui coglioni. E mi scuso per l’irriguardoso linguaggio.

Oreste Grani/Leo Rugens